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29/03/24
ENUFF Z’NUFF
BORDERLINE CLUB, VIA GIUSEPPE VERNACCINI 7 - PISA
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Redemption - The Art of Loss
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28/02/2016
( 4098 letture )
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Sembra che la sfortuna, da qualche anno a questa parte, non voglia abbandonare i Redemption. Era il 2008 quando, tra le fila della super prog metal band statunitense, fu diagnosticato un gravissimo cancro del sangue al suo fondatore Nick van Dyk. Un morto che cammina, dicevano i medici, un po' come nel miglio verde per i condannati a morte. Beh, il carismatico polistrumentista riuscì non solo a rimandare la morte ma anche a trarre ispirazione dalla sua terribile esperienza per la pubblicazione di This Mortal Coil nel 2011. Sei anni dopo la malattia di van Dyk, la cattiva sorte assume le sembianze di un aneurisma cerebrale e si accanisce su Bernie Versailles, chitarrista solista della band conosciuto anche per una sua breve esperienza nei Fates Warning . La fase compositiva per The Art of Loss è già iniziata e la situazione è tragica. Bisogna scegliere se attendere Versailles o proseguire con altri musicisti. La scelta cade (erroneamente a mio parere) su quest'ultima opzione, considerata anche la lunga riabilitazione ancora in atto per riportare ad una vita normale lo sfortunato musicista. La sostituzione di Versailles è delicata e per questo motivo si va sul sicuro con veri e propri maghi delle sei corde come Chris Poland, Chris Broderick, Simone Mularoni e soprattutto Marty Friedman che personalmente seguo sin dai tempi dei Cacophony in cui militava anche il guitar god incontrastato Jason Becker, il cui estro è stato paralizzato da una prematura SLA prima di compiere vent'anni, come se la vita non fosse già abbastanza difficile. Come invece è facile intuire, le registrazioni di The Art of Loss si sono protratte sino a qualche settimana fa ed i risultati, così come avvenne per This Mortal Coil, sono controversi ed assumono una connotazione negativa, visto che il predecessore almeno possedeva un certo carattere ed acquistava consensi col passare degli ascolti. Impossibile per un gruppo (di amici prima di tutto) tirar fuori un lavoro decente con tutti i problemi che hanno invaso prepotentemente e inaspettatamente la propria sfera creativa, potremmo dire in loro difesa. Proseguendo con ordine, sembra doveroso presentare i Redemption. La band a stelle e strisce è capitanata dal già citato Nick van Dyk che si occupa della composizione in solitaria vista l'assenza forzata di Versailles. Essendo una super band, il monicker può contare sulla valida ugola dei Fates Warning Ray Alder, sul basso di Sean Andrews, sulla batteria di Chris Quirarte e naturalmente sulla tecnica di Versailles. Nella line-up, alla tastiera figura anche Greg Hosharian, talentuoso compositore fortemente stimato da Jordan Rudess e che presta maggiormente la sua opera come turnista. Tra gli ex membri dei Redemption, anche se marginali, occorre ricordare i batteristi di Symphony X e Fates Warning Jason Rullo e Mark Zonder. Insomma, la qualità tecnica non manca e non è mai scarseggiata in questo progetto che, nonostante tutto, acquista consensi ogni giorno che passa. Ma sarà sempre così? The Art of Loss è il sesto album studio della band, il primo sotto la prestigiosa Metal Blade Records dopo esser stati prima con la Sensory e poi con la onnipresente InsideOut. Questo di per sé, è già un importante cambiamento. Va, inoltre, aggiunto che in carriera mai i Redemption hanno fatto aspettare i loro fans così tanto tempo tra un disco ed un altro. Il platter presenta nove brani per un'ora e un quarto di musica tra i quali è impossibile non notare la cover dei The Who, Love Reign O'er Me. Il brodo (perché di questo si tratta) è in realtà fortemente allungato anche dalla suite conclusiva At Day’s End che supera i venti minuti nel perfetto anonimato e dalla quale si sarebbero potute ricavare ulteriori tracce. Sono sicuro che qualcuno avrà da ridire a riguardo, ma a mio modesto parere sembra più un collage di idee non sviluppate che una canzone voluta e compiuta. Non ci troviamo davanti al miglior lavoro della band e questo lo abbiamo capito, soprattutto se si considera il rapporto intimo che deve esser presente tra musica e testi. Si intuisce sin da subito una certa disomogeneità compositiva che non viene "riparata" a dovere da una produzione a sua volta discutibile che tende ad appiattire un sound notevolmente più morbido rispetto a quello cui ci ha abituati la band. È comunque la scelta di avvalersi di più ospiti e non di un solo sostituto nel ruolo di chitarra solista che incide più di ogni altro fattore sulla qualità della musica rendendola quasi una raccolta di artisti vari e virtuosismi. I pezzi, escludendo la cover che reputo fuori concorso come sempre ma il cui inserimento in track-list ha un suo perché, sono genericamente godibili per chi si accontenta ed eseguiti alla perfezione come da pronostico. Purtroppo, come ci si può aspettare dopo quanto affermato, è il marchio dei Redemption che manca. Le performance di Alder (nemmeno in perfetta forma) e Quirarte (drummer maestoso) da sole non bastano. I vari personaggi che si alternano alle sei corde al posto di Versailles, sono stilisticamente simili (e questo è un bene), ma sembrano anteporre il proprio ego al concetto proposto. Ciò che ne esce fuori, è una parte ritmica banalotta ma sensata che, tuttavia, non viene accompagnata da parti soliste a tema ed equilibrate, senza contare la somiglianza tra i vari assoli iper-tecnici, carichi di speed picking ed altre tecniche a casaccio, per niente emozionanti che lasciano il tempo che trovano. Se le tracce sono così lunghe è solo per dare spazio alle esibizioni delle varie guest star, come se fossero backing-track per chitarristi che si esercitano nell'improvvisazione nella propria cameretta. Voglio dire, le idee potranno anche essere valutate come discrete, ma siamo sicuri che gli interpreti siano quelli giusti? Non è un caso, infatti, che i pezzi migliori (e siamo messi male) siano quelli più brevi come That Golden Light che non prevede collaborazioni e Damaged col solo Friedman. Aggiungerei all'elenco anche The Center of Fire nonostante qualche incartamento nei cambi più progressivi. Nel complesso, sono proprio quelli appena citati i brani salvagente. Non mi soffermerò sull'analisi track by track come avrete capito, perché come non mai, da estimatore del gruppo, mi disturba, ma mi limiterò ad affermare che le linee vocali rappresentano l'unico vero aspetto positivo concreto in The Art of Loss. Come è stato anticipato, Alder sente il peso degli anni che avanzano, ma la creatività resta indiscutibile. In ogni caso è troppo poco per un disco così atteso. Trattando le liriche, cominciamo col dire che The Art of Loss non è un concept. Il tema principale, riscontrabile nella maggioranza delle tracce, è l'amore che sconfigge la paura, ed ecco spiegata la presenza di una cover indovinata, ma solo nei contenuti. L'amore che deve prevalere non soltanto nei rapporti romantici ma anche in noi stessi in funzione di una crescita personale completa basata anche sulle responsabilità da cui non bisogna fuggire. Sembra incredibile, ma è proprio la cover (piuttosto scialba, nonostante la collaborazione di John Bush degli Armored Saint e Anthrax) che ricopre l'importante ruolo di brano portante, ulteriore segno di una scarsa ispirazione di base e di una fase difficile per i protagonisti. Lontano anni luce dai gioielli prog Fullness of Time e Snowfall on Judgement Day, The Art of Loss non ha nulla a che vedere con i Redemption che conosciamo e che vorremmo continuare ad ascoltare. Non si tratta assolutamente di un cambio di rotta cercato come l’etichetta vorrebbe farci credere, ma di una rovinosa caduta di stile. Vero, la malasorte non ha facilitato il compito dei ragazzi ma bisogna avere il buon senso di capire il punto limite da non oltrepassare per evitare brutte figure. Riempitivi ovunque per un lavoro vuoto e senza anima. Che amarezza.
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Ce ne fossero........il recensore che è uno di quei privilegiati, ascota troppa buona musica e ha perso un pò il senso della misura secondo me |
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Ce ne fissero gruppi come i Redemption, per me tra i migliori in circolazione.Noi pochissimi che abbiamo trovato il tempo di ascoltarli siamo dei privilegiati.
Mi viene sempre da ridere ( o da piangere) quando mi rendo conto che musica ascolta la gente intorno a me |
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Non condivido nulla del giudizio espresso, io lo trovo un disco bellissimo |
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Sicuri del voto o meglio del giudizio complessivo? Non farà parte degli "indimenticabili" ma si ascolta bene! |
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Dopo averlo ascoltato parecchie volte ho cambiato parzialmente opinione. Non è per niente inferiore ai dischi precedenti |
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Gran bel disco, leggermente inferiore ai precedenti ma pieno di ottimi arrangiamenti e melodie e con un Alder sempre in gran forma. Sono d'accordo sul fatto che la canzone più lunga sia anche la più debole. voto 90 |
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Ascoltato e riascoltato, posso dare il mio verdetto. Al netto di alcuni difetti (avrei fatto altre scelte di sound e arrangiamenti) é un bellissimo disco. I testi sono splendidi e le musiche piene di idee e belle melodie. Piaciuta anche la cover, soprattutto perché sono un fan di Bush. Con questo disco i Redemption si confermano, a mio avviso, la "versione melodica dei Fates Warning". Profondi ma accessibili. |
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16
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Chi ama i primi album dei Redemption, non può apprezzare questo e ne ho parlato giusto ieri con un caro amico che adora questo gruppo che può essere paragonato agli Shadow Gallery e non ai Dream Theater. In ogni caso, ho avuto il disco un mese prima dell'uscita. L'ho praticamente mangiato e non credo di aver cannato. Ormai non lo ascolto più da quando l'ho recensito. Mi sono liberato di un peso, credetemi. |
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15
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gran bel disco condivido con entropy il discorso sui solisti,,, |
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Mi ero dimenticato di aggiungere che non condivido il discorso dei "diversi solisti che sembrano una raccolta di artisti vari". Gli assoli mi sembrano in linea con la tradizione della band , e quasi sempre funzionali ai pezzi, e se non avessi letto le note, non avrei immaginato che fossero di diversi musicisti. Mi sembra che tutti i solisti chiamati abbiano invece rispettato i "canoni" redemption |
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13
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Premetto che l'ho sentito una volta sola, ma mi sembra di dire che la recensione arriva ad una conclusione finale inspiegabilmente negativa!!Non sarà un capolavoro, ma a me sembra un buon disco, tanto per intenderci (e per continuare il parallelo sotto riportato) nettamente meglio della moscia e irritante ultima inutilità dei DT!! |
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12
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condivido,cresce di brutto,a parte la suite e la cover,bello davvero,molto più dell'ultimo DT |
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11
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come speravo dopo un po di ulteriori ascolti l'album cresce. Fatta salva la cover che continuo a trovare del tutto fuori contesto, anche la suite ha cominciato a prendermi (anche se non è il capolavoro che poteva far fare il salto di qualità decisivo all'album). Gli altri pezzi sono tutti tra il buono e molto buono. A questo punto 75 almeno per me lo meritano, soprattutto perché continuo ad aver voglia di premere play, cosa che recentemente non mi e successo con i miei (cmq amati) dream theater |
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10
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anche per me,ora speriamo in un tour perchè la volta scorsa me li ero persi,e leggendo il report ci rimasi male per la scarsa affluenza,di sicuro non è un disco vuoto e senza anima,alder non è uno che sforna tanto cosi' per far soldi,chi lo conosce lo sa |
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8
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d'accordo con entropy,la suite è un po tirata e slegata,la cover degli who se la potevano evitare,ma il resto è buono,non li paragono ai dt,ma visto che si fa un confronto ho preso un altro disco di prog metal,non li potevo certo confrontare ai metallica o maiden,comunque sia è un buon disco e non merita certe critiche,alder si mantiene ancora bene e la parte strumentale è ricca di spunti pregevoli,logico che non sono i vanden plas ( anche qui ho preso una prog metal band come riferimento ),sono un side project |
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7
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paragoni con i dt a parte (che ci possono anche stare poichè fanno un genere simile,nel quale i Dream T sono e rimangono un punto di rifermento , almeno per quanto fatto negli anni 90), direi che la recensione è un bel pò spietata, anche se posso capire la delusione per chi adorato album come fullness (capoalvoro) , ma anche dei fantastici lavori quali snowfall e origin of ruins. Però in fondo già con il predente il livello si era abbasato e la proposta era diventata un pò troppo "monolitica". In questo senso il nuovo album è un pò più vario del suo predecessore, ma grossomodo rimane su quei livelli ed e penalizzato sopratutto dalla suite non troppo riuscita ( in effeti mi sembra un pò slegata tra i suoi vari momenti, ma può essere che con altri ascolti possa apprezzarla di più) e dalla cover. Gli altri pezzi sono più che buoni. Direi un 68 striminzito, ma con loro di solito col tempo il mio giudizio migliora. |
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6
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Paragonarli ai DT è sbagliato a prescindere. Disco mediocre cmq, voto 60-65 |
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5
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ascoltato in streaming,è sicuramente meglio del precedente e mi ha già preso molto più dell'ultimo dream theater,chi li conosce vada sul sicuro che non sarà deluso,per ora mi ha preso di brutto "center of the fire " che da sola vale tutto il disco, ancora un po di ascolti ma credo vada oltre gli 80 di voto,ci sono molte più tastiere che nel precedente,comunque un bel disco |
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4
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Vista la media dei voti normalmente attribuita nelle recensioni (vedasi l'ultima vacuità dei DT)...spero tanto che questa sia totalmente cannata perché altrimenti ci troviamo di fronte ad un pessimo disco!! Vedremo |
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3
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The fullness of time e snowfall.......... sono capolavori |
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2
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Anche io devo ancora ascoltarlo (l'ho ordinato ma non è ancora arrivato). Quando arriverà dirò la mia...e spero sia diversa La mia speranza maggiore è che il mio album preferito dei Redemption è The Origins of Ruin, che invece è sempre mal giudicato dai più |
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1
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devo ancora ascoltarlo ,ma il giudizio che ne dai è impietoso per una band che ha fatto almeno due capolavori (quelli che hai citato ) in campo prog metal,spero di dovermi dissociare al più presto dalla tua rece. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Art of Loss 2. Slouching Towards Bethlehem 3. Damaged 4. Hope Dies Last 5. That Golden Light 6. Thirty Silver 7. The Center of the Fire 8. Love Reign o’er Me 9. At Day’s End
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Line Up
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Ray Alder (Voce) Nick van Dyk (Chitarra, Tastiera) Bernie Versailles (Chitarra) Sean Andrews (Basso) Chris Quirarte (Batteria)
Musicisti Ospiti: Simone Mularoni (Chitarra nelle tracce 1,2,9) Chris Poland (Chitarra nel tracce 1,2,4,6,7,8,9) Chris Broderick (Chitarra nella traccia 6) Marty Friedman (Chitarra nelle tracce 1,6) John Bush (Voce nella traccia 8)
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RECENSIONI |
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