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SOTO - Divak
18/06/2016
( 1480 letture )
Squadra che vince non si cambia. Detto abusato e forse mai stato del tutto vero, che nel caso dei SOTO sembra corrispondere esattamente ai fatti. Dopo la prima uscita con Inside the Vertigo di un anno fa, ecco quindi tornare alla carica Jeff Scott Soto con i suoi compagni d’avventura, a partire dall’ottimo chitarrista Jorge Salan, per proseguire con il batterista Edu Cominato, che a quanto pare riveste un ruolo di fiducia per Scott Soto, il quale condivide con lui il ruolo di produttore per il nuovo album Divak. Un disco importante, perché dopo che l’uscita precedente aveva suscitato al tempo stesso qualche dubbio e tanto entusiasmo, dividendo il pubblico per la modernità e l’aggressività dell’approccio, con Divak si attendeva la nuova band al varco, per capire quali sarebbero state le mosse dei cinque. Il fatto che la formazione sia rimasta la stessa, già la dice lunga sulle intenzioni e in effetti un cambiamento drastico non avrebbe di certo giovato alla credibilità del progetto, che anzi dopo un disco di partenza già molto solido e definito, doveva dimostrare di avere un respiro di lungo raggio e di non essere solo un episodio a sé stante.

C’è un solo di affrontare un disco come questo, come del resto il suo predecessore: prenderlo per quello che è. Un disco di hard rock “moderno”, diverso da quanto proposto in passato da Scott Soto. Naturalmente, questo può portare a conclusioni e valutazioni del tutto divergenti. C’è infatti chi non gradirà affatto questo tipo di sonorità, ritenendole troppo lontane da quelle che sono le aspettative legate alla carriera del cantante, c’è chi invece si approccerà all’album magari provenendo proprio da Inside the Vertigo o senza avere alcuna aspettativa in merito e ne sarà colpito per la qualità intrinseca. Certo che definire “moderno” un hard rock molto aggressivo e metallizzato, quasi vicino come sonorità ad un heavy/power/groove, appena tinto di qualche campionatura in qua e là, appare leggermente forzato. Si tratta comunque di sonorità codificate da appena vent’anni che probabilmente saranno state invece apprezzate moltissimo ad esempio in Accident of Birth e The Chemical Wedding, ad opera di Bruce Dickinson e compari. Che Scott Soto ci si avvicini all’alba del 2015 e nuovamente oggi non dovrebbe quindi suscitare scalpore o improbabili rimostranze, ma così va il Mondo e quindi visto che non si può fare a meno di considerarlo “moderno”, almeno però valutiamolo per il suo valore e non alla luce di un rifiuto verso sonorità ormai ampiamente sdoganate, anche all’interno del circuito hard rock, da anni. Divak è quindi un ulteriore passo in avanti rispetto ad Into the Vertigo e ne conferma l’approccio, con Scott Soto che privilegia un cantato carico e ampiamente appoggiato sulle note centrali della sua estensione, capace quindi di metterne in luce il timbro caldo e leggermente roco. L’interpretazione offerta è ottima, emozionante nei brani di maggior atmosfera e sferzante in quelli di impatto, con melodie queste sì assolutamente calate nella tradizione hard rock e ritornelli sempre convincenti e cantabili: fanno scuola in questo senso l’apripista Weight of the World, nella quale lo splendido refrain richiama le armonizzazioni dei King’s X (nome che tornerà spesso nel corso del disco, assieme a quello dei Savatage e dei Winger), Freakshow, Paranoia, Unblame, la ballad In My Darkest Hour, Suckerpunch Forgotten, Time (scritta a quattro mani con Gus G) e via discorrendo. Da parte loro, i musicisti si calano ampiamente nel repertorio fatto di riff potenti, grossi e aggressivi, quasi sempre centrati su midtempos rocciosi, ma al contempo resi dinamici da una ritmica mai veramente ferma, che non disdegna l’uso del doppio pedale. L’ampio e continuo ricorso a fraseggi solistici, anche armonizzati, d’altra parte, ci conferma appieno di trovarci in un ambito compositivo in realtà piuttosto classico, “rivestito” per l’occasione da sonorità moderne, ma dall’impianto solidamente settanta/ottantiano. Come già per il disco precedente, si eleva una spanna sopra a tutti il solismo di Jorge Salan, vero e proprio asso nella manica dei SOTO, ma Cominato e Zablidowsky non giocano affatto un ruolo da comprimari ed entrambi si fanno apprezzare per il prezioso contributo, di qualità e quantità, come ad esempio nell’assolo di Cyber Masquerade o nell’introduzione a Misfired. Infine BJ si rivela fondamentale nell’assetto della band, andando ad ispessire come seconda chitarra le linee di Salan, offrendo poi al contempo quel tocco di “modernità” grazie all’utilizzo non invasivo, ma centrale negli arrangiamenti, dei sintetizzatori; valga come esempio l’intro di Freakshow, canzone tra le più dure del disco assieme a Cyber Masquerade (che si avvina ai Savatage) uno dei momenti più alti del disco, poi subito bilanciate rispettivamente dalla più ben più canticchiabile Paranoia e dall’emozionante In My Darkest Hour, dedicata agli animali maltrattati dall’uomo. Ancora ottime Time e Misfired, mentre appena sotto le altre risulta Fall from Grace, forse anche a causa della lunghezza del disco, che comincia a farsi sentire. Chiude Awakened, probabilmente la traccia più veloce del disco e sicuramente una delle più dure, pur senza rinunciare alla consueta melodia, che si esprime nell’ottimo break centrale in particolare.

Divak è quindi un disco dalle caratteristiche delineate: suono potente, quasi vicino a sonorità metal e dal flavour piuttosto oscuro e rabbioso. La scelta degli arrangiamenti viene infiltrata però da un uso della melodia tipicamente hard rock, mentre l’utilizzo di due chitarre in funzione ritmica e solista rivela l’intento di ammodernare e potenziare un approccio altrimenti assolutamente classico. La credibilità con la quale la band ha costruito questa sua identità, il livello compositivo elevato lungo tutto il disco e l’ottima prestazione dei singoli, contribuiscono a donare a Divak uno spessore davvero notevole, ancora una volta vicino all’ottimo. Rispetto a Inside the Vertigo, inoltre, la maggior dinamicità sparsa lungo la scaletta rende l’ascolto più piacevole, pur venendo a rimarcare come la lunghezza dell’album e l’omogeneità dell’approccio finiscano un po’ per pesare sulle ultime tracce, non inferiori in niente alle precedenti, ma appunto ad esse fin troppo legate. Questo si intenda non significa che ogni canzone non goda di una propria precisa identità. Si parla infatti di approccio similare, non di risultato. Forse qualche ulteriore concessione strumentale avrebbe giovato e anche rincorrere un po’ meno l’approccio plumbeo e roccioso che caratterizza tutto il disco. Eppure, è difficile non riconoscere che questa band ha dato alla luce un secondo disco davvero meritevole. Complimenti ai SOTO, non era facile ripetersi, ma addirittura fare meglio è un risultato degno di nota.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
99 su 1 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2016
earMUSIC
Hard Rock
Tracklist
1. Divak
2. Weight of the World
3. Freakshow
4. Paranoia
5. Unblame
6. Cyber Masquerade
7. In My Darkest Hour
8. Forgotten
9. Suckerpunch
10. Time
11. Misfired
12. Fall From Grace
13. Awakened
Line Up
Jeff Scott Soto (Voce)
Jorge Salan (Chitarra)
BJ (Chitarra, Tastiera)
David Zablidowsky (Basso)
Edu Cominato (Batteria)

Musicisti Ospiti
Leo Mancini (Chitarra su tracce 2, 5, 7)
Tony Dickinson (Basso, Chitarra, Tastiera su traccia 3)
Al Pitrelli (Chitarra su traccia 11)
Chris Feener (Chitarra solista su traccia 3)
Roger Benet (Chitarra su traccia 4)
Kimberly Freeman (Cori su tracce 5, 11)
Connor Engstrom (Archi e orchestrazione su traccia 7, Tastiera e chitarra su tracce 12,13)
Luiz Portinari (Chitarra su tracce 8, 9)
Jason Rufus Sewell (Chitarra su traccia 11)
 
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