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19/04/24
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Diamond Head - Canterbury
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09/04/2016
( 3817 letture )
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Gli anni 80 sono stati forse il periodo di maggiore importanza per l’evoluzione della musica metal. A quell’epoca appartengono alcuni dei più importanti lavori della storia di questo genere musicale, che hanno reso leggendari alcuni nomi tutt’ora osannati. Tra questi i Diamond Head rappresentano forse uno dei gruppi insieme più coraggiosi e sfortunati di quel periodo. Coraggiosi perché furono una delle pochissime band del periodo NWOBHM a spingersi verso territori non esattamente in voga a quei tempi, ripescando quelle sonorità tendenti al primo hard rock degli anni ‘70; sfortunati perché ciò li portò a non ricevere il giusto apprezzamento da parte dei fan dell’epoca, e questa fu, con tutta probabilità, una delle cause del loro prematuro scioglimento. Canterbury (che originariamente doveva chiamarsi Makin' Music, come la traccia d’apertura) fu forse l’album che più di ogni altro diede inizio a questa svolta stilistica tanto bistrattata all’epoca.
Infatti fin dalla opener, con i suoi riff ispirati ed un ritornello corale che vuole essere un inno al Rock’N’Roll, si può notare l’evidente "calo di gain" nelle distorsioni ed un atmosfera lontana da quella portata avanti dagli illustri colleghi che in quegli anni ridefinivano il concetto di heavy metal: via i mostri dalle copertine, via i ritmi martellanti e via le atmosfere minacciose, quello che si sente fin dalla prima traccia è un hard rock che pesca a piene mani dal decennio precedente. Così la seguente Out of Phase, più morbida e spensierata, nella quale Brian Tatler intesse i suoi arpeggi chitarristici lievemente distorti che fanno da sfondo alla scintillante interpretazione di uno Sean Harris ispirato come pochi ed in grado di incantare con il suo timbro acuto ed i suoi lunghi vocalizzi. Decisamente più cupa è invece la seguente The Kingsmaker, nella quale fa il suo ingresso anche un piacevole contorno di tastiera ad opera di Josh Phillips-Gorse, mentre i cori onnipresenti contribuiscono a creare una melodia vagamente dissonante quanto azzeccata, che ricorda alcuni lavori dei Led Zeppelin. Ma l’evidente ispirazione alla band di Page e soci presente Canterbury è destinata a crescere col procedere del disco, fino a raggiungere il suo apice con la splendida To The Devil His Due, brano dai toni più seri nel quale Harris rifà spudoratamente il verso a Robert Plant (nel testo sono presenti addirittura le parole Good Times Bad Times), mentre tutt’intorno si susseguono arpeggi e riff splendidamente concepiti ed un leggero accompagnamento di tastiera e cori danno il tocco di classe a quella che è, con tutta probabilità, la canzone più riuscita dell’intero platter. Dopo una perla simile però i Diamond Head non si scompongono, riuscendo a mantenere alto il livello qualitativo dell’opera con brani come la squisitamente arabeggiante Ishmael, la coppia Knight of the Swords (dal ritornello in grado di fissarsi nella memoria dell’ascoltatore) e I Need Your Love composte da suoni più classici ma ugualmente riusciti, ed in chiusura la splendida Canterbury, introdotta da una sognante sezione di pianoforte che verso la metà del brano sfocia in una cavalcata hard’n’heavy dalle melodie fortemente accentuate.
Criticato all’epoca della sua uscita per le scelte stilistiche orientate verso un sound meno aggressivo e più "zeppeliano" (influenze riscontrabili sia a livello compositivo che stilistico), il terzo album dei Diamond Head ha dovuto attendere molti anni prima di venire riconosciuto per quello che effettivamente è: un’opera fresca e frizzante, che sprizza passione ed energia da ogni singola nota. Un piccolo gioiello che rifugge da tutti gli stilemi dell’epoca che lo ha visto nascere, e forse è proprio questa una delle cause del suo insuccesso al momento della pubblicazione. Perché, come già detto in precedenza, Canterbury non è atmosfere cupe, ritmi martellanti e suoni aggressivi, ma, come cita persino il ritornello della prima traccia, Canterbury è semplicemente fare Rock’N’Roll.
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5
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per me, e ripeto, per me e' da togliere quel forse ad inizio, detto questo che piaccia o no, per me e' un disco quasi perfetto, raffinato, sembra appunto di leggere un libro di storia del rock, della terra dell'Albione, e' sempre una giga medioevale con refrazioni yankee, e' per palati fini non per buzzurri. c'e' anche qualcosa dei Led Zeppelin |
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4
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I Diamond Head sono durati un disco e mezzo, ecco perchè non hanno avuto successo il resto è fuffa |
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3
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Considerato il vero capolavoro dei Diamond Head, io non l'ho mai apprezzato, ogni volta che ho provato ad ascoltarlo mi sono fatto due palle enormi. Raffinato, elegante con punte di classe, ma di una mosceria inaudita. Preferisco gli altri grandissimi album |
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2
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per me, è da avere! Capolavoro dell' heavy metal |
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1
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A tratti più raffinato del precedente, ma un filo inferiore in ragione del fatto che non ho mai apprezzato più di tanto Makin' Music, Out of Phase e One More Night. Perché il resto è qualcosa di indescrivibile eleganza e bellezza così in bilico tra medioevo, metal, oriente e mistero. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Makin' Music 2. Out of Phase 3. The Kingmaker 4. One More Night 5. To Devil His Due 6. Knight of the Swords 7. Ishmael 8. I Need Your Love 9. Canterbury
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Line Up
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Sean Harris (Voce) Brian Tatler (Chitarra) Josh Phillips-Gorse (Tastiera) Merv Goldsworthy (Basso) Robbie France (Batteria)
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