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Diabolical - Umbra
18/11/2016
( 1820 letture )
Con Neogenesis era come scattata una molla all'interno dei processi che governano il songwriting dei Diabolical, creando un punto di distacco dai primi tre lavori che, pur caratterizzati da un sano e brutale death metal, relegavano la band svedese tra i tanti gruppi che interpretano in maniera convincente buona parte degli stereotipi propri di questo filone musicale. Ascoltando il loro più recente full-length, invece, prende corpo immediatamente l'idea che gli ingranaggi della creatività abbiano iniziato a girare nel verso giusto, andando a descrivere finalmente (dopo ben diciotto anni di carriera, all'ombra dei nomi più altisonanti) una formazione capace di far ruotare la propria proposta su cardini decisamente più personali e raffinati, pur non tradendo le radici del genere proposto.

Dopo un lungo intervallo di silenzi alternato da qualche sporadica apparizione live, i quattro reduci della precedente line-up (vista la fuoriuscita del chitarrista Tobias Jansson, perdita tra l'altro non troppo compromettente, visto che prima della dipartita i Diabolical potevano contare su ben tre chitarristi) ricompaiono con Umbra, EP il cui compito è quello di fungere da appetitoso apripista per il nuovo album in fase di lavorazione. Siamo così in presenza di un lavoro di sole quattro tracce alle quali però è dato il compito di fornire precisi indizi riguardo la rotta intrapresa.

Parlando di produzione, si può affermare come essa insista sulla falsariga che ha caratterizzato e reso peculiare Neogenesis, andando però a smussare alcuni difettucci, come ad esempio il suono delle chitarre, ora più secco e definito rispetto a un passato in cui spesso e volentieri tendeva a disperdersi, soprattutto nelle parti in cui Johansson spingeva sull'acceleratore con i suoi blast-beats finendo per generare un effetto non esageratamente ma comunque caotico. Ottima anche la scelta delle frequenze che circoscrivono il basso, collocato ora su una dimensione profonda ma definita, capace di farlo spiccare quando si ritaglia quelle note che vanno a conferire maggiori sfumature agli accordi delle chitarre.

Anche a livello di songwriting Umbra “si volta all'indietro” nel senso che gli stimoli compositivi si basano su quanto di buono prodotto nel precedente lavoro, spingendosi allo stesso tempo in avanti attraverso un'evidente miglioria nella strutturazione dei brani e, soprattutto, negli arrangiamenti, mai come in questo punto di passaggio così oculati e raffinati. Sempre su questo versante, si può constatare una certa perizia nella valorizzazione degli accordi e delle armonie prodotte dalle chitarre le quali, nella loro complessità, regalano una riuscita sensazione di pienezza al groviglio sonoro.

Requiem è costituita da una prima sezione che riassume bene il dualismo sfruttato abilmente dagli svedesi; l'alternanza tra un riffing serrato in palm-muting e un altro in tremolo picking costituisce un suolo fertile sul quale far stagliare il growl ruvido di Widgren, mentre i cori aggiunti a donare epicità risultano in realtà leggermente ridondanti, pur non compromettendo la brutalità ostentata in questi primi attimi. Ottimo anche il refrain, dove all'impostazione canora tipica se ne affianca una di matrice melodica, donando maggiore apertura al brano; contribuiscono a tale effetto, inoltre, il bel bridge costituito da un singolare arpeggio ben congegnato nello sfruttamento delle dissonanze, con la batteria a incorniciare ricercati pattern e la parte che precede la chiusura dettata da una sequenza di accordi in grado di disserrare un momento carico di pathos. Diaspora si avvia con un arpeggio colmo di quella tensione che induce a pensare che vi sia un'esplosione nell'aria e le aspettative vengono infatti immediatamente ripagate con la sezione ritmica che entra immediatamente in carica senza disdegnare le finezze armoniche che impregnano completamente l’intero EP. Anche in questo episodio Johansson dimostra un'assoluta maestria nell'ovviare al senso di ciclicità dei riff inserendo con gusto sopraffino diversi pattern, nei quali varia le figure ritmiche impiegate seguendo una concezione tipicamente “progressive”. Letteralmente da brividi il break in mid-tempo a metà del brano, con gli intrecci delle chitarre a dispensare autentico godimento per le orecchie, così come il breve solo costituito da poche e suggestive note. Tremor è un qualcosa di completamente inaspettato e tocca alla voce del filosofo Jiddu Krishnamurti introdurre questo terzo momento:

Mi chiedo come possiamo affrontare questo problema...
Chiedo a me stesso: che cos'è la paura?


sono brevi passaggi estrapolati da una conversazione del 1974 con il professore Allan W. Anderson; poi la musica... ed improvvisamente le dinamiche divengono malleabili; un arpeggio tremolante introduce il brano mentre le frasi si susseguono:

Quasi tutti hanno paura di qualcosa. Può essere la paura della morte, della solitudine...
...e anche le paure prodotte dalle mente stessa …
...o la paura di non avere la sicurezza fisica, o quella psicologica...


Gli strumenti si congiungono scandendo armonie ricercate in grado di calare un velo di malinconia lungo i minuti che vanno a costituire la traccia, mentre ad enfatizzarne le inclinazioni viene inserito un mellotron lungo il refrain, ottimamente sostenuto anche da una linea melodica di chitarra; il tutto si sussegue mentre le frasi del filosofo delineano meglio il suo concetto personale di paura. Dopo la tensione di un coro arriva il climax, che lascia piacevolmente spiazzati; ecco infatti una progressione di accordi che dimostrano una sensibilità armonica decisamente sopra la media, su cui si poggia un solo elegante che addirittura nel suo finale (a circa quattro minuti per la precisione) va a sfiorare note che si portano vicino al concetto di fusion. Decline chiude nella maniera più maestosa questo piccolo gioiellino; il riff iniziale (che poi diverrà refrain), tiratissimo, caratterizzato in un frangente da un bending che gradualmente genera dissonanza e la batteria di Johansson che ben si allinea blastandoci l'anima, scatena un momento violentissimo; ovviamente abbiamo capito che i Diabolical non solo questo e infatti i ritmi rallentano, dando spazio alla strofa scandita sia dall'ottimo tappeto ritmico che dal growl di Widgren. Le due fasi innervano buona parte del pezzo, mentre il finale viene costruito inizialmente su un tratto in cui le chitarre scandiscono accordi e armonie con i suoni puliti, destinati a evolvere in un passaggio groovoso su cui può poggiare un solo sognante.

Maturi, determinati, a tratti sperimentali, consapevoli, complessi e, perché no, molto ambiziosi, sono questi gli aggettivi che descrivono al meglio i Diabolical A.D. 2016, che, con questo Umbra, dimostrano di possedere tutte le carte in regola per sfornare finalmente un pezzo da 90 alla soglia dei venti anni di carriera, offrendo allo stesso tempo una prova tangibile del fatto che nell'underground esistono ancora realtà qualitativamente altrettanto valide rispetto a quelle più in luce, in questo caso nel panorama death, che possono contare per giunta su mezzi più potenti. Sicuramente, se a questo lavoro avessero aggiunto quattro o cinque pezzi in più di uguale caratura, il bersaglio sarebbe già centrato in pieno, ma a quanto pare loro preferiscono aspettare… celati tra le ombre.



VOTO RECENSORE
85
VOTO LETTORI
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Punto Omega
Giovedì 24 Novembre 2016, 13.40.32
1
Bellissimo ep.Di gran lunga superiore a qualsiasi loro precedente release...
INFORMAZIONI
2016
ViciSolum Productions
Death
Tracklist
1. Requiem
2. Diaspora
3. Tremor
4. Decline
Line Up
Sverker Widgren (Voce, Chitarra)
Carl Stjärnlöv (Chitarra, Cori)
Dan Darforth (Basso, Cori)
Pär Johansson (Batteria, Cori)
 
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