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Obscure Sphinx - Epitaphs
19/09/2016
( 1870 letture )
“Il tempo è un grande maestro,
ma sfortunatamente uccide tutti i suoi allievi”


Così il compositore Hector Berlioz ha lapidariamente sintetizzato il senso del complicato rapporto tra l’umana specie e uno dei pilastri che ne accompagnano, determinano e contemporaneamente limitano l’esistenza… Ma, se pure filosofia e scienza hanno progressivamente affinato, col passare dei secoli, riflessioni e conoscenze su questo nostro tirannico compagno di viaggio, non risultano finora pervenute ricette in grado di superare il senso di ineluttabilità contenuto in una simile affermazione, per quanto il sommo Einstein sia almeno riuscito a erodere il versante dell’assolutezza, della dimensione temporale. Ecco allora che, anche in ambito musicale, l’incedere di carriere spesso ai primordi luminosissime ha coinciso con successive ecatombi altrettanto fragorose, lasciando non di rado l’amara sensazione che maturazione e creatività coltivino segretamente un rapporto di inversa proporzionalità. Riuscire a ripetersi negli anni, dunque, rischia di assomigliare a un percorso su un sentiero decisamente impervio, su cui incombono da un lato ostentate riproposizioni di cliché o, alternativamente, stucchevoli ricerche di innovazioni a tutti i costi.

Lenti di ingrandimento e fucili pronti al fuoco attendevano pertanto la nuova prova dei polacchi Obscure Sphinx, reduci da un capolavoro che nel 2013 ha sconvolto le rotte post metal, portando sotto i riflettori internazionali una band in strepitoso stato di grazia artistica (senza contare le già ragguardevoli premesse del debut Anaesthetic Inhalation Ritual). Quell’album, Void Mother, aveva certificato le impressionanti potenzialità di un cantato femminile applicato alle correnti fangosamente sludge alternate alla cristallinità di improvvise radure melodiche, a patto, ovviamente, di poter annoverare in formazione un’autentica fuoriclasse come Zofia “Wielebna” Fras. Dotata di uno spettro vocale clamoroso, capace di sconvolgere i palchi come poche altre front-woman nella storia del rock, custode di una tradizione che affonda le sue radici nelle provocazioni punk ma in grado del pari di regalare inaspettate aperture eteree, la Fras era attesa alla conferma del suo ruolo di arma letale, sfuggendo ai rischi di un possibile “imborghesimento” figlio dell’incalzare del tempo. A complicare il quadro, nel corso di questo 2016 ci si è messa anche un’altra grande uscita post metal declinata vocalmente al femminile, con Julie Christmas ad accompagnare i Cult of Luna in quel Mariner che ha segnato il ritorno sulle scene del combo di Umea, proponendosi come inevitabile, potenziale, tremenda pietra di paragone data l’impressionante resa qualitativa. Ma niente di tutto questo sembra aver minato le certezze degli Obscure Sphinx, che si ripresentano allo stesso pubblico che ha osannato il predecessore con un lavoro di altrettanto impressionante profondità e tensione, riuscendo in questo Epitaphs a raggiungere vette quasi altrettanto ardite.

Affidato l’artwork della cover all’estro di Mario Duplantier (distratto dalla sua occupazione principale al tavolo dei Gojira) e mantenendo intatta la line-up, il quintetto di Varsavia ripropone la stessa ricetta di Void Mother, confermando una fedeltà assoluta agli stilemi del post più spigoloso ed evitando qualsiasi compromesso con ispirazioni concorrenti o alternative (in questo, è impossibile non notare le differenze rispetto all’altro grande nume tutelare della scena polacca, quei Blindead che con gli anni hanno finito per imbarcare molta acqua “atmosferica” a lenire gli squarci dissonanti propri del genere). Confermando un impianto di base largamente debitore della lezione sludge e spingendosi anche stavolta non di rado verso distorsioni industrial, i Nostri si producono nel loro vero marchio di fabbrica, cioè la rielaborazione di una materia a mezza via tra lo stato solido e quello liquido, base perfetta per offrire un’adeguata trasposizione visiva degli incubi della contemporaneità. Abbiamo più volte evidenziato come uno dei segreti per giudicare la riuscita o meno di un album post metal risieda nella sua capacità da un lato di distorcere le percezioni spazio/temporali e dall’altro di assurgere a una resa quasi cinematografica, superando la semplice sollecitazione dell’udito per approdare ad esperienze quasi multisensoriali; seguendo ed esaltando entrambe le coordinate, Epitaphs supera di slancio la prova, rivelandosi in tutta la sua magnificenza psichedelica in un trionfo di figure che appaiono e scompaiono col loro carico di inquietudine (la lezione dei Neurosis di Souls at Zero è in questo pienamente assimilata), mentre l’edificazione di strutture architettonicamente articolate dove la potenza fa a gara con la complessità (chiaro lascito del classico approccio Cult of Luna) imprigiona la mente in un labirinto malsano che toglie il fiato.
Altro elemento di evidente ascendenza neurosisiana, il mulinare d’arti di Mateusz “Werbel” Badacz alle pelli non disdegna in più di un passaggio riflessi tribalistici, incupendo ulteriormente l’atmosfera con un retrogusto tra il mistico e il liturgico. E poi ci sono loro, gli inserti melodici, altro tratto cardine della cifra artistica della band, mai inutili cammei ma sempre elementi in tutto funzionali alla creazione di tocchi spettrali, celebrati peraltro dal continuo ondeggiare del cantato della Fras tra uno scream estremo e una cantilena horror.

Sei brani per poco meno di un’ora complessiva d’ascolto, negazione di tutto ciò che possiamo immaginarci come “immediato” nel mondo delle sette note, Epitaphs ripercorre la strada tracciata da Void Mother anche nella propensione alla dilatazione esasperata delle tracce, costringendo ad ascolti ripetuti per potersi orientare negli anfratti che gli Obscure Sphinx hanno saputo ricavare in una narrazione così tormentata. Ed è solo al termine di questo viaggio condotto vagando in una sorta di altopiano che ci si rende conto dell’unico, possibile difetto del lavoro, cioè la mancanza di un grandissimo pezzo che si stagli a corona degli altri, ricoprendo quella funzione che tre anni fa era toccata a The Presence of Goddess. Peccato poco più che veniale, in realtà, perché il lotto fa davvero tremare i polsi per la carica emozionale che si sprigiona da ogni solco, a cominciare da quella Nothing Left rilasciata come succulenta anteprima dalla band e manifesto ideale della demolizione della forma canzone che è un altro dei tratti distintivi dei polacchi, laddove cavalcate acidamente telluriche si combinano con momenti di sospensione carichi di tensione, sciolta in un sorprendente finale tra rintocchi di pianoforte e una sei corde in spagnoleggiante divagazione addirittura verso il flamenco. Il tasso di visionarietà sale decisamente con la successiva Memories of Falling Down, spaccata in due tra una prima parte vergata da spire maestosamente lente e la successiva esplosione di energia che riporta la linea di volo su prospettive lisergicamente allucinate. Ma il vero cuore dell'album, capace di mandare in estasi tutti quelli che negli anni hanno imparato ad abbeverarsi avidamente alle sorgenti della poetica post, batte nella spettacolare Nieprawota, implacabile macchina da guerra impegnata in avvio e in chiusura in una certosina opera di violenta scomposizione dei colori ma con un consistente inserto centrale che materializza solitudini e struggimenti, a celebrare la natura ibrida di un intero genere. Funzionano un po' meno, nel complesso, le cristallizzazioni e il meccanismo stop and go di Memorare (non convince il ricorso a qualche linea narrativa doom, che non sembra essere del tutto nelle corde della band), ma la delicatezza malata che apre Sepulchre riporta subito ordine sulla scena, prima di regalare una chicca con il cimento al microfono di Aleksander “Olo” Lukomski a fare da controcanto maschile in uno scream appena distinguibile, peraltro, dalle solite abrasioni della Fras. Gran chiusura affidata alle onde morbosamente avvolgenti di At the Mouth of the Sounding Sea, il brano più notturno del lotto nella duplice declinazione del buio come metafora della solitudine e come ineluttabile approdo delle nostre esperienze quando il Tempo avrà davvero avuto la meglio, di tutti i suoi allievi.

Oscuro, potente, costruito su una densità malata, dotato del dono divino di evocare e far emergere dagli abissi incubi e paure, sorta di vaso di Pandora scientemente aperto ma che, a differenza del racconto del mito, non ha sul suo fondo alcuna Speranza da trattenere, Epitaphs è un album che arriva dritto alle componenti più tormentate dell'anima, sconvolgendo e soffocando. Se l'oscurità fosse solcata da una colonna sonora, gli Obscure Sphinx ne dirigerebbero sicuramente l'orchestra.



VOTO RECENSORE
84
VOTO LETTORI
87.66 su 3 voti [ VOTA]
alex
Martedì 25 Aprile 2017, 16.32.08
3
ricordo che quando ho ascoltato Void mother ne rimasi estasiato... la performance sopratutto della cantante è strepitosa. rabbia e poesia in un unica voce... ascoltando però qualche brano live non ho ritrovato le stesse performance ... e mi è sembrata un pelino deludente ...
gamba.
Lunedì 19 Settembre 2016, 13.54.59
2
vi ho dato retta quando una volta pubblicata la recensione di void mother ho deciso di tentare l'ascolto, ed era stata una bellissima scoperta. prossimamente mi dedicherò anche a questa uscita, le aspettative sono alte.
Ricky
Lunedì 19 Settembre 2016, 9.35.10
1
Continua l'opera di convincimento di Red Rainbow tanto che mi sto accorgendo di battere il piede ascoltando i ragazzi. Ricordati anche di noi però............... Ciao Ricky
INFORMAZIONI
2016
Autoprodotto
Post Metal
Tracklist
1. Nothing Left
2. Memories of Falling Down
3. Nieprawota
4. Memorare
5. Sepulchre
6. At the Mouth of the Sounding Sea
Line Up
Zofia “Wielebna” Fras (Voce)
Aleksander “Olo” Lukomski (Voce, Chitarra)
Tomasz “Yony” Jonca (Chitarra)
Michal “Blady” Rejman (Basso)
Mateusz “Werbel” Badacz (Batteria)
 
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