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CENTRALE ROCK PUB, VIA CASCINA CALIFORNIA - ERBA (CO)

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ALAIN JOHANNES + THE DEVILS + ANANDA MIDA feat. CONNY OCHS
RAINDOGS HOUSE, P.ZZA REBAGLIATI 1 - SAVONA

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TRAUMA hc
HEADBANGERS PUB, VIA TITO LIVIO 33A - MILANO

Vade Aratro - Il Vomere di Bronzo
26/06/2016
( 2662 letture )
Prog thrash? Folk prog? Folk prog thrash? Oppure un più generico prog metal? Perché non crossover o magari ancora il sempre ottimo "inclassificabile"? Loro lo definiscono "heavy metal agreste" e probabilmente è la definizione più calzante. Diciamo allora che potrebbe andar bene un più generico "metal", perché alla fine su questo non ci piove: metal è metal. Poi che specie di metal sia quella che compongono e suonano i Vade Aratro, lasciamo che siano gli ascoltatori a deciderlo.
Metal? Che sia metal, allora.

Partiamo dall’inizio: i Vade Aratro sono la creatura di Marcello Magoni e Il Vomere di Bronzo è il loro secondo album, dopo Storie Messorie che risale comunque al lontano 2007. I brani sono stati composti tutti tra il 2008 e il 2011, registrati tra il 2013 e il 2015 e finalmente pubblicati dalla lungimirante Andromeda Relix nella prima metà del 2016. Una lunga gestazione, che sembra seguire più il flusso dell’ispirazione e magari l’attesa per il momento giusto, che logiche puramente commerciali o di "carriera" in ambito musicale. Magoni d’altra parte non è solo un valido musicista, ma forse soprattutto un noto scultore e l’opera che fa bella mostra di sé in copertina è in effetti una sua creazione. Il band leader, ha poi trovato l’aiuto di un’altra coppia di artisti inquieti, Bruno Rubino e Giuseppe Brancato, batteria e voce dei siciliani Fiaba (non è un caso) che lo hanno aiutato nelle registrazioni dell’album. Infine, i Vade Aratro hanno trovato una formazione stabile che vede a fianco di Marcello Magoni, Federico Negrini e Riccardo Balboni.
Metal, dicevamo. Fino a qua, non ci sono dubbi e tentennamenti.
Descrivere però cosa suonino i Vade Aratro è tutt’altro che impresa semplice: si potrebbe richiedere uno sforzo immane al lettore, proponendogli di immaginarsi il risultato di uno scontro frontale tra i Mekong Delta, i Primus e il cantautorato italiano. Un prog/thrash malato e schizoide, con influenze che arrivano dal metal e un substrato lirico invece saldamente radicato nel folk cantautoriale. Perché al di là dell’insana proposta musicale, davvero non catalogabile, quello che caratterizza in maniera decisiva Il Vomere di Bronzo è l’identità testuale e iconografica, evocata sin dal titolo. Un bel salto indietro, verso un mondo contadino che non esiste praticamente più, con tutte le sue leggende e le sue storie, viste comunque in una chiave piuttosto grottesca e quasi spaventevole: storie come l’uccisione del maiale, dei lupi che appaiono nel grano, di streghe/befane che bruciano, di raccolti e campi di grano, di vecchi consumati dal lavoro nei campi, di chiese di campagna che convivono con rituali pagani, rivolte popolari e tanta fame. Il tutto raccontato da una impostazione teatrale che arriva al limite dello screaming, quasi un fumetto messo in melodie oblique e stralunate, per quanto spesso anche cantabili e piacevoli. Una qualità descrittiva e testuale di livello alto, davvero meritevole e affascinante, che ci catapulta in epoca pre-industriale, con una potenza immaginifica meritevole di ampia lode.
Insomma, siamo di fronte ad un gruppo decisamente originale e fortemente personale, che utilizza in maniera propria linguaggi musicali diversi, per quanto accomunati dall’appartenenza alla famiglia metal. L’ascolto, come si immaginerà, non è dei più semplici data la particolarità della proposta e l’approccio free che caratterizza il disco, eppure piano piano l’immersione nell’universo dei Vade Aratro si rivela carica di fascino e atavicamente irresistibile. E’ un richiamo antico, ma radicato nell’immaginario, quello che ci porta al thrash schizoide e furibondo di Maiale, che si regge tutta sulla descrizione in prima persona della morte dell’animale e della sua successiva trasformazione in generi alimentari. Siamo lontani da una rivendicazione vegana, ma la crudezza del testo difficilmente lascia indifferenti. Più vicina alla versione metal di una canzone cantautoriale si rivela L’Albero della Poiana, canzone più accessibile della precedente, per la quale è stato girato anche un video. Altro splendido e terribile racconto è quello dei Lupi nel Grano, canzone che rende in maniera perfetta la paura incontrollabile dell’uomo nei confronti della forza della natura, rappresentata dalla minaccia dei lupi attorno alle case coloniche sperse nelle campagne, alla quale si può contrapporre solo la forza distruttrice del fuoco, fino alla tremenda e folle conclusione. Veramente angosciante qua l’interpretazione di Magoni, che si associa al clima cupo e cadenzato del brano. Legate invece alla vecchiaia le due canzoni successive: Mani di Vecchi e Caramelle, che danno due versioni diverse dello stesso soggetto, con la seconda che richiama un celebre motivo e si concentra più sulla solitudine di cui sono spesso preda tante persone nella loro ultima età. A questo punto, il disco incontra una battuta d’arresto: sia A Brusa la Vecchia, che la resa metal di un motivo ecclesiale contenuta in TSOCS, i I Coppi sul tetto della Chiesa di San Giovanni e Viburno, pur conservando lo stesso fascino narrativo, stavolta incentrato sul rapporto con la Chiesa e i residui riti pagani rurali, mancano di qualcosa in termini musicali: sembra che la formula cominci a diventare un po’ ripetitiva e mancante di una vera evoluzione dinamica e melodica, per cui alla fine le canzoni tendono ad assomigliarsi troppo tra loro, perdendo di identità individuale. Tramonto con Formiche che riprende la via heavy/alternative/folk de L’Albero della Poiana si differenzia dalle precedenti e recupera l’attenzione dell’ascoltatore, che viene poi sublimata nelle due canzoni conclusive. Il Pane Selvaggio è la dura narrazione della fame, quella che soffre chi ha solo un po’ di farina e nient’altro per riempirsi lo stomaco, se non quello che trova per i campi da trasformare in pane. Qua a dominare è uno speed/trash che è una vera sassaiola e fa della canzone una delle migliori del disco. Chiude Il Diavolo in Carrozza, al quale partecipa Giuseppe Brancato contribuendo da par suo a caratterizzare un brano divertente e ironico che ben si presta a congedarci dal Vomere di Bronzo.

Tra tante band fotocopie e altrettante dannatamente attente a non fare niente che non sia esattamente rispondente ad un canone prestabilito da altri, trovare un gruppo dall’identità così forte, particolare e ottimamente tratteggiata, è davvero una boccata d’aria fresca. I Vade Aratro hanno realizzato un disco artistico nel vero senso della parola, coinvolgente in tutto: nei testi, nella particolare proposta musicale, nel booklet che accompagna il CD e persino nei foglietti informativi che ci provengono dalla casa discografica. "Heavy agreste" lo chiamano loro e la definizione è perfettamente calzante. Il disco non è destinato a piacere a tutti, questo è chiaro: l’originalità in qualche modo si paga. Eppure, perché non premiarla, questa rara figlia dell’ispirazione? Perché non darle spazio e merito? C’è qualcosa da rivedere, questo è indubbio: le canzoni si caratterizzano molto di più per i testi che per la musica, la quale rischia alla fine di essere troppo uguale a se stessa, nel rincorrere canoni particolari e fuori dagli schemi. Anche l’interpretazione di Magoni può risultare in qualche caso fin troppo marcata e carica. Allo stesso modo, è indubbio che quando il gruppo ricerca delle melodie più dirette, il risultato sia superiore. Si possono raggiungere livelli più alti e una band come questa ha il talento e la visionarietà per riuscirci. Intanto, al pubblico riservare la meritata attenzione: il mondo antico eppure così vicino cantato nel Vomere di Bronzo ha davvero tanto da dare, ora e in futuro.



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
83 su 4 voti [ VOTA]
Voivod
Lunedì 27 Giugno 2016, 11.46.20
3
Sempre geniale il buon Marcello!
carcaroth
Domenica 26 Giugno 2016, 19.41.51
2
Per me sono geniali
JC
Domenica 26 Giugno 2016, 15.55.08
1
Ascoltato su Spotify. Musicalmente un po' folk, un pochissimo prog, tantissimo thrash. Produzione molto compressa e che, anche sotto questo profilo, mi ha rimandato al thrash tedesco (tankard, destruction). Liriche veramente interessanti, che non possono lasciare indifferenti e che sono il punto di forza di questo progetto, che fa del suo concept il suo senso profondo. Soggettivamente non é il mio pane e non li riascolterò, però vorrei consigliare ai lettori di lasciarsi incuriosire. Se vi piace, sarebbe giusto premiare l'intelligenza e l'originalità di questa band.
INFORMAZIONI
2016
Andromeda Relix
Metal
Tracklist
1. Maiale
2. L’Albero della Poiana
3. I Lupi nel Grano
4. Mani di Vecchi
5. Caramelle
6. A Brusa la Vècia
7. TSOCS
8. I Coppi del Tetto della Chiesa di San Giovanni
9. Viburno
10. Tramonto con Formiche
11. Il Pane Selvaggio
12. Il Diavolo in Carrozza
Line Up
Marcello Magoni (Voce, Chitarra, Basso, Percussioni, Organo)
Bruno Rubino (Batteria, Voce su traccia 12)

Musicisti Ospiti
Porz (Voce su traccia 1)
Simone Lanzoni (Voce su traccia 6)
Piccy (Voce su traccia 6)
Marta e Marina Magoni (Voce su traccia 8)
Wichele Magoni (Suoni ed effetti sonori)
Giuseppe Brancato (Voce su traccia 12)
In Tormentata Quiete (Coro su traccia 12)
 
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