Line-up aggiornata per i White Skull che, a dispetto delle recenti traversie, mostra già di avere raggiunto un buon equilibrio tra forma e sostanza, confezionando un nuovo album più che piacevole. Dopo averci narrato di Vichinghi e Romani, questa volta è il turno dei Celti di essere scelti come oggetto di analisi, con le loro saghe di druidi, misteri, foreste e battaglie.
Nonostante i più abbiano accostato il sound dei White Skull a matrici mitteleuropee, cosa in parte vera, in realtà questo è più comparabile a certe releases dei primi Armored Saint, sia nella struttura dei brani che nelle parti vocali di Gus Gabarrò (il cui timbro, ad ogni modo, ricorda quello di John Bush) il quale, col suo accento sudamericano rintracciabile specialmente nella pronuncia di alcune “r”, fornisce anche un quid di originalità alle canzoni. Il tutto condito da una spruzzata di Omen, tanto per gradire. Chiaramente ciò che è assolutamente imparagonabile rispetto ai dischi citati è la produzione, che, come è logico, risulta decisamente più performante in The Ring of the Ancient, conferendo al CD un impatto molto forte, da headbanging continuo, ma contemporaneamente molto pulito, definito nel suono e scevro da critiche di commercialità anche nelle parti più melodiche. Buoni e non invasivi i soli di Danilo Bar e all’altezza delle aspettative il terzetto costituito dal gruppo Fontò/Balocco/Mantiero. Piacevole, inoltre, la grafica con cover di Diego Ferrarin raffigurante un mistico medaglione con rune e foto a cura di Michela Solbiati. A proposito di terzetti, molto buono quello d’apertura costituito da Ninth Night, Guardians (e qui il ritornello è un esempio paradigmatico di quanto dicevamo prima a proposito di assenza di commercialità) e Head Hunters, pezzi potenti ed incisivi, specialmente quest’ultimo, che trascinano l’ascolto fino alla parte centrale del lavoro, nella quale forse si avverte un eccessivo ripetersi di certi schemi che risultano un po’ troppo prevedibili. La temperatura risale nella parte finale, ossia da King with the Silver Hand in poi, con punte d’eccellenza nelle epiche Valhalla, cover del celebre pezzo dei Black Sabbath e Marching to Alesia, nelle quali si respira l’aria della tribù celtica, per chiudere con l’outro Tuatha De Danaan. Nella versione promozionale in nostro possesso è presente anche il videoclip di Ninth Night.
The Ring of the Ancients non è un lavoro rivoluzionario e non inventa nulla, ma scorre via in modo fluido, al netto di una parte centrale non eccezionale, ed alla fine lascia abbastanza soddisfatti. Un disco non epocale, dunque, ma in grado di consolidare bene anche all’estero la fama di un gruppo italiano di ottimo livello come i White Skull e di soddisfare gli headbangers in cerca di realizzazioni rocciose ed epiche da inserire nella propria collezione.
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