|
19/04/24
GOATBURNER + ACROSS THE SWARM
BAHNHOF LIVE, VIA SANT\'ANTONIO ABATE 34 - MONTAGNANA (PD)
|
|
The Velvet Underground - Loaded
|
10/07/2016
( 3966 letture )
|
Il 23 agosto del 1970 la parola fine sembrava esser stata messa su quella band così seminale che Lou Reed aveva creato circa cinque anni prima. Cinque anni che, visto il clima del periodo sessantiano e l'immensa storia dei Velvet, erano sembrati essere il doppio. In questo lasso di tempo estremamente pregno di eventi le cose erano cambiate, la musica con loro, ed i Velvet Underground avevano altresì compiuto un percorso evolutivo complesso, spesso sofferto, ma sempre coerente. Nonostante tutto, la notorietà stentava ad arrivare. Come sottolineato meravigliosamente nella stupenda biografia del poeta newyorkese scritta da Victor Bockris, la band era capace di riempire un club senza problemi in quasi tutta l'America, salvo scoprire che nessun negozio della zona era in possesso di copie di un qualsivoglia loro disco. Questo fatto non giocava sicuramente a vantaggio di un gruppo che oltre ad essere già di nicchia veniva additato nei modi peggiori perché non omologato né a livello testuale né tantomeno a quello musicale. I Velvet Underground parlavano di eroina, di mistress, travestiti e prostitute, di orge omosessuali e di amanti uccisi. Anche quando Lou cercava di proporre qualcosa di più abbordabile risultava comunque meravigliosamente artistico: le sue canzoni d'amore non erano le classiche dichiarazioni fatte e finite, si trattava di poesie permeate di sentimento, che facevano trasparire emozioni contornate da una tristezza nemmeno troppo velata che tendeva a sottolineare la tragica fugacità di un amore.
Il gruppo, e soprattutto Reed, veniva bollato in malo modo dalla critica, che arrivò a definire lo stesso frontman come un “vero tossico” ma tutto ciò da solo non avrebbe scalfito l'animo d'acciaio di chi era riuscito a superare anche l'elettroshock in tenera età. Piuttosto, sarà la commistione di più problemi che può rivelarsi, come in questo caso, micidiale. Allo scarso riscontro effettivo con il grande pubblico si aggiungevano i problemi personali tra i vari membri della band: Sterling, indignato sin dal licenziamento di Cale e dal comportamento di Lou durante le registrazione dell'album omonimo, cominciò a discostarsi sempre di più dal resto della band, portando i rapporti con il frontman al minimo sindacale e tornando a prediligere molto più gli studi rispetto alla musica; Maureen si ritrovava forzatamente in pausa per via della gravidanza che stava portando avanti e Yule divenne argilla sempre più malleabile nelle mani di Steve Sesnick, manager del gruppo, che puntava a farlo divenire il rimpiazzo di Lou. L'intenzione era di plasmarlo a sua immagine, ma con quella commercialità in più dovuta al bel faccino ed alle pose da rockstar. Il manager arrivò così a destabilizzare definitivamente Reed spingendolo ad assumere quei pochi tratti differenti che il suo “clone” aveva. Il cantante passò dalla sua usuale staticità, divenuta oramai un marchio di fabbrica, al muoversi sul palcoscenico riciclando mosse alla Chuck Berry e simili. Tutto ciò minò profondamente Lou che pian piano vide la sua tanto amata creatura sfuggirgli dalle mani come tutto il resto della sua vita: il controllo sulle droghe era soltanto un vago ricordo, ora erano loro a controllare lui, facendolo precipitare in una spirale di paranoie sempre più nere e vorticose. Cercò di porre un freno agli incontri sessuali occasionali proprio mentre l'unico vero amore della sua vita -fino a quel momento- metteva la parola fine sulla loro travagliata storia. La famosa Shelley amata sin dai tempi dell'università a Syracuse era, infatti, rimasta incinta del marito ed aveva definitivamente scelto di chiudere i rapporti con Lou. Tutti questi fattori contribuirono allo sgretolamento dell'Io di Lou Reed, il quale tese a chiudersi sempre più in sé stesso, distanziandosi dal proprio gruppo, fino ad arrivare al culmine nella giornata del 23 agosto 1970, quando un Lou emotivamente, fisicamente e psicologicamente distrutto decise di dire basta e di tornare nella casa paterna per poter rimettere insieme i cocci della propria vita.
Nonostante tutto Loaded era stato inciso e sarebbe stato portato a termine in ogni caso. Sesnick aveva ottenuto ciò che voleva, Lou era fuori dai giochi e Yule poteva essere usato nel modo migliore. Finalmente il manager poté mettere bocca e mani sul disco. Quando Loaded uscì nel novembre del 1970 fu un qualcosa di inaspettato soprattutto per l'uomo che aveva creato tutta la musica contenuta all'interno di quel lavoro. Lou Reed rimase scioccato quando fece girare per la prima volta l'album sul giradischi: Sesnick aveva messo mano praticamente su ogni cosa, dei brani erano stati tagliati, parti di testo completamente eliminate e persino gli arrangiamenti erano stati rivisti in qualche caso. Oltretutto l'ordine dei pezzi era stato cambiato, rendendo incomprensibile il filone generale che doveva fare da collante e conduttore tra i vari pezzi. Come se non bastasse gli smacchi a Reed continuavano anche nel retro copertina dove l'unico a comparire, contornato da strumenti, era Doug Yule, accreditato per primo tra i membri della band, mentre il nome del riccioluto compositore compariva dopo quello del chitarrista e di Sterling Morrison, con il palese intento di sminuire il suo contributo al disco.
Iniziamo quindi con l'analisi di questo lavoro parzialmente “mutilato” ma che riesce comunque a mantenere la potenza e la grandezza di un album che ha contribuito alla creazione di alcune tra le più grandi canzoni che il rock 'n' roll abbia mai visto. Il disco si apre con Who Loves the Sun e già avremmo materiale per parlare davvero molto -per questo ho riscontrato un ottimo approfondimento nei testi commentati di Lou Reed a cura di Paolo Bassotti. Il brano sottolinea il cambiamento che continuava ad avvenire all'interno del gruppo per poter finalmente fare breccia nel grande pubblico. Who Loves the Sun è un brano tranquillo, dai tratti leggeri, ma che rivela un testo molto più parodistico e dagli spunti chiaramente tristi di quanto possa far trasparire l'interpretazione di Yule a primo impatto o comunque a chi non è abituato addentrarsi nell'analisi dei testi di un artista come Lou. Dal punto di vista musicale il brano è molto lineare, accompagnato da una chitarra acustica che fa da colonna portante insieme alla linea di basso, e rivela il proprio punto forte nell'accattivante chorus, con tanto di coretto a seguito. Reed scrive un brano poppeggiante, che dovrebbe accattivare le masse ma lo fa rifiutando tutti gli stilemi di del brano leggero comune, facendo riconoscere irrimediabilmente il suo genio.
Standing on the corner, suitcase in my hand Jack is in his corset, and Jane is in her vest, and, me I'm in a rock'n'roll band
Con quest'immagine si apre una delle canzoni che, seppur contenuta nell'album meno rappresentativo della band per svariati motivi, finirà per diventare uno dei loro brani più famosi. Va ricordato anche come il brano abbia avuto una grande gestazione tra il '69 e il '70. La prima versione di cui si ha testimonianza è contenuta in 1969: Velvet Underground Live With Lou Reed, registrata presso il Matrix, locale di San Francisco. Questa versione differiva molto da quella che sarebbe finita poi sul disco: il testo era radicalmente diverso, la strofa iniziale sarebbe poi stata spostata in chiusura del brano e la Jane di cui si parla nel ritornello non viene approfondita sotto nessun aspetto. Anche la parte musicale era abbastanza differente, molto più morbida. Su questo filone si assesta il primo demo registrato, che vede il testo finalmente completo ma con una struttura musicale ancora lontana dalla quella finale. Il monolitico riff portante del brano, che finirà per diventare uno dei più riconoscibili della storia del rock, non presenta quel mordente che ha fatto innamorare così tante persone. Possiamo sentire la versione ultimata e completa nel disco Live At Max's Kansas City registrato in presa diretta proprio durante l'ultimo show di Lou. Inutile dire che la versione finale subì dei tagli da parte di Sesnick che ne mutilò la struttura per poterla utilizzare come singolo (tagliando una strofa) andando ovviamente ad intaccare un lavoro testualmente coerente. Quando si parla di un artista come Lou Reed, che scrive vere e proprie poesie, risulta ancora più inaccettabile un'azione del genere, soprattutto perché Sweet Jane presenta delle grandi differenze rispetto a ciò che l'artista aveva scritto fino a quel momento della propria carriera. Bersaglio centrale di tanti testi del newyorkese fu il ceto medio, quella borghesia tanto odiata che rivedeva nei propri genitori e in coloro che, arrendevolmente, erano corsi ai ripari di una vita normale, provando profondo disgusto nei loro confronti. Quello che scrive questo testo invece è un Reed diverso, cresciuto e destabilizzato dai tanti problemi, che proprio per questo, inizia a comprendere meglio anche quei borghesi tanto odiati che hanno compiuto semplicemente delle scelte differenti dalle sue e di molte altre persone. Il cantante comincia a vedere un elemento così sentito sotto una luce differente. La vita va in modo differente, per qualcuno può essere il rock 'n' roll e per qualcun altro un lavoro più canonico, come il banchiere o la commessa. Lou cerca di rendersi umile e di non elevarsi al di sopra di questi soggetti presi in esame, che risultano sì comuni ma comunque felici nella loro normale vita. I protagonisti del brano, Jim e Jane, hanno fatto le loro esperienze, come viene suggerito all'inizio del testo, ma in altri tempi: ora hanno un lavoro, risparmiano i soldi poco a poco, si rilassano davanti ad un camino ed ascoltano della musica classica; sono una normale coppia sul finire degli anni sessanta, ma ciò non significa che abbiamo tradito qualcosa o qualcuno.
But anyone who ever had a heart They wouldn’t turn around and break it And anyone who ever played a part They wouldn’t turn around and hate it
Ognuno ha il proprio ruolo nella vita, la propria “parte da recitare” e non c'è nulla di male in tutto ciò, si può anche essere felici e vivere bene. A testimonianza di questo vi era il verso finale del brano, quello eliminato da Sesnick, il quale dimostrava il cambiamento di Lou: delle parole così semplici e dolci che danno però il giusto epilogo al pezzo e che, secondo chi scrive, sottolineano la mancanza d'amore che Reed stava sentendo così tanto in quel periodo. Jim e Jane sono “scesi a patti” ma questo non fa di loro delle cattive persone, soprattutto quando si guardano l'un l'altro:
Heavenly wine and roses Seem to whisper to her when he smile
Forse è davvero questa la definizione d'amore più sincera che si possa volere. Sweet Jane è un brano perfetto sia testualmente che musicalmente, costruito su “quattro accordi” semplici e dannatamente meravigliosi. La musica può essere complessità, e da questa si possono ricavare dei lavori spettacolari, ma quando si riesce a creare qualcosa di così potente ma allo stesso tempo semplice è lì che si parla di capolavoro. Lo stesso Lou era solito scherzare a tal proposito: celebre la battuta durante il concerto che tenne a Los Angeles nel 2003, poi immortalato su Animal Serenade -da cui Sweet Jane venne però esclusa e rilasciata come singolo gratuito in versione digitale. Lou iniziò a suonare il riff del brano salvo poi fermarsi ed esclamare:
So I thought I would explain you how you make a career out of three chords. I know a lot of you been wondering new younger bands pay attention at this one. So you thought it's three, it's really four, watch.
Detto ciò iniziò realmente a spiegare come non fossero tre accordi ma quattro, con quell'innata classe che lo ha sempre contraddistinto.
Continuando nell'ascolto di Loaded troviamo un altro capolavoro immenso, ovvero Rock & Roll. Con questo brano Reed dichiara tutto il suo immenso amore a questo genere musicale tramite la figura di una piccola bambina che spiega come gli abbia salvato la vita. La protagonista del brano è la piccola Jenny, incarnazione dello stesso cantante. Jenny era una bambina come tante altre, quando aveva cinque anni nulla accadeva e le sue giornate trascorrevano nella monotonia. Qualcosa però accadde: un giorno accese la radio e si sintonizzò su una stazione di New York, scoprendo il rock 'n' roll che la colpì come un fulmine a ciel sereno. Quella strana musica la pervadeva, facendole provare emozioni mai sentite prima proprio come fece con Lou Reed da ragazzo. Si tratta di un testo, quindi, fortemente autobiografico dove torna la critica alla borghesia -ciò fa pensare che originariamente, seguendo un filone coerente, Rock & Roll si trovasse prima di Sweet Jane- e alla figura genitoriale. I tanto odiati genitori di Lou tornano in una precisa sentenza:
You know my parents are gonna be the death of us all
Troviamo una forte critica al consumismo quando viene specificato come non saranno certo due televisioni o una Cadillac ad essere d'aiuto. La vita di Jenny, di Lou e di tanti altri era stata monotona, grigia, fino a quando il rock non era entrato a farne parte. Citando lo stesso Reed potremmo dire che per molti il rock è stato la conferma che ci fosse davvero della vita al di fuori di ciò che avevano sempre visto. Rock & Roll è semplicemente la rappresentazione per antonomasia del genere di cui porta il nome, ha un ritmo unico, è potente ed estremamente accattivante. Si tratta del classico brano che riesce a tirare fuori quello che non sapevi di aver dentro grazie alla sua struttura sincopante che prima riesce a catturarti. Va sottolineato come in questo brano tutti dimostrino una forma grandiosa, tra cui spicca Sterling Morrison che con la sua chitarra fa faville. Il brano va sempre più degenerando fino ad esplodere violentemente in riff veloci e possenti riportando alla mente altri brani.
Cool It Down riprende il filone delle canzoni a sfondo urbano, con un ritmo sensuale, molto adatto al testo della composizione. Tratta quel tipo di testi ma lo fa con una verve minore rispetto ai molti capolavori del passato. Al centro di questo brano, dopo delle descrizioni sfuggenti e veloci di immagini singolari troviamo qualcuno che si affretta per avere del “W-L-O-V-E” andando ad incontrare Miss Linda Lee. Ovviamente la donna è una prostituta e la sua figura si erge nel testo. Il brano tratta quindi di un uomo che, preso dalla spasmodica voglia di sesso, si accinge ad incontrare una prostituta. A causa dalla foga del momento vorrebbe raggiungere l'amplesso velocemente ma, a questo punto, è Linda Lee che interviene, proprio nel ritornello, consigliando all'uomo di calmarsi in modo da poter godere più a lungo. Ad adornare il racconto troviamo la chitarra sorretta da un impianto di matrice molto classica con pianoforte e fiati. Arriviamo quindi all'ennesimo brano vittima di tagli, ovvero New Age. Questo pezzo, come anche Sweet Jane, subì dei grandi cambiamenti dal primo stato embrionale ed uno stravolgimento a livello testuale che ne cambiò completamente il senso. La prima versione è ascoltabile sempre nel disco 1969: Velvet Underground Live With Lou Reed. Questa e quella finale sono praticamente agli antipodi sia per il tipo di narrazione che per il contenuto. La prima stesura è narrata in maniera soggettiva, con riferimenti molto probabilmente personali e lascia intendere una voglia di cambiamento -non si tratta dell'unico brano dove viene affrontato la visione di una “nuova era/nuova vita” all'interno del lavoro. La seconda è una storia raccontata dall'esterno in modo scettico, impassibile. Le tinte amaramente disilluse fanno sembrare tutti gli elementi del brano una grande finzione. Abbiamo un uomo che incontra una famosa attrice e cerca di sedurla ma non tanto perché voglia farlo quanto perché debba. Si limita a fare ciò che deve, ad interpretare quella parte che oramai gli è stata cucita addosso e che egli stesso, forse perché troppo stanco o disilluso, non ha intenzione di abbandonare, mostrando una chiara similitudine con il mestiere della donna. Anche qui ritroviamo quel filo conduttore che avrebbe dovuto accompagnare l'ascolto del disco, visto l'argomento del “recitare una parte”. La nuova era non finisce di certo per cominciare con questo brano che sembra più una bugia detta a sé stessi. Il pezzo passa dal microfono di Lou, come era in origine, alla voce dolce e pacata di Doug Yule che lo interpreta in maniera molto emozionale. La composizione, dalle tinte morbide, venne tagliata da Sesnick che eliminò tutta la parte finale.
La rabbia e il rock pulsante tornano con Head Held High, che vede un Reed estremamente violento dietro il microfono. Il brano è sostenuto da un’ottima linea di batteria e chitarra; curioso vedere come venga usato un tipo di effettistica ripreso poi in maniera massiccia durante gli anni novanta dall'ondata grunge. Ci troviamo di fronte all'ennesimo brano sincopante che accompagna un testo altrettanto degno che torna a criticare un certo tipo di figure genitoriali. Il bersaglio sono coloro che non accettano i propri figli per ciò che sono e cercano di plasmarli nel modo che più li aggrada. In questo caso, quasi a sottolineare il paradosso per un uomo che ha sofferto così tanto a causa della sua sessualità non compresa dalla propria famiglia, i genitori vogliono che il figlio diventi un ballerino in maniera quasi spasmodica. Non sono interessati ai sentimenti o dal volere del ragazzo, hanno solamente intenzione di spingerlo a fare ciò che vogliono.
Oh the answer was, hey become a dancer Head up high Well, but just like I figured they're always disfigured They got their heads up high
Con Lonesome Cowboy Bill si passa al country in piena regola -troviamo nuovamente Yule alla voce, il quale cerca spudoratamente in questo brano di ricalcare il timbro vocale di Reed-, con un brano dalle tinte allegre e senza troppe pretese che non sembra voler avere un significato particolare, se non richiamare un film dal titolo molto simile di Warhol che trattava per l'appunto dello stereotipo del cowboy e dove quest'ultimi erano rappresentati come gay. Non troviamo particolari sottintesi in quel che vuol essere un brano tranquillo ma potenzialmente potrebbe comunque avere un significato legato ai problemi interni che la band stava vivendo. Da notare come i Velvet Underground riescano in ogni veste indossata, che sia il rock più sporco, il blues o il pop fino ad arrivare al coutry. Tutto ciò che questa band decideva di fare lo faceva dannatamente bene. I Found A Reason continua la sperimentazione country con un brano struggente dove le voci di Yule e Reed si sovrappongono mischiandosi a dolci cori e a parti recitate. Il testo non è così facile da capire rispetto a ciò che si potrebbe pensare leggendolo: a primo impatto sembra di avere davanti una dolce canzone d'amore ma se si considera il periodo in cui il pezzo venne partorito si potrebbe propendere molto più per una visione cinica e parodistica, che sicuramente si avvicina molto più alla figura di Reed in quei giorni così duri, anche per il rifiuto della donna che amava. Sembra oltretutto esserci dell'incertezza di fondo sempre dovuta al delicato periodo in cui la composizione nasce. Torna l'argomento del viaggio con Train Round the Bend dove Lou sottolinea le sue origini cittadine, facendo tornare un uomo che ha provato a fare il fattore alla sua vera casa, la giungla di cemento e asfalto da cui non può e non vuole stare lontano, contrariamente a ciò che di solito si può trovare in una composizione che si basa sul tema del viaggio. Lou affronta il brano in maniera scanzonata ma allo stesso tempo aggressiva, sottolineando la voglia di cambiamento, o ritorno ad uno status quo, che dir si voglia, del protagonista. Egli è scoraggiato -e qui ha ragione chi sottolinea come si potrebbero trovare riferimenti alla band stessa- dagli inesistenti risultati del suo duro lavoro e decide quindi di abbandonare quella vita e tornarsene a casa, proprio come farà il nostro compositore prima dell'uscita del disco. Il canto del cigno di uno dei gruppi più importanti che il mondo abbia mai avuto modo di vedere è quindi giunto. Ma com'è che si chiude un album del genere? Semplice, con il niente e questa volta il mescolamento delle tracce sembra quasi fare il verso. Perché questo è Oh! Sweet Nuthin', una canzone che tratta del nulla, o meglio del non avere nulla, e ci mostra tanti soggetti diversi, com'è uso dell'unico Lou Reed. Assistiamo quindi ai drammi personali di Jimmy e Ginger, di Pearly Mae e Joanie Love, empatizzando con loro fino a sentire questo nulla che li attanaglia. Ed è così, in maniera quasi ironica e onirica, che si chiude la carriera di una band monolitica, sulle dolci e tristi note di una malinconica parata dove sfilano i dimenticati, i derisi e gli abbandonati, nel miglior stile dell' “American Poet”.
Siamo arrivati, infine, al termine di un lungo cammino fatto di tante parole ed analisi iniziato con White Light/White Heat, che mi ha permesso di parlare nella maniera più approfondita possibile di alcuni tra gli album più seminali della storia del rock, i quali hanno gettato le basi per talmente tanta musica futura da non essere ancora stata scritta. Loaded si incastra perfettamente in tutto ciò: è la conclusione di un percorso, lo stadio finale di una continua evoluzione che ha reso questa band grande, anche se a posteriori. Sicuramente se Lou avesse resistito fino alla fine della produzione dell'album -suo grande rammarico- staremmo parlando ancor di più di un capolavoro, un album proposto al pubblico per com'era stato concepito, con il giusto filo logico e senza storpiature di sorta dovute ad ego troppo grandi. Loaded è una testimonianza immensa, nonostante risulti parziale per i motivi sopra citati, ma presenta comunque della gigantesca inventiva, dei brani ottimi ed alcuni degli inni più fenomenali della storia del rock. Per rimediare in parte a ciò non posso far altro che consigliarvi di ascoltare la Fully Loaded Edition che presenta i brani senza alterazioni di sorta, con tanto di demo ed outtake -come Ocean e Ride Into the Sun che finiranno successivamente nel primo lavoro solista di Reed- in modo da avere un’esperienza più completa che non vi faccia dannare per gli sbagli fatti con qualcosa dal così grande potenziale. Successivamente a Loaded le cose naufragarono, della band non rimase più nulla, nonostante i tentativi di Lou di ricontattare Sterling, ad esclusione di Doug Yule che manovrato dalle mani di Sesnick pubblicò un ennesimo ed ultimo album sotto il nome dei Velvet Underground intitolato Squeeze, creando un flop senza precedenti. Un album completamente vuoto, dalle tinte pop, che nulla aveva di quel nome di cui si faceva carico sottolineando come la mente di qualcuno fosse l'elemento fondamentale per la creazione di vera e propria arte. Dovremmo aspettare il 1993 prima di rivedere la formazione originale -senza Yule e con quell'artista visionario di John Cale- calcare nuovamente i palchi insieme. I Velvet Underground sono stati una band imprescindibile, per la loro innovazione anni luce avanti rispetto al tempo, gettando le basi per interi generi venti, trenta anni prima che venissero anche solamente pensati, purtroppo spesso accantonati rispetto a band più blasonate e sicuramente meno meritevoli. Questi musicisti, capeggiati dall'estro geniale -e anche dittatoriale se vogliamo- di Lou Reed ci hanno dato talmente tanto che risulta praticamente impossibile tirare fuori una descrizione degna usando qualsivoglia parola. L'unica cosa da fare è prendere i loro dischi, ascoltarli, cercare di capire e carpire ogni più piccolo particolare di quella che è vera e propria arte. In chiusura vorrei ringraziare tutti coloro che si sono presi la briga di seguire e leggere questi immensi sproloqui, i Velvet Underground per la loro immortale musica e Lou Reed per essere sempre una fonte d'ispirazione imprescindibile.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
5
|
questo album è semplicemente un capolavoro da avere. voto: 92/100 |
|
|
|
|
|
|
4
|
I miei preferiti dei VU rimangono il disco della banana e "White Light/White Heat". Qui si tuffarono a capofitto nel pop ma...fossero tutti gli album pop così...solo per "Sweet Jane" e per la bellissima "New Age" si merita 95. Ho l'LP credo originale, ereditato dal mio vecchio genitore. |
|
|
|
|
|
|
3
|
Recensione da applausi, complimenti davvero. Ovviamente anche per me questo è dei primi tre dischi dei VU (il resto non lo considero neanche praticamente) il più debole, ma comunque un lavoro obbligatoriamente da ascoltare. Anche solo per Sweet Jane dai... |
|
|
|
|
|
|
2
|
Concordo con Suárez. L'85 finale è esagerato, per quello che può valere un voto. Il punto, cmq, è che sfigura dinanzi agli altri album della discografia Velvet Underground.... ciò, tuttavia, non significa necessariamente che sfigura in generale. |
|
|
|
|
|
|
1
|
Decisamente il loro lavoro piu fiacco, rispetto ad un White light sfigura decisamente |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
|
|
|
|
|
Tracklist
|
1. Who Loves the Sun 2. Sweet Jane 3. Rock & Roll 4. Cool It Down 5. New Age 6. Head Held High 7. Lonesome Cowboy Bill 8. I Found A Reason 9. Train Round the Bend 10. Oh! Sweet Nuthin'
|
|
Line Up
|
Lou Reed (Voce, Chitarra, Pianoforte) Sterling Morrison (Chitarra) Doug Yule (Voce, Basso, Chitarra, Tastiere, Batteria) Maureen Tucker (Batteria, solamente accreditata)
Musicisti Ospiti: Billy Yule (Batteria) Adrian Barber (Batteria) Tommy Castanero (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
|
|
|
|
|
|
|
|