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Trans-Siberian Orchestra - Letters from the Labyrinth
14/12/2015
( 4100 letture )
L’incontro tra i Savatage e il produttore Paul O’Neill è stato una delle chiavi di volta per una delle band più amate e rispettate della scena metal e gli album prodotti da quel fatidico 1987 in poi sono diventati un vero e proprio patrimonio dell’umanità, andando ad aprire la strada per quasi tutte le band che da lì in avanti ricercheranno un approccio operistico e vicino al musical.
Dopo l’uscita di Jon Oliva dal gruppo e il suo fallito tentativo di dare vita ad un musical, che avrebbe dovuto intitolarsi Romanov, O’Neill ricevette mandato dalla Atlantic per un nuovo progetto che lui stesso rinominò Trans-Siberian Orchestra, conosciuta anche come TSO. La morte di Criss Oliva ritardò i piani del produttore e di Jon Oliva che solo nel 1996 riuscirono a dare forma al primo vero album della nuova creatura. Fu così che nacque Christmas Eve and Other Stories, primo best-seller della band, che conteneva il rifacimento di Christmas Eve/Sarajevo 12/24, contenuta in Dead Winter Dead, album dei Savatage. In realtà il successo ottenuto dal nuovo progetto, oscurò di gran lunga quello della band madre e la TSO divenne uno dei rarissimi casi di gruppo partito direttamente dalle arene e dai teatri, direttamente come headliner e senza aver mai fatto da supporto ad alcuno, né aver mai avuto alcuno di supporto. Da allora, il gruppo ha avuto una bella e ricca carriera, costellata anche da numerose iniziative benefiche e da show memorabili, come quello che ha avuto luogo a Wacken nel 2015, nel quale Savatage e Trans-Siberian Orchestra hanno avuto l’onore e l’onere di essere i due headliner, suonando uno show iniziato sul palco principale dai Savatage e proseguito poi sul secondo palco principale dalla TSO raggiunta da tutti i membri dei Savatage per l’occasione finalmente riuniti.
E’ quindi con una certa trepidazione che Letters from the Labyrinth era atteso al varco dagli amanti del progetto e dai milioni di fans sparsi per il Mondo, che ne hanno fatto un successo trasversale alle scena metal e a quella popolare tout court.

Come di consueto, il disco si avvale della collaborazione di una moltitudine di musicisti e cantanti, dai solisti al coro ed è orchestrato da Paul O’Neill in primis assieme a Jon Oliva ed a molti ex membri dei Savatage. Ma il numero di persone coinvolte anche in questo caso è davvero folle e supera tranquillamente le cinquantina. Una vera e propria orchestra, che va a musicare anche stavolta una sorta di concept album, nato dalla passione di O’Neill per le antichità e il collezionismo, che lo ha portato a leggere numerose lettere provenienti da grandi personalità della storia come Mark Twain, Thomas Edison, Benjamin Franklin, Orville Wright, il presidente Lincoln e così via. Da questa fonte di ispirazione O’Neill ha dato vita ad un fil rouge che vuole essere un punto di incontro tra la saggezza del passato e le speranze per il futuro, rappresentate dalla corrispondenza tra un giovane ragazzo e un vecchio amico del nonno. Come da tradizione si tratta insomma di tematiche piuttosto significative, che ci conducono lungo un album nel quale la parte strumentale riveste comunque una notevole importanza, tanto che dei quattordici brani presentati, solo nove presentano delle parti cantate. Come da tradizione, l’impianto di base resta fortemente ancorato alla metal opera, con alternanze tra parti orchestrali e altre cantate o nelle quali si esibisce il coro, con ampi interventi della band propriamente detta, che mantiene un approccio rock e metal, tanto nella strumentazione, quanto nella distorsione e nell’uso di fraseggi e assoli di scuola tipica metal e chiaramente derivati dal repertorio dei Savatage. Un approccio questo che potrebbe risultare pesante e perfino insopportabile per chi va alla ricerca di musica istintiva e diretta, scevra da sovrastrutture ed eccessivi barocchismi. In questo la TSO ha sempre mantenuto invece una cifra magniloquente e molto “carica”, non rinunciando ad inserire consistenti e rilevanti contributi di pura musica classica all’interno del proprio tessuto sonoro. Un sentiero ben preciso, perseguito coscientemente anche in Letters from the Labyrinth, che porta a compimento molti degli spunti già emersi in Night Castle, album del 2009 che può dirsi a tutti gli effetti progenitore di questa uscita.
A dirla tutta, tolti il professionismo totale dei membri del progetto, l’ottimo concept e la regia sicura di O’Neill, vero maestro del settore, questo nuovo album della TSO mostra decisamente il fianco a numerose critiche, delle quali la prima riguarda senza dubbio l’ispirazione che regge le tracce contenute nell’album. L’involucro è di consueto perfetto e non potrebbe essere altrimenti, ma in effetti questa volta il contenuto appare decisamente più scarso di quanto sarebbe lecito attendersi. Se musicalmente infatti non si registrano sostanziali novità rispetto al passato, questa volta il tutto appare ben più fiacco e ripetitivo del solito e anche gli interventi della band non sembrano riuscire ad elevare le canzoni, riproponendo i classici trademark di scuola Savatage, con un saccheggio più o meno costante di riff sentiti ormai troppe volte, così come gli ormai noti stacchi di basso che conducono agli assoli taglienti di Pitrelli che costituiscono un patrimonio che ogni metal fan dovrebbe aver ormai metabolizzato da tempo (avete presente quel break magico di Middleton e dell’allora Skolnick che lancia la parte centrale e i canoni vocali in Chance? Ecco, preparatevi ad ascoltarlo in ogni sua variante per almeno quattro/cinque volte nel corso del disco). E se Atene piange, Sparta non ride, così se la parte metal si regge su un canovaccio ormai sfinito e usurato, quella operistica non offre spunti di chissà quale livello ed è così che alla fine del discorso, i brani davvero meritevoli sono ben pochi.
Dispiace che a fronte di uno spiegamento di forze tale e con un simile profluvio di talenti alla fine non si possa dire qualcosa di più, ma se il disco parte bene con il coro di Time & Distance (The Dash), ecco che subito il riff portante finisce per ricordare fin troppi altri riff della band madre e perfino l’intervento di un gigante come Jeff Scott Soto che interpreta Prometheus alla fine non fa altro che ricordare in maniera pedissequa il classico cantato e le linee melodiche di Jon Oliva, con tanto di pausa sull’ultima parola, che ricade sull’accordo di piano in chiusura. Un destino questo che tocca a tutti i cantanti impegnati, da Russell Allen (Not Dead Yet), costretto a scimmiottare persino la perfida risata del buon Jon, alle ottime interpreti femminili, Kayla Reeves (la buona The Night Conceives e la fin troppo “believe”, Not the Same), Adrienne Warren (Stay) e Lzzy Hale (Forget About the Blame Moon Version) che non possono far altro che ricordare loro malgrado il padre-padrone del progetto. L’unica che riesce in qualche maniera a schiodarsi di dosso l’ingombrante fantasma è la confermata Jennifer Cella, la quale sfruttando una timbrica chiara e quasi infantile non può che caratterizzare in modo del tutto diverso la propria interpretazione nell’ottima ballad pianistica Past Tomorrow, che di contrappasso finisce per somigliare quasi ad un brano di Madonna più che della ITSO. Punto chiave del disco sono le due tracce centrali The Night Conceives e Forget About the Blame, quest’ultima proposta sia in chiave maschile che femminile nella bonus track. Si tratta di due brani onesti, specialmente la seconda, che finiscono per rappresentare il meglio del disco assieme a Past Tomorrow, il che dà veramente misura del resto, purtroppo. Sul versante strumentale, non dispiace la buona Mountain Labyrinth, mentre l’accoppiata King Rurik/Prince Igor si perde in un autocompiacimento privo di sostanza decisamente pesante da mandare giù. Il punto più basso del disco, lo si raggiunge però con Stay, brano acustico che offre un giro di chitarra a dir poco “mutuato” da quello di Welcome Home (Sanitarium) dei Metallica e una melodia vocale inconcludente e quasi fastidiosa nell’esagerata e velleitaria interpretazione di Adrienne Warren che tenta disperatamente di dare pathos ad un brano infelice e non all’altezza del nome in copertina risultando tragicamente fuori registro. La già diffusa Who I Am, non è altro che un concentrato di ciò che già conosciamo della TSO e nulla aggiunge al resto, mentre piacevole è la chiusura strumentale di Lullaby Night.

Non serve a niente ribadire per l’ennesima volta la grandezza dei musicisti e degli autori coinvolti nella Trans-Siberian Orchestra, purtroppo questo Letters from the Labyrinth è un disco piatto, sgonfio, assai poco ispirato, se non nelle tematiche affrontate e autocitazionista nel modo peggiore. Poco si salva, anche nell’interpretazione offerta dai pesi massimi coinvolti, che si trovano loro malgrado a vestire i panni di altri, senza poter uscire dai canoni imposti dalla regia. Regia che da punto di forza, in questo caso, diventa limite maggiore e per carenza di idee e per una pretenziosità obbligata che finisce per ritorcersi contro l’album. Naturalmente, quanto detto finora vale per chi conosce a menadito le precedenti pubblicazioni a nome TSO e, a maggior ragione, i dischi dei Savatage. Per chi fosse infatti digiuno degli uni e/o degli altri, è del tutto probabile che questo Letters from the Labyrinth risulti in realtà ottimo, un gran disco a tutti gli effetti. Il problema in effetti è che quello che brilla proviene da altra e precedente gloria. Di fatto, si tratta del disco più debole ascoltato da questo progetto e ne rivela tutti i limiti, che finora erano rimasti tutto sommato sotto controllo. Siamo anni luce dalla qualità compositive delle uscite precedenti. Un vero peccato.



VOTO RECENSORE
58
VOTO LETTORI
63 su 8 voti [ VOTA]
Rob Fleming
Martedì 19 Gennaio 2016, 17.13.20
4
Lo sto ascoltando ultimamente a più riprese. Se faccio finta che non ci sia qualche Dejà Vu mi sembra sia un gran bel cd. Mi riservo di tornarci sopra una volta metabolizzato, Ma comunque è ampiamente discreto. Ora come ora siamo sul 75
Ivo
Martedì 15 Dicembre 2015, 9.00.48
3
Quoto in pieno i due commenti precedenti e l'ottima recensione. Mi ha lasciato un po' di amaro in bocca per il calo di ispirazione, soprattutto se confrontato con il superbo "Beethoven's Last Night" o addirittura con l'EP "Dreams of fireflies". Restano comunque uno dei mie gruppi preferiti, e il loro show visto lo scorso anno ad Amsterdam uno dei concerti più belli a cui abbia avuto il piacere di assistere.
Melkor
Lunedì 14 Dicembre 2015, 19.54.49
2
Brutto non è però mi sembra un lavoro fatto raccogliendo le songs meno ispirate. Ma non fa nulla, la " magia " si sente sempre
Radamanthis
Lunedì 14 Dicembre 2015, 18.11.00
1
Ho ascoltato una serie di canzoni capolavori dai TSO e purtroppo in questo disco di grandi canzoni ne ho sentite proprio pochine. E' un disco fatto in maniera impeccabile e certamente di un livello assolutamente superiore alla media ma forse mi aspettavo di più io! Tante belle canzoni ma poche ottime e soprattutto troppe sia con voci femminili (per i miei gusti sia chiaro) e strumentali. Tutto qui...un'occasione un pò persa. Voto 64
INFORMAZIONI
2015
Lava/Republic Records
Metal Opera
Tracklist
1. Time & Distance (The Dash)
2. Madness of Men
3. Prometheus
4. Mountain Labyrinth
5. King Rurik
6. Prince Igor
7. The Night Conceives
8. Forget About the Blame (Sun Version)
9. Not Dead Yet
10. Past Tomorrow
11. Stay
12. Not the Same
13. Who I Am
14. Lullaby Night
15. Forget About the Blame (Moon Version, Bonus Track)
Line Up
Paul O’Neill (Chitarra)
Jon Oliva (Tastiera, Chitarra, Basso)
Al Pitrelli (Chitarra solista e ritmica)
Chris Caffery (Chitarra)
Angus Clark (Chitarra)
Joel Hoekstra (Chitarra)
Lucy Butler (Tastiera)
Mee Eun Kim (Tastiera)
Vitalij Kuprij (Tastiera)
Jane Mangini (Tastiera)
Derek Wieland (Tastiera)
Roddy Chong (Violino)
Asha Mevlana (Violino)
Johnny Lee Middleton (Basso)
David Zablidowsky (Basso)
John O. Reilly (Batteria)
Jeff Plate (Batteria)
Dave Wittman (Batteria, Chitarra, Basso)

Voci Principali
Kayla Reeves (Voce su tracce 7, 12)
Robin Borneman (Voce su traccia 8)
Lzzy Hale (Voce su traccia 15)
Jeff Scott Soto (Voce su traccia 3)
Russell Allen (Voce su traccia 9)
Adrienne Warren (Voce su traccia 11)
Jennifer Cella (Voce su traccia 10)

Archi
Roddy Chong
Asha Mevlana
Lowell Adams
Nancy Chang
Lei Liu

Fiati
Jon Tucker (Leader)
Kenneth Brantley
Jay Coble
Ashby Wilkins

Coro
Lucille Jacobs, Minnie W. Leonard, Keith Jacobs, Danielle Sample, Erika Jerry, Chloe Lowery, Dari Mahnic, Bart Shatto, Andrew Ross, John Brink, Natalya Piette, Jodi Katz, James Lewis, Georgia Napolitano, Tim Hockenberry, Ava Davis, Chris Pinnella, Rob Evan, Parker Sipes, Phillip Brandon, Dustin Brayley, April Berry, Autumn Guzzardi
 
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