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20/04/24
THE OSSUARY
CENTRO STORICO, VIA VITTORIO VENETO - LEVERANO (LE)
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Crowbar - The Serpent Only Lies
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29/10/2016
( 3028 letture )
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I più stagionati tra noi e i cultori dei fumetti in genere se lo ricorderanno senz’altro, Stanislao Moulinsky, storico avversario di Nick Carter nella fortunata serie ideata da Bonvi e maestro nei travestimenti, smascherati dal detective tra un “dice il saggio”, un “e l’ultimo chiuda la porta” e un "tutto è bene quel che finisce bene” entrati nella storia del costume di un’intera generazione. Ecco, diciamo che sentire Kirk Windstein, in sede di presentazione del nuovo album, annunciare un ritorno alle sonorità degli esordi è stato un po’ come rivivere il fascino dei finali di quelle mitiche strisce, in attesa che al posto del barbuto mastermind dei Crowbar si materializzasse qualcuno che davvero abbia macinato chilometri artistici, in allontanamento dal debutto (giuro, non sto intravvedendo la sagoma di Akerfeldt, sullo sfondo, noooo). Già, perché tra le miriadi di metal band in circolazione, il quartetto di New Orleans si è sempre contraddistinto per una spiccata fedeltà agli stilemi primigeni della propria storia, facendone anzi un vero punto d’onore che gli ha consentito di meritarsi il rispetto pressoché unanime di critica e fan. Un quarto di secolo di storia all’insegna della coerenza (cristallizzato nei classici commenti “questi non hanno mai sbagliato un colpo e non potrebbero neanche volendo”), una discografia che ha ormai varcato senza cali di tensione la soglia della doppia cifra, un diritto di genetica primogenitura su un intero genere (pur se mai rivendicato ma, anzi, piuttosto declinato, dal quartetto), i Crowbar brandiscono da tempo lo scettro dello sludge interpretato secondo i crismi della scuola southern più contaminata dalle ascendenze core. Senza voler fare dello stucchevole determinismo spinto a sfondo geografico, ad andare in scena è sempre stata la colonna sonora del delta del Mississippi: acque stagnanti che si rapprendono e si fanno reflue, paludi maleodoranti, terre di confine e di competizione tra l’elemento liquido e quello solido, ma anche l’impetuosa deflagrazione delle forze della natura in forma di tempeste e uragani, recentemente assurti agli onori della cronaca grazie anche alla complicità dell’umana insipienza. Ecco allora spiegata la duplice anima dei suoni in arrivo da questo ecosistema, con la descrizione delle colate di fango in faticoso spostamento affidata alla narrazione doom e le telluriche contorsioni della natura sottolineate dalle incursioni thrash e punk. Non è un caso, allora, che i due versanti, pur se coltivati contemporaneamente, abbiano trovato nel corso degli anni numi tutelari distinti, con gli Eyehategod a presidiare quest’ultimo e i Nostri a cimentarsi con la radice più oscura della mangrovia di quel bayou. Così, la matrice sabbathiana, arricchita da contributi Saint Vitus, ha incontrato gli abissi oscuri di scuola Type O Negative, regalando fin dal debut Obedience Thru Suffering miscele via via sempre più dense e pesanti, in un crescendo che ha regalato perle sinistre di assoluta qualità (la sfida per il primato tra Odd Fellows Rest e Sonic Excess in Its Purest Form è sempre in corso, tra i devoti astanti) e, in generale, lavori di indubbia consistenza.
Per la verità, qualche piccola increspatura nel mare magno dell’infallibilità era apparsa in quel Symmetry in Black che, non più tardi di due anni fa, prima ancora che per una scrittura nel complesso un po’ al risparmio, aveva sollevato perplessità già nell’artwork, pericolosamente, per così dire, “a ridosso” delle scelte degli Stratovarius per il loro album omonimo del 2005. E dunque, forse anche per rispondere ai critici di allora, stavolta per la parte grafica non si lesina sui mezzi, riprendendo il tema ma affidandolo alla creatività di un maestro del calibro di Eliran Kantor (per chi non ne riconoscesse il tratto, immaginiamo basti il bookshop più recente dei Testament, come biglietto da visita). Il giglio si fa ora parte integrante dell’album e, trasformando i petali in spire sinuosamente ruotanti intorno a una figura metà prigioniera e metà complice, rimanda da subito, anche visivamente, al serpente citato nel titolo. Cessata l’esperienza parallela coi Down, della premiata ditta Anselmo/Keenan/Bower, messo in momentaneo standby il tutt’altro che artisticamente secondario progetto Kingdom of Sorrow, Windstein riprende dunque più che saldamente in mano le redini della creatura Crowbar, richiamando peraltro a corte Todd Strange, già membro della line-up originaria, ma uscito dal gruppo a cavallo del cambio di millennio. E il risultato non si fa attendere, in termini di qualità, perché questo The Serpent Only Lies è un album che regge molto più che dignitosamente la sfida del tempo, che sembra in realtà non passare, per questi cinquantenni ancora in grado di aggirarsi nel mondo sludge senza clonare anacronisticamente se stessi e, anzi, non disdegnando di abbozzare qualche sia pur misurato accenno di sperimentazione. Beninteso, gli ostinati rabdomanti perennemente a caccia di acque nere troveranno la solita falda generosamente apparecchiata, ma l’impressione generale è che il grado di potabilità dell’insieme sia stavolta leggermente superiore alla media, consentendo probabilmente approcci multidirezionali anche ai meno avvezzi ai canoni standard del genere. Ancora una volta, peraltro, il quartetto dimostra una spiccata impermeabilità alle tentazioni post metal, alle cui implicazioni atmosferiche negli ultimi anni molte sludge band hanno finito per indulgere, dunque l'incremento di potabilità si gioca soprattutto su un rapporto più curato con le striature melodiche, mai come in questo platter in evidenza. Centro di gravità incontrastato è sempre il cantato di Windstein, col suo caratteristico timbro secco che si amalgama alla perfezione con le esalazioni sprigionate dalla materia in decomposizione, senza mai cancellare del tutto la chiara genesi punk-core.
Con queste premesse la tracklist scorre via con la solita rapidità, marchio di fabbrica di una casa che non ha mai davvero puntato sulla cura maniacale delle strutture dei pezzi, esaltando piuttosto il ruolo degli impatti, ma la reiterazione degli ascolti evidenzia in fretta alcune distinte sottolineature, se non proprio differenti ispirazioni. Così, le incursioni thrash sono prevalentemente e con miglior costrutto confinate nelle tracce che aprono e chiudono il platter (con particolare nota di merito per l'opener Falling While Rising, innervata da una “tricolorità” a cui concorrono un retrogusto doom e il miglior intreccio delle sei corde nell'album), mentre nel resto del viaggio i dosaggi delle componenti sono sufficientemente modulati per non generare stanchezza o assuefazione. Dall'incedere quasi epico di Plasmic and Pure, alle sinistre sabbie mobili di I Am the Storm, passando per la gelatinosa On Holy Ground, che riecheggia magnificamente l'ululante affiorare in superficie di creature rinchiuse dalla notte dei tempi in oscure cavità sotterranee, sono innumerevoli i momenti in cui riconoscere i tratti della piena riuscita della classica poetica Crowbar, con annesso godimento estetico sottointeso. Certo, non tutto rasenta la perfezione (The Enemy Beside You e Embrace the Light sostano un po' troppo nel limbo dell'anonimato), ma ad alzare la media contribuisce un terzetto “ereticamente” d'oro. Si parte con Surviving the Abyss, popolata di ombre scandinave discretamente inattese a queste latitudini, si prosegue con l'apparentemente catchy titletrack (che riproduce però alla perfezione, stavolta sul pentagramma, la sinuosità e la rapidità del protagonista evocato dal titolo) e si chiude soprattutto con la splendida Song of the Dunes. Figlia più che legittima di quella Empty Room che faceva calare altrettanto magnificamente il sipario su Sonic Excess in Its Purest Form, dispensa a piene mani riflessi malinconici che vanno ben oltre gli esiti del nobile modello, con una magica intelaiatura curiana non demolita ma piuttosto esaltata dall'ovvia eccezione della resa dei due diversissimi frontman al microfono. Una ballad notturna tra giunchi, canneti e mangrovie, mai lo sludge si era spinto così lontano...
Impeccabilmente tradizionale, ma mai pigramente adagiato sugli allori che cingono tempie già cariche di gloria, punto di incontro tra potenza, densità ed echi di lontane abrasioni che affondano in una natura che confonde gli stati della materia, The Serpent Only Lies è il modo migliore per inaugurare il cammino in un secondo quarto di secolo di carriera. Con simili premesse, i Crowbar possono tranquillamente lanciarla, questa sfida al tempo.
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11
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Ritratto... al commento numero 6, di due anni fa, ho detto una cagata immane. |
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10
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Non sbagliano un colpo da quando si sono formati, per me. Band perfetta sia dal vivo che in studio.
91/100 |
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9
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coi crowbar vai sul sicuro, sia in studio che dal vivo! |
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7
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Sentito alcune volte, d'accordo con voto e recensione. Ho tutta la lora discografia fino a Sever e questo, come il precedente, lo bypasserò. Ormai è impossibile stare dietro alle inumerevoli nuove uscite del 99% dei gruppi, uscite spesso molto ma molto inferiori rispetto alle precedenti. Non so, se ho voglia di sentire un album dei Crowbar o, ad esempio, degli Entombed o degli Exodus, vado a riascoltarmi i vecchi dischi. Ciò non per nostalgia o affezione, ma perchè realmente superiori. Mi sembra che molte band pubblichino nuovi dischi tanto per pubblicare, senza valutare l'effettiva qualità delle loro uscite (con qualche eccezione: ad esempio i Meshuggah). Magari, fare passare più anni tra un'uscita e l'altra potrebbe essere consigliabile, invece che pubblicare ogni due anni dischi poco significativi |
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6
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Mah! amo lo sludge ma loro mi hanno sempre detto poco, forse perché suonano uno sludge diverso dagli altri, contaminato da passaggi Groove che io detesto e con un vocalist che non mi piace per niente. Provo ad scoltare anche la nuova fatica della band ma per ora resto della mia idea. |
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5
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@ Carlos Satana : ovviamente sono d'accordo, ma non mi riferivo al soggetto in quanto tale ma proprio solo alle scelte per l'artwork di Symmetry, con il giglio su campo nero e titolo sottostante, oggettivamente vicino all'omonimo album dei finlandesi... @ luca : ha detto tutto Rejection nel primo commento, forse una piccola preferenza personale va a Sever the Wicked Hand, tra l'altro passato un po' troppo inosservato, all'epoca... |
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3
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oltre all'omonimo album, Sonic Excess In Its Purest Form e Odd Fellows Rest quali sono gli altri album dei Crowbar che mi consigli? |
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2
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Però gli Stratovarius no - il giglio/picca di New Orleans fa parte dell'iconografia dei Crowbar da quel dì, su. |
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1
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Non l'ho ancora ascoltato, ma questi non hanno mai sbagliato un disco, pazzeschi. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Falling While Rising 2. Plasmic and Pure 3. I Am the Storm 4. Surviving the Abyss 5. The Serpent Only Lies 6. The Enemy Beside You 7. Embrace the Light 8. On Holy Ground 9. Song of the Dunes 10. As I Heal
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Line Up
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Kirk Windstein (Voce, Chitarra) Matthew Brunson (Chitarra) Todd Strange (Basso) Tommy Buckley (Batteria)
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RECENSIONI |
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