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Obsidian Kingdom - A Year With No Summer
13/04/2016
( 2380 letture )
Grigio-blu, carta zucchero, azzurrino, di nuovo grigio e poi una valanga di contrasto e distorsione verso ciò che satura gli occhi: viola acceso, intenso, un nero che copula con l’ignoto. Sono tutte le sfumature tenero-bellicose della particolare e particolareggiata cover di A Year With No Summer dei catalani Obsidian Kingdom, band che ha alle spalle un album autoprodotto di grande successo, quel Mantiis – An Agony in Fourteen Bites del 2012.
Parliamo di avventure sonore che apparentemente non conoscono confini. Il sound della band, elaborato ma spesso controllato, ci introduce a una realtà piacevole e nel contempo innovativa, senza dimenticare le influenze primarie e sfaccettate del gruppo. E’ un sound camaleontico, un po’ europeo un po’ americano. Un’altalena di sapori e contrasti, strette di mano e dissensi.

Piacevoli sfumature alla Deftones ci accolgono durante la traccia di apertura, title-track e nuovo biglietto da visita agrodolce. Un suono strisciante che rimbalza sulle scogliere del post-rock per auto-infarcirsi di distorsioni heavy e scale dissonanti, con echi distanti e spesso disperati. Non è un sound immagazzinabile e confezionabile a un primo acchito, quanto più un piacevole costrutto di pane e potenza rock, metallo mellifluo e raffreddato nella stagione mancante di cui si parla. Non c’è più l’estate e difatti il suono prodotto e promosso dalla band è spezzato e freddo, ibridato a dovere e, dove serve, siderale. Il bridge di AYWNS è nordico e sofferto, grezzo rispetto all’eleganza del brano e contrasta perfettamente con i sapori della portata principale, costituita da synth nevrotici e chitarre spalmate su scenari bui e rabbiosi.

Curioso piazzare il brano d’intermezzo 10th April come traccia numero due, con la prima parte recitata da Kristoffer Garm Rygg (Ulver), che ci prepara ai seguenti 4 minuti di elettronica e ambience, con alcuni synth a rendere il tutto estremamente lontano e distante, ma assolutamente concreto. È, come detto, un intermezzo più che un brano vero e proprio. Un ponte di sibilline strutture di natura prettamente "post", con una progressione non lunga ma comunque tesa, che si distende nella seconda parte della traccia, dove una tenera ma cupa tastiera ci disegna nella mente ossimori emotivi, facendoci pensare e sospirare in vista della prossima traccia.
Darkness, che supera i sette minuti di durata, si apre con un giro di basso semplice e diretto, tipicamente "live", seguito da un interessante riff dissonante accoppiato a una scarna batteria priva di trigger e alla voce interpretativa di Zero, che si pone a metà strada tra Chino Moreno e Ihsahn , creando un tappeto di parole davvero notevole. Poco dopo bissa il riff semi-distorto che fiorisce intorno al terzo minuto, così da promuovere il primo intermezzo/bridge della canzone, tra acidi colorati e spazi vuoti. Camminare per non essere inseguiti, correre per non essere catturati. Ma c’è anche tempo per una pausa, così i toni si rilassano lasciando spazio ai riverberi Pink Floyd-iani che dominano la parte centrale per poi scemare nuovamente negli arpeggi dissonanti. Le note sono utilizzate come principale propulsore per la voce ferma e statica di Zero, che gioca con le tonalità di M. J. Keenan ripetendo e scandendo le parole con teatralità compiaciuta. Il crescendo finale è emotivo e sognante, con la batteria in levare e i synth d’ambiente ad accompagnare il tutto, tra sorrisi, un sole timido e sentimenti ibernati da un secolo.

Facciamo fatica a muoverci e, dopo alcuni minuti di pausa, riprendiamo in toto la processione delle tre stagioni umane con i dieci minuti della prima suite: The Kandinsky Group, che vede la partecipazione straordinaria di Attila Csihar (Mayhem). E’ un brano semovente, pesante come l’acciaio piegato dal tempo, dove dolci vocalizzi si alternano ad aggressive intrusioni che richiamano gli Isis, in un oceanico pandemonio di musica progressiva e caleidoscopica.
Una delle caratteristiche e, se vogliamo, dei pregi principali della band è quella di sfuggire continuamente ai riferimenti. Mentre scriviamo siamo letteralmente sommersi dalle sensazioni. Alcune sfuggenti, altre mutevoli, altre ancora dannatamente concrete e vivide. E cosa dire del grandissimo e acido assolo che Seerborn Ape Tot piazza al sesto minuto, sconquassando tutto quanto con il geniale piglio dell’asso nella manica? Siamo ben predisposti, anche se pare che, a volte, la band ci metta del suo per appesantire l’ascolto. E non ci riferiamo alla durezza del suono, quanto più alla sua innaturale dilatazione. Alcune parti andrebbero forse levigate e tagliate per rendere il tutto più digestibile e, nel contempo, fragoroso e godibile. Il lavoro di cesello non appartiene ai Nostri, ma poco male perché i neuroni sono già in pista, e stanno ballando come piume drogate di petrolio al suono distorto, acido e contorto del brano, che si spegne insieme a un allarmante slow-tempo dettato dai riverberi chitarristici e dalla batteria pachidermica. Suite in archivio e padiglioni auricolari lievemente danneggiati.

Sosta per rifiatare e sperare in una calda carezza esterna. Speranzosi, ci dirigiamo verso la quinta stanza, dove percepiamo e sentiamo le tastiere cupe e isolate di The Polyarnic, che ci mettono sul "chi va la" insieme a un basso pulsante e distorto, ideale ponte ritmico per il passaggio fermentato e diseguale di Black Swan, che non avrebbe sfigurato sul grandissimo Clutching at Straws dei Marillion, con un’interpretazione vocale superba, vicinissima allo spirito e alla timbrica di Fish. Cuore e fantasia, quindi, in un vero portento dall’alto tasso emozionale, che si propaga nello spazio vuoto attorno a voi con il potere del passato e del futuro. Musica intrigante e tesa, rilassata e ponderata. Non a caso Black Swan è il brano più corto del platter, con la sua forma-canzone semplice e diretta. La base elettronica e sospesa ci mette a nostro agio prima del puzzle finale, costituito dalla seconda e ultima suite dell’album: Away /Absent, che racchiude lo spirito della band spagnola, estremizzandone i concetti, esaltandone i pregi e i difetti. Oltre 12 primi per il brano di chiusura, che -tormentato- ci consegna una band piena zeppa di inventiva e poliritmie di pensieri e suoni, chitarre ballerine e batterie tribali, passaggi di prog anni ’70 ed elettronica parlante e, a tratti, davvero esaltante. Ponti di subdola maestria che, frantumando il concetto di pop e normalità, ci consegnano un pacchetto magico ripieno di suoni.
Vocalizzi ruvidi e freddi synth anticipano un’accelerazione non distante dal black metal nel primo break della canzone, con distanti cori lo-fi, urla sovrapposte e tensione palpabile. Sembra di tagliare il dramma notturno con il coltello, in questa maledetta stagione mancante. Giorni a vuoto e fantasmi dal passato. Siamo in un trip fuori controllo, cullati dalla batteria esotica di Ojete Mordaza II e dal basso-protagonista di Om Rex Orale, protagonista di un cinematografico bridge strumentale, che anticipa un up-tempo ricco di disperazione e sentimenti diametralmente opposti, dove le chitarre si impastano creando crema cosmica e, scevre da sovrastrutture e barocchismi, ci accompagnano verso lidi distanti e un finale improvvisamente spezzato e interrotto. Che sia tutto terminato?

Una strana brezza, accompagnata da polvere e foglie secche ci investe spostandoci i capelli. Ci copriamo il volto, poi il ruvido suono di un vinile arma le casse, spostando l’ipercubo verso una dimensione acustica e bucolica, dove il mastermind Zero Æmeour Iggdrasil ci saluta con voce e chitarra dal bordo di una barca che, inesorabile, si allontana verso l’orizzonte grigio-blu che ci ha introdotto all’ascolto. Una chiusura rarefatta e fuori dal concetto tipico di ridondanza finale. Profumi di mare e tempeste, distanti anni luce dal fragore estivo, in un vero scenario di isolamento e profondità emotiva.

Gli Obsidian Kingdom hanno capito dove colpire, con forza e tenacia, inventiva e cuore, lasciando indietro un mondo fatto di schemi preimpostati e regole precise. E’ un cammino evolutivo arduo e spigoloso, tra le montagne che squarciano l’orizzonte e l’ignoto subdolamente nascosto nella nebbia. Procedete con cautela.



VOTO RECENSORE
72
VOTO LETTORI
77 su 7 voti [ VOTA]
Miky71
Martedì 19 Aprile 2016, 13.50.23
5
Veramente brava questa band catalana. È vero che questo album si discosta alquanto dal precedente ma , a mio parere, è giusto così, la ripetitività alla lunga annoia. Quello che conta è la qualità unita ad una buona tecnica musicale e questo disco possiede sia l'una che l'altra. Sicuramente ci sono dei margini di miglioramento, ma questo è solo il loro secondo album, diamo tempo al tempo. I presupposti per far bene ci sono tutti.
Graziano
Giovedì 14 Aprile 2016, 17.08.23
4
Primo album mraviglioso, in attesa che mi arrivi il secondo. Ho letto della palese diversità trai due dischi, spero non deluda. Questi catalani ci sanno fare!!!
vale50
Giovedì 14 Aprile 2016, 11.05.46
3
Voto giustissimo per un album di qualità, diverso dal primo, ma la band conferma una buona tecnica . Musica prog non facilissima, da ascoltare più volte prima di poterla ben assimilare. Bella anche la copertina, sfumata e un po' naif.
Flv
Giovedì 14 Aprile 2016, 9.24.15
2
il disco ad un primo acchitto e' difficilissimo da inquadrare e puo' risultare difficile entrarci dentro ma vi consiglio di non fermarvi ai primi ascolti perche' lentamernte si rivela . Musicalmente irriconoscibili rispetto al debutto ma ugualmente intriganti
roxy35
Mercoledì 13 Aprile 2016, 18.17.54
1
Il primo album di questo gruppo mi era piaciuto molto. Questo secondo lavoro non ho avuto ancora modo di ascoltarlo per cui non posso dare un giudizio. Il recensore ne parla bene per cui ritengo che probabilmente la band si è ripetuta su un buon livello di prog metal. Ascolterò anche questo album e, dopo, ne riparleremo, giusto per essere obiettivi.
INFORMAZIONI
2016
Season of Mist
Prog Rock
Tracklist
1. A Year With No Summer
2. 10th April
3. Darkness
4. The Kandinsky Group
5. The Polyarnic
6. Black Swan
7. Away / Absent
Line Up
Zero Æmeour Iggdrasil (Voce, Tastiera)
Rider G Omega (Chitarra, Voce)
Seerborn Ape Tot (Chitarra)
Om Rex Orale (Basso)
Ojete Mordaza II (Batteria)
 
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