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Spiritual Beggars - Mantra III
17/12/2016
( 2019 letture )
Spiritual Beggars: la migliore band degli anni ’70, che non è nata negli anni ‘70. Ok, non preoccupatevi: semplicemente, sto cercando di presentare una band che è un caso abbastanza singolare nel movimento musicale attuale; e lo era ancora di più al momento della sua nascita, quasi 25 anni fa. Per capire meglio da dove arrivi, cosa sia stato, e cosa sia tutt’oggi (perché, per fortuna, i nostri sono vivi e vegeti, e pienamente attivi anche nel 2016) questo gruppo assolutamente “fuori tempo” e “fuori moda” bisogna fare un piccolo passo indietro, e ritornare alle origini del fondatore, leader e principale compositore, il chitarrista svedese Michael Amott. Questi è ben noto negli ambienti estremi, all’inizio degli anni ’90, come ascia dei seminali Carcass; gli affezionati del gruppo non tardano a notare come, anche grazie all’apporto del nostro, i Carcass percorrano un cammino che li porta ad aggiungere parti sempre più “classiche” e “melodiche” (se così si può dire, dato il genere) nel loro metal estremo.
Non stupisce più di tanto, quindi, che, uscito dal gruppo nel 1992, egli esca ben presto sul mercato con una band che gli permetta di mostrare tutto il suo amore per l’hard rock grezzo e incontaminato dei ’70, e per le grandi band che lo hanno portato al suo apice. Tanto per capirci meglio: non si tratta di un gruppo che, pur pesantemente influenzato dagli stilemi dei seventies, suona comunque attuale (alla Pearl Jam, se vogliamo citare un fondamentale gruppo anni ’90, o alla Black Stone Cherry, se si vuole rifarsi alla più stretta attualità); qui abbiamo un complesso che suona davvero, in tutto e per tutto, come se sulla copertina dei dischi ci fosse impressa la data 1975, invece che 1998 (nel caso specifico).

Formazione che più classica non si può, power-trio alla Jimi Hendrix Experience, con due musicisti all’epoca sconosciuti ma ben presto rivelatisi dotatissimi: alla batteria il fedele discepolo di Ian Paice e John Bonham, Ludwig Witt, e alla voce e al basso il vero marchio di fabbrica della prima fase di vita degli Spiritual Beggars, il dirompente Christian “Spice” Sjostrand. Sin dal primo disco, omonimo, la ricetta è presto fatta: le forme espressive del rock ’70 sono potenziate da distorsioni assassine e riff pesantissimi tipicamente stoner, brutalizzate da un’energia punk-rock (con Spice che si dimostra un degno emulo, per potenza e convinzione, di mastro Lemmy, ma più intonato e versatile), e imbastardite da una psichedelia e un’attitudine alla jam e all’improvvisazione che non può non richiamare i migliori ’60. Nulla di innovativo dunque: ma un cocktail talmente esplosivo e trascinante da non fare assolutamente prigionieri. Tre album in cinque anni (considerando il primo EP), ed ecco il terzo, il cui ordine temporale è richiamato proprio dal titolo, Mantra III.

In questo disco gli ingredienti non variano di una virgola, ma il gruppo si dimostra più maturo e consapevole: non manca l’assalto frontale, non mancano i riff e gli assoli riuscitissimi (Amott si conferma una garanzia assoluta, e uno dei pochi degni eredi dei maestri della chitarra dei ’70), non mancano le galoppate distorte e sincopate di basso e batteria, non mancano i momenti psichedelici di “lucida follia”; ma si nota una maggior cura della “forma canzone”, e un’attenzione più marcata agli arrangiamenti, tanto che i singoli brani risultano più facilmente riconoscibili fra loro, più caratterizzati da uno stile e da un mood tutto personale. Inoltre, comincia a far capolino una succosa novità: in alcuni brani, a fianco di chitarra basso e batteria, compaiono altri strumenti. L’organo Hammond è presente in numerosi brani, e, nella jazzata Superbossanova, al suo fianco si erge anche un Fender Rhodes. Si tratta di strumenti che rimandano chiaramente a numi tutelari quali Deep Purple, Uriah Heep e Whitesnake; la loro presenza si rivelerà tanto determinante che Mr. Amott deciderà di inserire nel gruppo, a partire dall’album successivo Ad Astra, un tastierista fisso, il bravissimo (e futuro Opeth) Per Wiberg, il quale tutt’oggi è parte del progetto.
L’intero disco è un monolite compatto, nel quale i brani si susseguono senza soluzione di continuità travolgendo l’ascoltatore con la loro intensità e la loro potenza, ma senza tralasciare aperture melodiche e squarci di tranquillità. L’opener terzinata Homage To The Betrayed, la pupleiana Euphoria, la martellante Send Me a Smile e la lunga psichedelica e conclusiva Mushroom Tea Girl possono esser considerati gli episodi forse più riusciti; ma uno dei punti forti di questo album è la sua omogeneità qualitativa: mancano del tutto pezzi scadenti o puri riempitivi.

La linea evolutiva già presente in questo disco proseguirà a breve con il successivo Ad Astra, probabile apice della prima fase degli Spiritual Beggars, quella con Spice alla voce. Seguiranno poi una seconda fase, con Janne JB Christoffersson alla voce, che riprenderà in maniera potente le origini stoner, e una terza, quella attuale, con Apollo Papathanasio dietro al microfono, dove invece le matrici hard rock riprenderanno vigore e soppianteranno in maniera quasi totale la vena sabbathiana e stoner.
Questo Mantra III non è il vertice compositivo dei nostri, né tantomeno un disco che trasudi innovazione da tutti i pori; eppure basta un ascolto, anche superficiale, per cogliere e apprezzare la genuina passione per queste sonorità che ha sempre animato Amott ed i suoi compari. A riprova di questo, il fatto che pochissime band, soprattutto fra quelle di nicchia, abbiano saputo durare più di venti anni sulla scena, mantenendosi nel contempo orgogliosamente fuori da qualsiasi forma di rincorsa alle mode del momento: ascoltate le scelte (compositive, esecutive e di produzione) degli ultimi tre album dei nostri, datati 2010, 2013 e 2015, e capirete come agli Spiritual Beggars non interessi, né sia mai interessato, suonare attuali e patinati. Potenti e trascinanti sì però, e qui trovate una bella raccolta di pezzi che vanno dritti al bersaglio.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
94.7 su 10 voti [ VOTA]
patrick
Martedì 20 Marzo 2018, 23.15.26
9
onestamente ad astra e questo sono i migliori ed esprimono al meglio i suoni che vengono dagli anni 70 e trovano un punto in comune con un certo stoner che a me fa impazzire il cantante ha una voce bella grezza e melodica impastate veramente bene...... nn amando i successivi jb e cantante greco devo esprimere la mia simpatia su tutta la linea fino ad astra appunto.......le jam poi mi piacciono da morire qua i duelli sono favolosi tra hammond e la chitarra stupenda di ammot , salud questo è il vero crossover tra metal e hard rock
Suarez
Giovedì 13 Luglio 2017, 14.37.17
8
per l'assolo di hammond?
Suarez
Giovedì 13 Luglio 2017, 14.36.21
7
Claudio sono davvero curioso di sapere i motivi reconditi per cui ritieni la canzone Euphoria purpleiana
gianmarco
Martedì 20 Dicembre 2016, 17.41.55
6
era come chitarra anche su heartwork
brainfucker
Lunedì 19 Dicembre 2016, 11.39.12
5
grandissimo disco per una band che secondo me non ha sbagliato mai niente, poi la voce di spice è davvero fantastica, peccato che dopo di lui(che comunque se ne è andato perchè ammott è un coglione) e jb abbiano preso un cantante assolutamente inadatto
Metal Shock
Lunedì 19 Dicembre 2016, 6.29.37
4
Per me la prima frase della recensione dice tutto di questa band. Purtroppo per Amoth e` il B side come prerogativa, ed oggi in pochi ascoltano hard rock se non i grandi nomi, se no questa band sarebbe nell`Olimpo del genere. Hanno avuto diverse Mark, usando un termine purpleiano, per il cambio di cantante, ed ogni fase e` stata caratterizzata da buoni od ottimi album come questo, che conferma Spice come grande cantante e musicista. Il sccessivo Ad Astra e` forse il migliore con Spice ma anche questo al suo interno contiene ottime songs. Avendo tutti i loro dischi, gli ultimi devo dire che, col loro suono piu` alla Purple, mi piacciono di piu`, ma sono preferenze personali.
InvictuSteele
Domenica 18 Dicembre 2016, 18.13.45
3
Per me loro sono una discreta band, molti dischi carini ma nulla di eccezionale. Mantra III è uno dei loro migliori lavori, ma in ambito stoner trovo decine e decine di band più interessanti e originali.
Lizard
Sabato 17 Dicembre 2016, 19.38.40
2
Disco decisamente più strutturato e dotato di arrangiamenti maggiormente ricercati rispetto ai precedenti. Prova di crescita evidente di un gruppo comunque ancora alla ricerca di se stesso. Euphoria, Broken Morning e Lack of Prozac, mostrano bene il successivo sviluppo della band, mentre tutta la parte conclusiva resta quasi un unicum nella loro discografia. Forse appena troppo frammentato rispetto al compattissimo debutto, è il classico disco di passaggio di una grande band, quindi molto meglio di quanto faranno mai decine di imitatori senza il talento di questi ragazzi.
Galilee
Sabato 17 Dicembre 2016, 15.56.21
1
Buona recensione. Assieme a AD ASTRA l'apice di questa band, almeno da quello che ho ascoltato io. Energia pura.
INFORMAZIONI
1998
Music for Nations
Stoner
Tracklist
1. Homage to the Betrayed
2. Monster Astronauts
3. Euphoria
4. Broken Morning
5. Lack of Prozac
6. Superbossanova
7. Bad Karma
8. Send Me A Smile
9. Cosmic Romance
10. Inside Charmer
11. Sad Queen Boogie
12. Mushroom Tea Girl
Line Up
Christian "Spice" Sjöstrand (Voce, Basso)
Michael Amott (Chitarra)
Ludwig Witt (Batteria)
 
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