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Shadowkiller - Slaves of Egypt
27/01/2016
( 802 letture )
Il metal, per la sua stessa essenza “valoriale”, si presta moltissimo all’accostamento con tematiche epiche, storiche e, perché no, fantascientifiche. Gli esempi e le eccellenze si sprecano andando dai maestri Rainbow dell’era Dio, con le loro atmosfere medioevali, passando per i rocciosi Manilla Road e Cirith Ungol, per arrivare a toccare anche i lidi più estremi della nostra musica con i leggendari Bolt Thrower e i Nile con la loro ossessione per l’antico Egitto.
Proprio da quest’ultima intrigante e misteriosa epoca storica prende spunto il debutto discografico degli statunitensi Shadowkiller. I quattro per la loro opera prima, lanciata da Stormspell Records, scelgono il titolo Slaves of Egypt accompagnandolo ad un artwork molto ben curato raffigurante alcune delle più celebri divinità dell’antico Egitto che costringono dei poveri essere umani a spostare i blocchi di pietra con cui sono state costruite le piramidi.

La band è composta dal singer/chitarrista Joe Liszt, la seconda ascia è affidata a Marc Petak e la sezione ritmica è costituita da Dan Lynch al basso e Gary Neff dietro i tamburi. A lato della copertina campeggia la scritta “New wave of progressive power metal” che ben riassume cosa si può ascoltare nelle dieci tracce che trovano spazio su Slaves of Egypt. La matrice principale da cui parte il sound degli Shadowkiller è quella del power metal a stelle e strisce, niente doppia casa a martello e cori roboanti in stile europeo quindi, ma up-tempos rocciosi in cui la ricerca melodica non sta nel solo ritornello ultra-catchy, ma parte dal riffing in pieno stile heavy tradizionale a cui viene iniettata una dose extra di energia, velocità e potenza. La strada è stata aperta dal mai abbastanza incensato Mark Reale con i suoi Riot e percorsa da tanti nomi importanti fra cui spicca quello dell’influenza forse più importante sul sound degli Shadowkiller: gli Iced Earth di Jon Schaffer. Il quadro viene completato dall’aggiunta di un pizzico di prog, in questo caso, l’ispirazione arriva dai primi seminali lavori di Fates Warning e Queensryche.
Il disco parte subito benissimo con l’ottima Title track in cui si trovano tutti gli elementi distintivi dello stile della band: un riffing tagliente, tecnico e quadrato, la voce graffiante di Joe Liszt e una sezione ritmica di rilievo in grado di essere non solo l’ossatura di sostegno, ma di aggiungere espressività alla musica con la giusta dose di tecnica.
La traccia è permeata da un’atmosfera arabeggiante, viste le liriche incentrate sugli schiavi dell’antico Egitto, su cui si mettono in evidenza il lavoro incisivo delle chitarre e dalla batteria impegnati a dare alla canzone un andatura incalzante che sfocia in un ritornello efficace. Da sottolineare anche l’ottimo stacco centrale con due diversi soli di chitarra molto ben eseguiti.
Al secondo posto in scaletta c’è la traccia di gran lunga migliore dell’album: Kiss of Judas. Un caleidoscopio di atmosfere di più di sette minuti che vanno dalla prima parte ultra-aggressiva, con la doppia cassa sparata ad alta velocità e il singer veramente incazzato, alla più evocativa e tranquilla parte centrale accompagnata anche dalla chitarra acustica che lascia di nuovo spazio alla rabbia del ritornello, trascinato da un grande lavoro di Dan Lynch al basso. Degno di nota anche il riff portante della seguente Seven Kingdoms, che pur non essendo molto originale e forse un po’ troppo lunga, ha comunque alcuni buoni spunti nel lavoro di basso e batteria. Decisamente più efficace Seconds From Salavation più tradizionalmente heavy e meno complessa delle altre tracce, ma non per questo poco convincente, anzi. Riff portante di chiara matrice maideniana per On the Seas, un roccioso mid-tempo con un buon ritornello che rimane facilmente in testa. Il basso plastico di Dan Lynch la fa nuovamente da padrone nella traccia numero otto: Savior guidando la canzone nelle sue diverse sfaccettature che vanno dal riff heavy in apertura fino all’impennata power della parte centrale. Forti influenze prog si intravedono in Visions in the eclpise dove i cambi di tempo e di atmosfera la fanno da padroni accompagnati anche da pregevoli inserti di chitarra acustica. Slaves of Egypt si chiude in bellezza con The Human Project aperta in modo ingannevole da tranquille tastiere che lasciano spazio in poco tempo ad un riff al fulmicotone in stile Accept che si ammorbidisce solo nel bridge centrale per poi riprendere prepotentemente la scena nel finale. L’unica nota dolente del disco, ma perdonabile visto che si tratta di un esordio registrato “in casa”, è la produzione. Tutti gli strumenti, eccetto forse le chitarre, non hanno la potenza e la chiarezza che meriterebbero, in particolare il rullante ha un suono troppo duro e secco che rovina un po’ l’ottimo lavoro svolto da Gary Neff. Altro piccolo neo, anche questo su cui si può soprassedere parlando di un’opera prima, è che su Slaves of Egypt di idee ce ne sono fin troppe e in alcune tracce il voler infilarne troppe appesantisce un po’ l’ascolto.

Un esordio con i fiocchi quindi per gli Shadowkiller che dimostrano un’ottima vena compositiva associata a delle innegabili doti tecniche che gli hanno permesso di confezionare un disco, che pur con i normali difetti di gioventù, ha qualcosa di molto buono da dire in una scena sempre felice di accogliere nuove leve di alto livello.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2013
Stormspell Records
Power
Tracklist
1. Slaves of Egypt
2. Heart of Judas
3. Seven Kingdoms
4. Seconds From Salvation
5. On The Other Side
6. On These Seas
7. A Walk In Reality
8. Savior
9. Visions in the Eclipse
10. The Human Project
Line Up
Joe Liszt (Voce, Chitarra)
Marc Petak (Chitarra)
Dan Lynch (Basso)
Gary Neff (Batteria)
 
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