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Allan Holdsworth - I.O.U.
13/11/2015
( 3466 letture )
Quando si intavola un discorso che abbia come soggetto Allan Holdsworth, ci si addentra nei meandri più profondi della storia della chitarra a livello tecnico, compositivo e sperimentale. Descriverlo è pressoché impossibile, anche perché ci si dimenticherebbe quasi certamente di alcune delle sue peculiarità, finendo per inquadrare un solo spezzone di quello che è l’aspetto statuario del chitarrista di Bradford. L’elemento più importante della sua carriera è, senza ombra di dubbio, la rivoluzione della didattica chitarristica, con un approccio molto differente rispetto a quello che è stato udito dalla stragrande maggioranza di artisti della sei corde in ambito elettrico. L’approccio multidirezionale del chitarrista britannico, capace di osservare, comporre e suonare lo strumento in un modo nuovo, è ciò che lo ha elevato su una delle vette dell’arte chitarristica, facendolo assurgere a vero e proprio talento indiscusso dello strumento, ammirato ed emulato da alcuni degli artisti più eclettici e grandiosi del panorama metal estremo. Un paio di nomi a caso potrebbero riscontrarsi nella line-up storica dei Cynic, con Jason Gobel e Paul Masvidal a sfruttare la stessa estensione artistica della Steinberger, riprendendo quelle linee chitarristiche impavide ed esaltanti, strane e geniali, calde e performanti. Recentemente, anche chitarristi come Tymon Kruidenier (Exivious), Christian Muenzner (Obscura, Paradox) e Guthrie Govan hanno dimostrato di aver fatto tesoro degli insegnamenti che Allan Holdsworth è riuscito ad esternare con il proprio sound, fungendo da diretto catalizzatore tra il jazz classico di artisti del calibro di John Coltrane, Keith Jarrett e Miles Davis e la musica shred che si sarebbe sviluppata verso la fine degli anni ottanta.

L’anno era il 1982 e Allan Holdsworth, mentalmente e tecnicamente, era pronto per il primo passo discografico della sua lunga carriera, che mai ci concederà un lavoro mediocre, poco elaborato o tralasciabile. La pubblicazione avviene attraverso Luna Crack Records, ed è praticamente una autoproduzione da parte dell’artista inglese stesso, le cui registrazioni erano in suo possesso da ben tre anni. Infatti, tutto ciò che viene sentito su I.O.U. è stato registrato nel 1979, quando, tuttavia, il disagio per la prima pubblicazione contro il proprio volere, era ancora troppo vicina per compiere il passo decisivo. La qualità che si può apprezzare in I.O.U., sarà quella che ci accompagnerà in una carriera trentennale, il cui unico neo sarà l’album precedente, quel Velvet Darkness suonato da una formazione stratosferica ma rovinato inesorabilmente dalla produzione e da tutti i trascorsi che vi sono stati tra la registrazione e la pubblicazione. Non per niente, quello stesso Velvet Darkness di sei anni prima, non viene pressoché considerato come uno studio-album dagli appassionati dell’artista, né da Holdsworth stesso, relegandolo più ad errore -o a scempio- da parte della casa discografica CTI Records. Con I.O.U. si cambia decisamente registro: il perfezionismo tipico del chitarrista britannico si può udire ad ogni nota, finalmente graziate da una produzione all’altezza e da una preparazione all’esecuzione che rasenta l’idillio. Anche la formazione, eccetto l’istrionico chitarrista, è completamente mutata con la presenza di un giovanissimo Gary Husband dietro le pelli ed il pianoforte, Paul Carmichael al basso e Paul Williams alla voce. Ed è proprio il vocalist a caratterizzare l’ottima riuscita dell’opener Things You See (When You Haven’t Got Your Gun), duettano con la dinamica delle sei corde di Allan Holdsworth. L’utilizzo particolare della chitarra, intesa dall’artista come se fosse uno strumento a fiato, è privo di qualsivoglia distorsione assassina, mantenendo un registro di toni che segue un determinato percorso, tortuoso ed affascinante tra scale, accenti ed una tecnica della mano sinistra che è davvero strabiliante. Where Is One bilancia l’inconfondibile clean sound della steinberger di Holdsworth con alcune linee più sature, in un soffuso overdrive che non perde mai di vista l’intesa della chitarra come strumento a fiato. La tempistica delle scale, con cadute "storte" ed elaborazioni complesse, viene implementata dal drumming eccezionale di Gary Husband. Come si può evincere dal brano stesso -e che verrà rafforzato dai pezzi a seguire- la peculiarità più strabiliante del chitarrista britannico è quella di percorrere sempre la strada solista meno scontata, più difficile ed elaborata, facendola risuonare in modi sempre inattesi ed imprevedibili. Checking Out è un brano più rapido, breve e che mette in mostra il vocalist con la sua timbrica intonata e con il difficilissimo compito di duettare con quelle stesse linee imprevedibili che vibrano dalle corde di Allan Holdsworth. La strumentale Letters of Marque è, probabilmente, il pezzo più elaborato e strabiliante del lotto, capace di condensare tutta l’abilità della band all’opera, dipingendo un lunghissimo brano che gronda estro ad ogni battuta. Al contrario, Out From Under, si fa portatrice di un riff principale molto più orecchiabile, a cui si associa, ovviamente, l’incredibile versatilità artistica di Allan, con le sue dita soffuse, da violinista che scorrono sul manico della sei corde. La doppietta di chiusura Shallow Sea - White Line condensa l’imprevedibilità e la ricercatezza che ogni composizione di Allan Holdsworth possiede: il genere può essere definito fusion, jazz-rock, experimental, shred ed ognuna di queste categorie potrà risultare corretta e scorretta al tempo stesso. Quel che è certo, è che in I.O.U. tutto è al servizio della musica complessa, esternata con la tecnica del legato che è un marchio di fabbrica, ricercato, meditato ed inconfondibilmente strutturato ed eleva il chitarrista sui piedistalli dedicati ai migliori al mondo.

Cos’altro aggiungere su questa prima fatica discografica del perfezionista di Bradford? Per gli appassionati della sei corde solista, elaborata, complessa, dalle soluzioni sempre inaspettate e strabilianti, è un album a cui è impossibile rinunciare. La qualità esecutiva qui riscontrata esprime la perfetta sintesi dello stile di Holdsworth, che si potrà poi evincere ancor di più nelle sue vette artistiche, Secrets e Metal Fatigue. La produzione è altrettanto certosina, distante dagli standard opinabili di quella sessione di registrazione da cui è stato cavato Velvet Darkness anni prima. La pulizia concessa agli strumenti è al limite della paranoia dell’audiofilo, con ogni sfumatura sonora (e non sono poche) dello stile eclettico del chitarrista che può venire percepito a qualsiasi volume di riproduzione del supporto ottico. Ad una prestazione superlativa di Holdsworth, si affianca una band strabiliante che supporta ed incentiva il lavoro delle sei corde, in un perfetto connubio chitarristico che si estende dal jazz classico, passando per la fusion, sino alla musica classica. I.O.U. non è probabilmente il miglior disco di Allan Holdsworth, né quello da cui si dovrebbe partire per scoprire il talento dell’artista (molto meglio Metal Fatigue da questo punto di vista) ma si tratta della prima registrazione ufficiale in studio di un genio che traspone sulle note di un pentagramma tutto il suo estro, portandolo alle nostre orecchie con elaborazioni complesse e godibili, stendendo il tappeto rosso ad un nuovo modo di intendere la chitarra elettrica. Procuratevelo.



VOTO RECENSORE
87
VOTO LETTORI
75.66 su 3 voti [ VOTA]
Toni
Mercoledì 25 Novembre 2015, 19.13.49
2
Acquistai questo album quando avevo 18 anni e ne rimasi folgorato. Le composizioni sono le migliori di AH, in cui le melodie non risultano mai scontate ne mai forzate ma piuttosto le piu logiche soluzioni che si potrebbero seguire su progressioni armoniche cosi articolate e complesse. Ps: all epoca holdsworth non usava ancora le steinberger! Credo che quel disco fu registrato con una stratocaster modificata da holdsworth e wayne charvel
therox68
Venerdì 13 Novembre 2015, 11.16.49
1
Ottima recensione di un bel disco, bravo Monky.
INFORMAZIONI
1982
Luna Crack Records
Fusion
Tracklist
1. Things You See (When You Haven’t Got Your Gun)
2. Where Is One
3. Checking Out
4. Letters of Marque
5. Out from Under
6. Temporary Fault
7. Shallow Sea
8. White Line
Line Up
Paul Williams (Voce)
Allan Holdsworth (Chitarra, Violino)
Paul Carmichael (Basso)
Gary Husband (Batteria, Pianoforte)
 
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