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Frost* - Falling Satellites
03/09/2016
( 2469 letture )
Labirinti e luci forti, improvvise. Anzi, è una luce solitaria, uno squarcio nel buio. Vediamo poco, ma capiamo la semplice bicromia di un satellite tirato a lucido: bianco e nero, schermato e fluttuante, pronto a tutto.

There is never a survivor from a final kiss. I remember how I ended at the start of this. I lost a year in here or maybe more, no more...

E poi passi verso l'ignoto che ci precede, cercando di capire dove diavolo ci troviamo. Segni di passaggi umani, passi sparsi e impronte accennate. Il destino ci chiama a gran voce, e i numeri -in sequenza sparsa- sembrano un calcolo infinito dall'improbabile risultato. Un vero mantra inabissato nella mente del suono, o meglio, dei suoni. Ci perdiamo e ritroviamo, come in Towerblock, a cavallo tra deliri noise, dubstep e delicatessen progressive. Un neoclassicismo di settantiana memoria, completamente stravolto. Ancora non riusciamo a raccapezzarci, così chiediamo aiuto e scopriamo di essere in compagnia del nuovo iper-lavoro dei Frost*, interessantissima creatura del poli-strumentista Jim Godfrey che, a distanza di ben 8 anni, torna sul mercato con il seguito dell'apprezzato e godereccio Experiments in Mass Appeal.

Cosa cambia? Innanzi tutto il tipo di suono e visione, il concept, l'arredo e gli intenti. Falling Satellites è un pargolo ipercinetico che non ama la noia e, soprattutto, non ama ripetersi. Lo notiamo sin dalle prime note ambient dell'intro First Day, passando per la opening track Numbers, rimbalzante e levigata, con un andamento lineare e ben costruito. Jim Godfrey e il grandissimo John Mitchell, autore del piccolo capolavoro Lonely Robot (2015), ci allietano con sovrapposizioni vocali e note liquide. Intelletto puro che precede il caos di Towerblock, anticipata poc'anzi, e della brillantezza neo-prog di Signs, che copula con i Marillion che furono, prima di aprirsi a un riff groovy, prettamente rock, che inaugura la seconda stanza incalzandoci con ritmiche pulsanti e un crescendo chitarra/tastiera non dissimile dagli ultimi Muse. Attenzione però a non fare confusione: qui è tutto originale, anche i pezzi di ricambio, le idee e persino le seconde linee. Le influenze ricavate e ricamate dai Frost* sono accennate e, per forza di cose, assimilate grazie all'esperienza decennale dei musicisti.
Ci sono stop improvvisi, cori e delicate voci femminili. Una vita liquida fatta di tocchi di genio e art rock. Provate a chiedere alla dolce chicca Lights Out, colorata dalla prestazione vocale di Tori Beaumont, che supporta ad hoc Godfrey con tenui pennellate e pastelli gioiosi, in una tenda che ci copre con seta, colore viola e tramonto marittimo. Potete anche spegnere le luci, adesso.

So I drink it in, my life is running with the tide. Love me outside in... Dead of night, I think I must be dreaming. I close my eyes – sleep tight.

E' una sensazione notturna e candida quella che ascoltiamo nei grandissimi 3:52 di Lights Out, che suggellano la prima parte della storia con classe, chiudendo la porta e lasciandoci momentaneamente al buio. Ora che abbiamo perso la vista per un istante, ci pare di vedere di più. E così, timidamente, con i piccoli passi di Bob, entriamo nel panico della non consapevolezza, districandoci su un territorio poco familiare ma maledettamente affascinante. Cosa ci tocca fare per superare noi stessi?
Procediamo con poca cautela e tanta voglia di prog con la mega-suite Sunlight, inaugurata dai synth spaziali e dalle chitarre ribassate di Heartstrings, ancora una volta puzzle mutevole del Frost*-sound, tra scivoli e meteore bollenti. La materia heavy e la sua controparte soft vanno a braccetto verso il chorus delicato e poetico, non distante dai territori percorsi dagli Arena. Il piccolo bridge a cappella ci sostiene e sospende, per poi farci cadere sulla distesa di nuvole, dove ci ricongiungiamo con il ritornello aspettando di scoprire cosa ci capiterà successivamente. Ma, senza fretta alcuna, ci godiamo un assolo di tastiera che anticipa un corale e sinfonico codino strumentale.
Sensazioni? Illusioni? Synth d'ambiente ci conducono all'elettronica vellutata di Closer to the Sun, perla graziata da una eccelsa interpretazione di Godfrey e Mitchell, che non nascondono effusioni alla U2, suoni space, ritmiche pacate e tenere melodie, incisive, spettrali, riflessive. Un tocco di classe per ammaliarci, un tocco di classe per ghermirci, un tocco di classe che non può rimanere solamente tale, e così si va via, giù per la strada più impervia, imprevedibile e appagante. Dalla collina del Tempo scende un maestro senza età, ed ecco materializzarsi un funambolico e perfettamente incastonato solo di mister Joe Satriani, ospite che ci scombussola completamente ribaltando le sorti del brano, elettrizzando la pacatezza verso sognanti lidi rock. In un album dove i virtuosismi sono in secondo piano per volere del sound e della storia, nonché per giovare alle stesse composizioni, strutturate ma accessibili, il break centrale di Closer to the Sun è quanto di più azzeccato potesse capitarci a metà strada. Applauso- Purezza e clangore, rumore bianco e sentimenti contrastanti. Fine della propulsione? Ci avviamo verso angoli remoti senza spinta? Neanche per idea, perché le sorprese non sono finite qui: scopriamo infatti una nuova stanza, apparentemente nascosta, piena di piccole, eccitanti avventure.

Woke up this morning. I'm the last man standing. It's a colder world that I see when there's nobody left to save me.

Inumano Craig Blundell nell'incredibile ottovolante ad alta velocità di The Raging Against the Dying of the Light Blues in 7/8, incalzante e trionfale brano-perno dell'opera, che fa fede al suo lungo e accattivante titolo scoprendo tutte le carte, gli assi e le propensioni neo-progressive. Un teatro dell'Infinito, marchiato a fuoco dall'incipit hard rock, deciso e graziato da voci filtrate, pioggia di wah-wah e da una coesione strumentale veramente lodevole. Il brano è una spinta verso le risposte che cerchiamo dal Primo Giorno, quando il nostro viaggio era appena iniziato. Mitchell prima e Godfrey dopo ci deliziano con giochi solisti e strutture non comuni, intricate e spigolose, dove le tastiere creano strati e sub-strati di atmosfere sognanti. Si cambia repentinamente registro, ed ecco che compaiono altri richiami al passato della band e agli albori del prog rock. Richiami che proseguono poi nel classico strumentale di Nice Day for It... , tributo agli anni '70 che amplia gli orizzonti di The Raging Against the Dying of the Light Blues in 7/8, slabbrandola e aumentandone l'esposizione solare. Pannelli attivi per un overload di energia primaria e primordiale: scopriamo di essere impotenti e inermi, soprattutto in vista del bridge trasognante, affogato nella polvere di stelle. Synth ossessivi che si stagliano all'orizzonte, note pizzicate e piccolissime chiavi soliste, discrete e timide. Interazioni, piccole e grandi che, passo dopo passo, ci fanno attraversare il ponte luminescente che collega i pianeti sonori. Da ''A'' a ''B'' in un fascio di luce auto-proiettata: non ci accorgiamo di nulla, ma la navicella ha sfondato la barriera del suono, della luce, dello Spazio-Tempo e dei nostri sensi. Craig Blundell entra in modalità solista e chiude il brano dando sfogo alla sua tecnica e al suo gusto anche in Nice Day for It..., che ha l'arduo compito di non far calare l'attenzione in vista del finale, riprendendo alcuni temi e riff dell'album, in un amalgama sonoro forse non originale, ma decisamente concreto e orientato alla classicità del buon vecchio progressive rock. In poco meno di 7 minuti vediamo passare Genesis, Yes e Marillion. Ed è tempo di tirare le somme.

Punto zero. Missione compiuta. Hypoventilate è puro design cosmo-visivo: un breve stacco ambient che, grazie ai sintetizzatori, ci fa chiudere gli occhi in vista della discesa. Non abbiamo paura, e anzi siamo ravvivati e riforgiati a nuovo, pronti per nuovi mondi e nuove avventure. Il senso di smarrimento c'è, ci pervade per poco, ma non ci turba. Amiamo questi suoni e amiamo il modo in cui ci plasmano l'anima e, più superficialmente, l'umore. La ballata conclusiva Last Day chiude un po' prevedibilmente il tutto, spegnendosi improvvisamente quasi senza preavviso, ma non inficiando minimamente il giudizio complessivo di questo nuovo capitolo targato Frost*.

The air is warming up again, the summer sounds are like old friends. I see the sunlight through the trees, I wonder if the sun can see me?

Buon ascolto.



VOTO RECENSORE
76
VOTO LETTORI
82.62 su 8 voti [ VOTA]
Lo Struzzo
Martedì 28 Febbraio 2017, 14.47.44
7
Bene così Riccardo! Recensione top e album davvero interessante!
ayreon
Martedì 6 Settembre 2016, 16.37.16
6
ci fossero stati loro a veruno,sabato a parte i saga era un mortorio di bands
metalraw
Lunedì 5 Settembre 2016, 10.07.41
5
Grazie come sempre, per @Plin : si, ero li !
Valerio
Sabato 3 Settembre 2016, 20.45.45
4
Questo album mi piace moltissimo. Metto le cuffie e fluttuo in un mondo musicale ricco di tastiere, chitarre, melodie, richiami al passato, il tutto in un amalgama prog rock metal di ottimo livello. Voto 80. Ottima rece Metalraw. Nella musica la poesia è elemento essenziale e io amo la poesia.
Plin
Sabato 3 Settembre 2016, 19.19.37
3
Un neo prog metal di tutto rispetto. Vario, ben suonato, chitarre e tastiere alla grande, vocalismi d'eccellenza. E Satriani una graditissima sorpresa. E, domanda personale a Metalraw: sbaglio o ieri sera ti ho intravisto al Veruno prog festival? Solo curiosità di un vecchio metallaro.
Micky71
Sabato 3 Settembre 2016, 17.58.08
2
Virtuosismi vocali e strumentali alla grande, intervallati da melodie neo prog di buona fattura. Non un capolavoro ma sicuramente un bell'album di qualità.
Peppone
Sabato 3 Settembre 2016, 16.55.14
1
Li ascolto da sempre. Semplicemente bellissimo!!
INFORMAZIONI
2016
InsideOut
Prog Rock
Tracklist
1. First Day
2. Numbers
3. Towerblock
4. Signs
5. Lights Out
6. Heartstrings
7. Closer to the Sun
8. The Raging Against the Dying of the Light Blues in 7/8
9. Nice Day for It...
10. Hypoventilate
11. Last Day
Line Up
Jim Godfrey (Voce, Chitarra, Tastiere)
John Mitchell (Voce, Chitarra)
Nathan King (Basso)
Craig Blundell (Batteria)
 
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