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The Doors - Other Voices
03/08/2016
( 3594 letture )
Il 18 ottobre 1971 ebbe inizio l’ultima parte della carriera discografica dei The Doors. Una parte che si sarebbe conclusa ufficialmente solo con l’uscita di An American Prayer nel 1978. Erano passati poco più di tre mesi dalla morte di Jim Morrison eppure i tre membri superstiti della band non esitarono nel proporsi al mercato con un nuovo album, che già dal titolo si presenta come un manifesto programmatico: Other Voices. Morrison non c’è più, ma la band non prova neanche a sostituirlo, seppure in primo tempo qualche cosa fosse trapelata. I tre sceglieranno la strada più impervia, ovverosia, quella di rinunciare ad un vero e proprio frontman e proseguire come trio, affidando le parti vocali in primis a Ray Manzarek e in secondo a Robby Krieger. La decisione di non sciogliersi fu già di per sé una notizia, che poi i tre decidessero di farlo senza un nuovo cantante, lo fu in maniera ancora più eclatante; ma è forse anche la testimonianza più chiara della sincerità del progetto. I motivi che portarono i Doors a proseguire senza quello che veniva identificato da tutti come il leader della band, sono molteplici e volerli indagare per forza non aggiunge molto al significato di questo album. Di fatto, si potrebbe anche dire che la spaccatura tra Morrison e il resto del gruppo fosse ormai forte e le ore passate in studio come trio in attesa che il cantante facesse la sua apparizione, salvo poi magari non essere in condizioni di registrare una sola take decente, certamente avevano cementato il trio, fornendogli la giusta motivazione e convinzione nelle proprie forze. Lo stesso Morrison d’altra parte aveva più volte incoraggiato i tre a realizzare un album di musica strumentale, visto il grande affiatamento raggiunto. Probabilmente, lo shock per la perdita di quello che comunque fino a poco tempo prima era un amico, non era stato ancora metabolizzato del tutto e continuare a suonare apparve come la scelta più naturale. Sicuramente, poter dimostrare al mondo di non essere solo la backing band di Jim Morrison, ma di avere una propria identità e dignità di musicisti, in una qualche misura liberi dall’ingombrante presenza di un uomo carismatico e accentratore come il Re Lucertola, avrà giocato una parte importante nella decisione. Sia come sia, praticamente senza quasi neanche un vero e proprio momento di pausa dopo la morte di Morrison, Manzarek, Krieger e Densmore si chiusero in studio, lo stesso nel quale venne registrato L.A. Woman, con lo stesso tecnico del suono, e ne uscirono pochissimo tempo dopo con Other Voices.

Come rilevato da molti già all’epoca, il disco risulta essere molto coerente con il precedente L.A. Woman ed anzi si potrebbe configurare come una vera e propria prosecuzione della stessa vena ispirativa. Non solo perché all’interno troviamo una canzone come Down on the Farm che risale alle sessioni di scrittura di quell’album e che non fu pubblicata proprio per il rifiuto di Morrison (suona come una piccola rivalsa, non è vero? Potrebbe essere, in effetti). Più in generale, l’andamento rilassato, l'introspezione, il richiamo alle radici blues, restano elementi forti anche in Other Voices e anzi la band affonda il coltello, tirando fuori in maniera ancora più evidente le sempre latenti influenze latine e jazz che ne avevano caratterizzato il particolare sound sin dai primordi. Manzarek prende quasi stabilmente possesso del microfono, come d’altra parte aveva quasi sempre fatto anche dal vivo, vuoi per sostituire Morrison quando questi non era in grado di portare in fondo un concerto, vuoi per concedersi qualche spazio per far rifiatare il cantante, come peraltro testimoniato anche su Absolutely Live. Dal canto suo, Krieger è pronto a subentrare quando la canzone lo richiede e si conferma invece compositore principale del gruppo senza Morrison, portando in dote cinque brani su otto da solo e mettendo la firma comunque in sette, con la sola In the Eye of the Sun frutto unicamente del lavoro di Manzarek. Il risultato è un disco decisamente meno rock dei precedenti e più morbido, piacevole, quasi privo di spigoli, evidente frutto di musicisti a loro agio in studio e ormai “veterani” della scena, seppure la loro storia ufficiale come band fosse iniziata solo sei anni prima. Non è difficile ad esempio sentire nell’opener In the Eye of the Sun il classico trademark della band e se alla voce di Manzarek proviamo a sostituire quella di Morrison, ecco che il brano diventa più che naturale prosecuzione della tradizione compositiva dei Doors che tutti conosciamo. Diverso invece il discorso per Variety Is the Spice of Life, cantata da Krieger, pezzo pop/rock che vorrebbe essere divertente e leggero, che finisce però per sembrare un po’ insulso nelle mani di una band che fino a poco tempo prima viveva di serpenti, fuoco, sciamanesimo e via discorrendo. Molto meglio la successiva Ships w/ Sails, con le sue percussioni e lo stile ondeggiante tra jazz e percussioni latin, con una linea melodica che riproduce la tipica cadenza ritmica morrisoniana e Manzarek che fa del suo meglio da un punto di vista di interpretazione per dare profondità a quella che è probabilmente la miglior traccia dell’album, assieme alla successiva Tightrope Ride. Traccia rock e piuttosto aggressiva per la media del disco, quest’ultima mostra il lato più ritmato e potrebbe ricordare i Rolling Stones, anche per la voce di Manzarek che si avvicina a quella di Jagger. Down on a Farm è invece un brano più particolare, tipicamente settantiano, con uno sviluppo che ad una partenza più introspettiva fortemente incentrata sulle tastiere, trova poi un deciso cambio di passo e un’atmosfera più scanzonata all’altezza del refrain. Esperimento curioso e tutto sommato ben riuscito, che probabilmente non avrebbe sfigurato all’interno di L.A. Woman. La stessa I’m Horny, I’m Stoned riprende diverse canzoni del repertorio dei Doors, tipo 20th Century Fox o Hello, I Love You, con il suo andamento divertente e il testo allusivo e manca in effetti solo di quel carisma indispensabile a renderla credibile. Wandering Musician, dall'atmosfera vagamente country/western, è l'ennesimo brano retto dal piano di Manzarek, solo accompagnato dalla chitarra, e possiede velleità da gran pezzo, col respiro e l’andamento che ne farebbero di per sé una canzone da ricordare, ma soffre per una interpretazione diligente ma certo non indimenticabile, con le voci peraltro annegate dagli strumenti e per una linea melodica che non lascia il segno che dovrebbe. Chiude Hang on to Your Life, esortazione probabilmente rivolta a loro stessi dai tre Doors superstiti, che riprende le atmosfere notturne e soffuse di L.A. Woman e vi aggiunge ancora ritmi e percussioni latinoamericani e un finale schizoide e accelerato che tra le altre cose rischia di essere uno degli episodi migliori del disco.

Come detto in apertura, le chiavi di lettura per Other Voices sono molteplici. Disco di rinascita? Questo no di sicuro. E’ una nuova partenza, ma non una rinascita per i Doors. Vuoi per la continuità artistica e musicale con gli album precedenti, vuoi per l’atmosfera tutt’altro che di rivincita e riscatto che si respira. Il colpo è stato duro, si sente e si percepisce. Eppure non si può non riconoscere ai tre una grossa dose di coraggio per non aver cercato un sostituto di “fama” che sostituisse Jim Morrison (un nome a caso? Magari Eric Burdon degli Animals) e aver deciso di portare avanti da soli il nome della band. Al tempo stesso, è inevitabile chiedersi che senso abbia avuto voler proseguire senza un elemento così importante e fondamentale. In questo senso, le parole migliori sono quelle di Bruce Botnick, tecnico del suono che seguiva la band da anni e che ha curato Other Voices, il quale non mancò di sentenziare a posteriori che l’album fosse buono, ma che la mancanza di Morrison fosse fin troppo evidente, come quella di una gamba di un tavolo che viene improvvisamente tolta; come non accorgersi della differenza? In effetti, se come detto le atmosfere sono quelle che il gruppo ha maturato nel corso degli anni e non troviamo una improbabile cesura rispetto al passato, a maggior ragione, la mancanza di Morrison diventa impossibile da ignorare. Il gruppo perde quell’elemento simbolico, carismatico e in un certo senso "pericoloso" che faceva la differenza tra una buona band e una grande band, così come le sue qualità interpretative e l'enorme lascito poetico attorno al quale quasi tutti i brani venivano creati. Capita a tutti di pensare come potrebbe aver suonato una band senza quel particolare musicista e con i Doors questo dubbio ce lo siamo tolto non una, ma due volte, considerando anche il successivo Full Circle. Un buon gruppo, fatto da buoni musicisti, che hanno trovato una valvola di sfogo umana e artistica esorcizzando il fantasma di un cantante e di un amico perso per sempre. Non è un gran disco e non è affatto un brutto disco, ma un motivo se in seguito il silenzio ha coperto questi solchi c’è e resta valido oggi come allora. I Doors erano nati per essere quattro e Other Voices non fa che confermarlo.



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
55.42 su 7 voti [ VOTA]
Screwface
Venerdì 5 Aprile 2024, 12.50.29
4
L\'avevo recuperato una decina d\'anni fa insieme all\'altro disco realizzato senza Morrison, \"Full Circle\". I brani in sè non sono male, purtroppo Manzarek e Krieger non sono dei veri cantanti, senza contare l\'assenza del carisma del Re Lucertola. Comunque si ascolta, nulla di indecente.
Fabio Rasta
Martedì 1 Ottobre 2019, 8.33.16
3
... come nel film di Stone: THE DOORS era qualcosa di + di una Band musicale, erano una tribù, un cerchio perfetto. Perdendo l'indiscusso capo carismatico hanno dovuto sopravvivere. Adoro questi tre musicisti, soprattutto MANZAREK e DENSMORE, ma come il tavolo a tre gambe della recensione, non avevano + ragione di esistere se non come 3 vecchi Freak che si ritrovano a far Musica in onore dei bei tempi andati. Troppo poco x continuare una carriera.
Rob Fleming
Mercoledì 3 Agosto 2016, 9.27.51
2
Visto come é andata ai Doors era meglio cambiare nome. Visto come é andata ai Genesis (sicuramente dal punto di vista commerciale) si può continuare. Ergo non ci sono risposte.
P2K!
Mercoledì 3 Agosto 2016, 8.38.40
1
In effetti la questione che in finale ha riguardato moltissime band qua potrebbe trovare una risposta... E' giusto proseguire quando perdi definitivamente un componente tanto importante? Ma di contro è giusto per chi rimane appendere gli strumenti al chiodo in nome del venuto a mancare? La soluzione migliore è da cercarsi nel cambiare nome/identità?
INFORMAZIONI
1971
Elektra Records
Rock
Tracklist
1. In the Eye of the Sun
2. Variety Is the Spice of Life
3. Ships w/ Sails
4. Tightrope Ride
5. Down on the Farm
6. I’m Horny, I’m Stoned
7. Wandering Musician
8. Hang on to Your Life
Line Up
Robby Krieger (Chitarra, Voce, Armonica)
Ray Manzarek (Organo hammond, Piano, Fender Rhodes Bass, Voce)
John Densmore (Batteria, Voce)

Musicisti Ospiti
Jack Conrad (Basso su tracce 1, 2, 4)
Jerry Scheff (Basso su tracce 5, 6, 7)
Wolfgang Melz (Basso su traccia 8)
Ray Neapolitan (Basso su traccia 3)
Willie Ruff (Basso acustico su traccia 3)
Francisco Aguabella (Percussioni su tracce 3, 8)
Emil Richards (Marimba su traccia 5)
 
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