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Birth of Joy - Get Well
03/03/2016
( 2204 letture )
172 live shows in un anno sono un numero francamente difficile da concepire, ma gli olandesi Birth of Joy sono riusciti in questa mirabile impresa che rimanda ai tempi eroici e leggendari del rock’n’roll degli anni settanta. La frenetica attività sui palchi non è l’unica cosa che collega questo trio con l’epoca d’oro dell’hard rock, praticamente ogni cosa che fanno e, soprattutto, suonano ha un fortissimo rimando a quel periodo magico fatto di libertà, eccessi, speranze ed enormi cambiamenti. La band non è la prima né sarà l’ultima a rifarsi a tutto questo, ma esiste una netta linea di demarcazione fra i semplici nostalgici imitatori e coloro i quali, ispirandosi al passato, sono in grado di dire qualcosa di diverso e personale, anche se non necessariamente “nuovo” in senso assoluto. I Birth of Joy ricadono in modo inequivocabile nella seconda categoria e con questo Get Well, terzo studio album della carriera, provano a confermare quanto di buono avevano fatto vedere nel precedente Prisoner.

La prima band che salta all’orecchio come madre putativa del sound dei tre di Utrecht sono i The Doors, soprattutto per il sapientissimo utilizzo di organo e tastiere di Gertjan Gutman che dimostra di aver imparato alla perfezione la lezione del sommo maestro e mai abbastanza incensato Ray Manzarek, nella capacità di essere in equilibrio tra l’essere protagonista e allo stesso tempo costituire una solida impalcatura su cui si reggono tutti gli altri strumenti. Notevole è anche l’influenza di David Gilmour e soci insieme agli spaziali Hawkwind, nella capacità di creare di atmosfere lisergiche e oniriche che caratterizzano molte delle tracce. Last but no least, è facilissimo accostare quello che si ascolta su Get Well ai grandi maestri Deep Purple, sia per l’ispirazione di sua santità Jon Lord nei riff di chitarra “raddoppiati” dall’organo sia per lo stile generale delle tracce prettamente, all’appello non possono mancare nemmeno gli Zep che portano un po’ di Bonzo nel drumming di Bob Hogenelst. A tutto questo si vanno a sommare tante altre piccole dosi di Stoner e Garage che contribuiscono a dare freschezza compositiva al risultato.
L’organo è subito al centro della scena nell’apertura: Blisters con un arrangiamento orecchiabile e acido al punto giusto, lanciato a grande velocità da un pattern di batteria ricco di ghost notes che da un senso di urgenza schizofrenica alla song, interrotto solo dallo stacco centrale sognante e disturbato. Prova maiuscola, qui come nel resto del disco, per il vocalist Kevin Stunnenberg capace di passare da un registro aggressivo ad uno suadente senza apparente difficoltà. Percorso fatto di cambi di atmosfere anche per Meet Me at the Bottom, con una strofa leggera guidata dal basso e dall’Hammond che esplode letteralmente in un ritornello saturo di groove e di spirito seventies così come il solo di chitarra dissonante. L’ispirazione di Choose Sides arriva dal grande Syd grazie ad una melodia della tastiera psichedelica accompagnata da suoni e rumori “spaziali” ed una voce altamente filtrata; Numb procede sullo stesso registro onirico in apertura, per guadagnare quindi crescente vigore nel bridge sempre trascinata dall’organo e poi ritornare all’apparente tranquillità. Blues rock della migliore scuola britannica e una sana secchiata di Profondo Porpora trovano posto nell’ottima Midnight Cruise guidata da un basso incisivo e pulsante come un martello e dall’Hammond grandioso in fase solista nel dialogo con la sei corde altamente distorta. L’atmosfera e il cantato quasi parlato di Carabiner ricordano il Mr. Cooper dell’epoca settantiana a cui si aggiunge la solita sfuriata di organo, che spadroneggia anche nella successiva Those Who Are Awake accompagnato da un ottimo lavoro dietro le pelli e dal “solito” stacco stralunato a metà song. Indemoniata, come dice già il titolo, You Got Me Howling una cavalcata ad alta velocità trascinata dalla martellante batteria di Hogenelst; calma dopo la tempesta visto l’approccio space/psichedelico della traccia più lunga del lotto Get Well, vero caleidoscopio sonoro altamente coinvolgente e che più seventies non si può. Chiusura con il botto affidata a Hands Down a cui il nume tutelare di ogni hard rock drummer che si rispetti, Mr. Bonham, dona un groove fatto di rullate secche e incessanti accompagnate dal ride in levare che danno alla traccia un mood quasi danzereccio e altamente ipnotico.

Get Well ci consegna una band in forma spumeggiante, per niente affaticata dall’estenuante attività sui palchi, pronta a riversare tonnellate di rock sul fortunato ascoltatore. L’errore più grave che si può fare approcciando i Birth of Joy è quello di pensare di trovarsi di fronte ad una semplice copia sbiadita degli eroi dei tempi che furono, i tre ragazzi di Utrecht partono di certo dai padri fondatori, ma mixano le varie influenze con grande perizia e originalità aggiungendo anche tanto del loro per arrivare ad un risultato innegabilmente vincente. Il tour di promozione di questo disco partirà e c’è da sperare che fra le innumerevoli date faccia tappa anche nel nostro paese per vedere dal vero questi olandesi formidabili.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
90 su 1 voti [ VOTA]
deris
Lunedì 9 Luglio 2018, 20.22.36
2
che geni
Lizard
Sabato 5 Marzo 2016, 18.10.58
1
Questi ragazzi sono forti davvero...
INFORMAZIONI
2016
Long Branch Records/SPV
Hard Rock
Tracklist
1. Blisters
2. Meet Me at the Bottom
3. Choose Sides
4. Numb
5. Midnight Cruise
6. Carabiner
7. Those Who Are Awake
8. You Got Me Howling
9. Get Well
10. Hands Down
Line Up
Kevin Stunnenberg (Voce, Chitarra)
Gertjan Gutman (Organo, Basso)
Bob Hogenelst (Batteria, Voce)
 
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