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Root - Zjevení
15/10/2016
( 2107 letture )
Qualche mese fa, quando decisi di rispolverare il debutto della band ceca Master's Hammer, Ritual, avevo già in mente su chi mi sarebbe piaciuto, successivamente, soffermarmi. E per affinità, geografiche e stilistiche, la scelta non sarebbe potuta cadere che sui Root.

BRNO E PRAGA: DUE POLI OSCURI
Siamo nel 1987, ci troviamo a Brno, seconda città della Repubblica Ceca, ed il trentacinquenne Jiří Valter, figlio di un pianista e professore, dopo aver iniziato la sua carriera come cantante blues, aver posato per un breve periodo lo sguardo -e l'ugola- sull'hard rock, decide di spingersi oltre il limite e fa coincidere alla maturità personale ed artistica la definitiva consacrazione all'oscuro black metal. È una consacrazione totale, una devozione che non si limitava solo all'adesione ad un certo stile musicale, ma che si sviscerava anche nella pratica del culto satanista, promosso dal mentore incontrastato Anton LaVey. Non sappiamo se l'avvicinamento a questa filosofia di vita sia avvenuto in maniera così repentina come lo fu per il cambio di stile che Jiří (oramai divenuto il Big Boss dei Root) ha affrontato nel corso della sua esperienza di cantante, ma ciò che possiamo senza dubbio affermare è che, nel momento in cui il gruppo di Brno incise i suoi primi demo, aveva senza dubbio le idee molto chiare in merito. Infatti, già si promuoveva, più o meno consciamente, come manifestazione pura e sanguigna di certe simbologie occulte, anche grazie all'imprinting culturale che senza dubbio avevano esercitato le radici folkloristiche della Moravia, regione di provenienza, che conservava ancora echi dei rituali pagani e magici che vennero importati dalle tribù che vi stanziarono e che in parte riuscirono a sopravvivere nonostante la progressiva cristianizzazione dell'area.

È bene ricordare brevemente il contesto in cui la scena black metal ceca diede i primi segni di vita: in una Cecoslovacchia appena distaccatasi dal blocco sovietico, con un'inquietudine ed un fervore che le valse un riscatto dall'isolamento ed un periodo di intensa rigenerazione culturale, il proliferare di gruppi che furono in grado di anticipare di qualche anno la second wave di black metal norvegese è evento ancor più eccezionale (come già approfondito nella recensione di Ritual). Praga da una parte e Brno dall'altra rappresentarono i due poli di un asse sul quale si aggrapparono tutti i maggiori gruppi black metal cechi dell'epoca, dai Root ai loro concittadini Amon, dai Törr fino ai prima citati Master's Hammer, con i quali il destino dei Nostri si intreccerà più volte.

ZJEVENI: LA RIVELAZIONE
Trascorsi oramai quasi tre anni dalla formazione e raccolta una manciata di proseliti con i primi demo tape e con la VHS Death Metal Session II, i Root pubblicano finalmente per la piccola etichetta Zeras lo sconvolgente debutto Zjevení (La Rivelazione), anticipato dal singolo 7 černých jezdců / 666. Per entrambi il design della copertina è affidato al giovane Franta Štorm, frontman e vocalist dei Master's Hammer, che decise di mettere al centro degli artwork delle foto che ritraggono Big Boss, che col suoi facepainting nella copertina del singolo è chiaramente rivolto verso il suo parterre, durante un concerto, mentre nell'immagine dell'album punta il suo sguardo contro di noi, come se stesse per afferrarci con le sue mani, mentre sbuca dall'oscurità.

La cosa che certamente colpisce è la teatralità con cui Big Boss è in grado di modulare il suo cantato sui pezzi -in verità, più che un cantato vero e proprio, dovremmo parlare di parlato recitato-, che unito all'estrema distorsione delle chitarre -quasi degli uncini che scorticano- ed ai ritmi serrati della batteria, crea un interessante mix di black metal, thrash metal primordiale e teatralità. I Root colpiscono per l'alternanza di parti molto serrate, dove spesso la voce si aggiunge come strato a sé, come rantolo sinistro di un demone che sta per manifestarsi e che si insinua nelle nostre orecchie, ridendo talvolta anche del nostro inevitabile destino, e parti dove, invece, le chitarre diminuiscono la loro velocità a favore di una maggiore possenza, infondendo un'aura più ritualistica ed ipnotica.
Rispetto ai Master's Hammer, che promuovono un black metal che potremmo definire più "raffinato", anche per l'intreccio sinfonico e l'accorgimento dimostrato nello scrivere i meravigliosi ed evocativi testi, i Root si manifestano nella loro schiettezza brutale: sono sporchi, rugginosi, puzzano letteralmente di zolfo e quando si prova a tradurre gli incomprensibili testi, si ha come l'impressione di aver sempre saputo di cosa parlassero, proprio perché i contenuti trovano una mimesi perfetta nel loro corrispettivo musicale. Sicuramente l'interpretazione vocale è un punto chiave non trascurabile nel mettere da parte ogni fraintendimento e nel rendere subliminamente esplicito il messaggio di cui si fa portavoce, anche in coloro che sono totalmente a digiuno da lingue così difficili ed incomprensibili: in generale tutto l'apporto interpretativo di Big Boss, nel destreggiarsi in tonalità rozze, cavernose e disturbate, crea degli intrecci inquietanti e disorientanti nel momento in cui si passa da un pezzo all'altro.

UN PERCORSO VERSO LA DANNAZIONE ETERNA
Zjevení si apre con un'inquietante traduzione in ceco della Decima Chiave Enochiana, che fa parte delle Diciannove Chiavi incluse nella Bibbia Satanica scritta da Anton LaVey. Riportate nella complessa ed antichissima lingua enochiana, che si narra sia compresa e parlata da Demoni e da Dei, se pronunciate in una sorta di litanìa vibrata pare siano in grado di sprigionare il loro potere sinistro e distruttivo, con conseguenze pericolose ed apocalittiche. Ciò la dice lunga sull'impatto iniziale che si ha col disco, che subito ci proietta sulle atmosfere cupe ed inquietanti che faranno da leitmotiv di tutto il concept.
Mentre Big Boss recita la preghiera nell'assoluto silenzio, ecco sentire gli ultimi passi, trascinati con pesantezza, di una bestia luciferina, che si ferma e sembra possedere lo stesso frontman, che a questo punto, col soffofondo horrorifico delle chitarre, è pronto e rivelarsi e maledirci per i prossimi 30 minuti. Si prende letteralmente gioco di noi, quando sentiamo in lontananza delle risate maligne che si fanno beffa della nostra condizione emotiva ambivalente: da una parte sentiamo l'urgente bisogno di fuggire per salvarci, ma dall'altro nutriamo una perversa voglia di rimanere, per abbandonandoci definitvamente all'irresistibile sinfonia. L'assolo di chitarra è quasi come un ipnotico flauto di pan e, mentre il sottofondo la batteria continua a picchiare, noi siamo oramai rassegnate prede.
Výslech è l'unico pezzo in latino e, proprio a prova di quanto detto prima (ossia che il testo trova una corrisondenza perfetta con la resa musicale e l'interpretazione vocale), nell'ascoltare questo brano non sarà difficile immaginare terribili torture, con la combo chitarra-batteria che assume velocità altissime e che sembra impazzire, man mano che le torture vengono inflitte con piacere sadico, tra rumori striduli e fastidiosi, urla e soffocamenti. Allo stesso modo, quando sentiamo il doppio battito del martello all'inizio di Upálení ci rendiamo perfettamente conto di essere all'interno di una corte di giustizia, dove si sta emettendo la sentenza definitiva di un processo. L'imputato è reo di essersi servito della magia nera e di forze oscure per mettersi in contatto con Lucifero e viene, pertanto, condannato al rogo... ma non prima di aver pronunciato le ultime, disperate ed irriverenti parole: " Jsem nevinen/To vím" - "Sono innocente". Da questo momento il pezzo subisce una virata psicotica, che mi ha ricordato i primi, schizofrenici Sepultura, e che sfocia nella successiva Píseň pro Satana.

Píseň pro Satana è il pezzo che preferisco in assoluto di tutto l'album, ogni volta che lo ascolto devo riascoltarlo almeno un'altra manciata di volte prima di sentirmi soddisfatta e skippare oltre. Un pezzo che parla da sé, un autentico inno a Satana, a cui viene donato cuore, anima e corpo, in una devozione totale che Big Boss avrà modo di esplicare anche in maniera più ufficiale, ricoprendo il ruolo di sommo sacerdote della Church of Satan. Dopo essere stato nominato dallo stesso LaVey nel 1991, sarà, infatti, il responsabile della formazione della brachia locale del culto satanista, ricoprendo la carica fino a qualche anno fa, quando ha deciso di cedere il posto alle giovani leve, pur proseguendo la propria vita secondo i dettami dello stile satanista.
Il pezzo sicuramente più spiazzante è 7 černých jezdců che, inserito subito dopo la caotica 666, ci illude con arpeggi che ci fanno immaginare paesaggi bucolici e tranquilli, pacifici, dove forse potremo trovare un attimo di quiete per riprendere respiro: un inganno perverso che viene svelato nel momento in cui ci rendiamo conto che Big Boss parla dei Sette Cavalieri Oscuri, che con croci al contrario infiammate sulle loro teste, marciano sulla Terra seminando terrore e panico, incidono pentagrammi fiammanti e ci deridono malignamente nell'osservare le viscere della terra aprirsi e l'acqua ribollire. È l'Apocalisse.
Rootan, Abbaddon, Astaroth, Lucifero, Satana: il debutto dei Root pullula di demoni e crea una strana sensazione di paura mista ad eccitazione, come di chi sa di stare pronunciando nomi pericolosi e di stare invocando fatti orribili e spietati, ma che allo stesso tempo è destinato a non potersi sottrarre. Nell'ultima Cesta zkázy vi è la definitiva consacrazione: proviamo un certo terrore nell'avere consapevolezza di aver volontariamente intrapreso la via del non ritorno, ma le plettrate di chitarra, fredde e decise, ci infondono coraggio e fierezza nell'andare avanti nel nostro percorso.
Ed ora che siamo definitivamente votati all'Oscurità, non ci resta che proseguire verso la dannazione eterna.

Rootan - Temnot mocný Pán
Neskryjete před ním nic
Nejste pro něj hlavolam
Tak pomněte, že tuto sílu
Z hlubin země prýštící
Nezastaví nikdo, nikdo
Je to síla smrtící

666 je 666!


Rootan - potente Signore delle Tenebre
Nulla si può nascondere da lui
non esiste per lui un enigma
Quindi ricorda, che questa forza viene
dalle profondità della terra,
nessuno potrà fermarla, nessuno,
Si tratta di una forza letale

666 è il 666!



VOTO RECENSORE
92
VOTO LETTORI
94 su 3 voti [ VOTA]
Doomale
Sabato 15 Ottobre 2016, 17.08.06
4
Lo dico sempre..Dai a Cesare quel che e' di Cesare!😉..Prego figurati e' giusto valorizzare un lavoro fatto bene.
Selenia
Sabato 15 Ottobre 2016, 15.45.15
3
@Doomale: grazie mille, sono davvero felicissima che tu l'abbia apprezzata!
Doomale
Sabato 15 Ottobre 2016, 10.26.36
2
Dimenticavo..complimenti per la recensione, davvero completa e ben argomentata.
Doomale
Sabato 15 Ottobre 2016, 10.25.34
1
Un Culto. L'unico album che ho di loro...Dannatamente valido e fondamentale per la musica estrema dell'est Europa. Al pari del primo dei Master's Hammer..assolutamente da riscoprire..Certo qui si parla di proto Black Heavythrash bello grezzo..ma cmq sinistro e misterioso. Voto altino..ma che ci può stare per il valore storico ambientale del disco stesso..soprattutto considerato i votoni che fioccano oggi.
INFORMAZIONI
1990
Zeras
Black
Tracklist
1. Intro
2. Zjevení
3. Aralyon
4. Výslech
5. Upálení
6. Píseň pro Satana
7. 666
8. 7 černých jezdců
9. Démon
10. Znamení
11. Cesta zkázy
Line Up
Jiří Valter "Big Boss" (Voce)
Petr Hošek "Blackosh" (Chitarra)
Dan Janáček "Mr. D.A.N." (Chitarra)
Rostislav Mozga "Mr. Black Drum" (Batteria)
 
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