I Blut Aus Nord sono, ad oggi, una delle band più interessanti del panorama avantgarde black, capace di ritagliarsi una fetta di pubblico piuttosto ampia tra i fan del genere e non solo. Prima di arrivare però alla piena maturazione artistica, i nostri sono dovuti passare attraverso lavori come il qui presente The Work Which Transforms God, uscito nel 2003 via Appease Me Records, etichetta discografica francese di ben poco spessore, defunta ormai da anni. Dischi come questo, che appartengono ad un periodo di profondo mutamento per il genere e di metamorfosi per la stessa formazione francese, vengono oggigiorno catalogati come "opere di transizione" e subiscono spesso l'infausto destino di venire sottovalutati. Così facendo, si perde tuttavia l'occasione di comprendere le basi sulle quali questo, come molti altri gruppi ai giorni nostri osannati, hanno costruito i loro capolavori, privando inoltre le proprie orecchie di un ascolto di indubbia qualità.
Passiamo quindi ad analizzare The Work Which Transforms God nel dettaglio. La traccia iniziale, dall'iconico nome End, è una tipica opening track composta da rumori sinistri con uno sfondo di campane riecheggianti, con come principale funzione quella di calare l'ascoltatore nelle atmosfere cupe e spettrali ricercate dal combo transalpino. Una volta così attirata l'attenzione e preparato il pubblico, si possono finalmente aprire le danze a suon di blast beat, ritmiche serrate e accordi dissonanti.
I Blut Aus Nord sperimentano difatti per tutti e cinquantuno i minuti del platter, non tirandosi mai indietro ma piuttosto spaziando continuamente tra elementi industrial e ambient, ricorrendo frequentemente anche all'utilizzo di cori e tastiere ed inserendo ben cinque tracce strumentali sulle dodici totali. Il risultato è un lavoro estremamente variegato e complesso, non sempre molto agevole da decodificare, né da esemplificare a parole in questa sede, le cui principali anime si possono definire come rabbiosa e diabolica nelle sfuriate, lugubre e sinistra nei momenti di apparente quiete. Non mancano comunque momenti più orecchiabili, come nell'outro trascendentale ed elegante di Our Blessed Frozen Cells, che lasciano un po’ basiti durante i primi ascolti, ma dopo una più attenta analisi del contesto, risultano sicuramente riusciti.
Durante l'ascolto sono presenti vari climax che sanno colpire chi ascolta, tra cui il glaciale "I am the savior!" urlato in modo esasperato dal vocalist Vindsval durante The Choir of the Dead, emblema del mix tra oscurità, nichilismo e disperazione racchiusi in The Work Which Transforms God. Inoltre, è doveroso citare la straniante traccia di chiusura del disco, Procession of the Dead Clowns, che si basa sulla ripetizione ossessiva di una melodia di synth accompagnata da chitarre e percussioni. La durata di questa composizione va così a sfiorare i dieci minuti, rappresentando una vera e propria litania black metal dalla difficile assimilazione.
I principali nei del disco (oltre ad un artwork piuttosto banale) sono riscontrabili in una sezione ritmica un po' troppo old-school sia nel suono (sofferente forse di un eccessivo riverbero), che nell'esecuzione, soprattutto se la si paragona a quella presente in molti dischi contemporanei. Inoltre la produzione in termini generali non è delle migliori, difetto al quale si può soprassedere tranquillamente se si pensa all'anno di uscita e ai mezzi a disposizione della band.
Come altre release di casa Blut Aus Nord, The Work Which Transforms God non si configura dunque come un lavoro per tutti: sicuramente si tratta un album impegnativo, frutto di una complessa fase di mutamento della formazione stessa, che di conseguenza risulterà ai più piuttosto criptico ed inaccessibile durante i primi ascolti, vista la varietà e l’originalità di quanto proposto, e che mostrerà la sua peculiare bellezza soltanto a chi avrà la volontà di dedicarci tempo e attenzione, scavando ed esplorando la miriade caleidoscopica delle sue sfaccettature.
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