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Noneuclid - The Crawling Chaos
14/01/2017
( 1283 letture )
The Crawling Chaos, prima fatica del gruppo tedesco Noneuclid, si presenta come un concept album sulla violenza e l’inevitabile decadimento mortale cui è sottoposto l’intero universo, personificato da entità semidivine provenienti da oltre il cosmo.
Fondato nel 2004 a Landshut, ridente cittadina bavarese famosa per aver dato i natali al filosofo Ludwig Feuerbach, il gruppo è stato assemblato con alcuni tra i prezzi più pregiati dell’intera scena estrema tedesca: Victor Bullok, così come il batterista Matthias Landes, dal 2001 fa parte dei Dark Fortress e, dal 2008 dei Triptykon; Florian Magnus Maier, oltre ad essere la master-mind dietro al gruppo, è anche il fondatore degli Alkaloid e, dal 2008, presta la voce ai Dark Fortress; infine, Linus Klausenitzer è meglio conosciuto per il suo recente lavoro con gli Obscura e gli Alkaloid, oltre che per le varie altre e numerose collaborazioni.

The Crawling Chaos si presenta all’ascoltatore, da un punto di vista musicale, come un ibrido amorfo. Si è, infatti, trascinati all’interno di un cosmo devastato in forma sonora, oltre la realtà convenzionale, dove l’irrilevanza umana si manifesta in una totale incapacità di agire che assoggetta la nostra mente in un passivo stato di mera osservatrice e testimone degli eventi. Così, dunque, si dipana l’intero concetto musicale all’interno di dettami che sembrano essere fissi solo per essere distrutti, plasmati e rimodellati secondo regole diverse a ogni singolo cambio.
L’incipitario Worm è un pezzo cangiante. Si apre con un aggressivo riff d’estetica thrash che, nel dipanarsi dell’ordita, sfocia in melodie di gusto progressive, strutture aggressive che supportano un cantato pulito di Bruce, molto rassomigliante per range a quella di Denis Bélanger, e cori sullo sfondo. The Digital Diaspora, invece, si bea di una complessità che si rispecchia in un sentimento di angoscia, claustrofobia e, paradossalmente, di armonia, con le chitarre che da passaggi squisitamente tecnici finiscono per rincorrersi in dimensioni e melodie differenti, d’estetica jazz. Vi emerge Linus Klausenitzer, con un solo di basso di rara bellezza sopra i furenti blastbeat di Landes, e – soprattutto, lo stimolante e martellante chorus che, infine, si esaurisce in un duetto basso/chitarra su un’aria flamenco. Il terzo pezzo, Coming in Tongues, è come l’infinita trama di una tela che tesse e disfa se stessa. S’intesse con il vorticoso susseguirsi del riffing delle chitarre di Maier e Bullok, quel discorso ambient che le tracce precedenti avevano appena accennato, sintetizzato ancora dalle interazioni sospese ed eteree tra il basso di Linus e le chitarre, che realizzano un dipanarsi estraneo e alieno che avvolge e inquieta l’animo dell’ascoltatore. Introdotta dalla marciante Void Bitch, forse l’unico pezzo debole dell’intero lavoro, Xenoglossy è un incessante susseguirsi di suoni ed effetti che inglobano e circondano, avvinghiano e toccano l’animo a tal punto da creare illusorie percezioni uditive e dubbi. Il pezzo si diverte a strisciare, gioca con i più reconditi pensieri delle deboli menti dell’uomo; è un abisso che specchia se stesso nel medesimo nero e che, da quei medesimi occhi, trae quel senso di grondante colore che parimenti ammanta e oscura l’universo.
Il comparto lirico è affidato alle poesie dello scrittore statunitense Andrew Hughes che, partendo da H.P. Lovecraft come referenza tematica, ne supera il ripiegamento e le vaghe insinuazioni per offrire un freddo occhio vigile e una deumanizzata percezione del disastro cosmico descritto dagli strumenti.

Ruiner of small things, the Heavens await the worm.
Disembowel the alphabets, scatter them amongst the stars;
Displace the ancients’ dying light
With the hell we have inherited from the sky.

Colui che rovina le piccole cose, i Cieli attendono il verme.
Eviscera gli alfabeti, li disperde tra stelle;
disloca la decadente luce degli antichi
con quell’Inferno che abbiamo ereditato dal cielo.


In questo turbinio di spietatezza è possibile rintracciare i relitti vari, i graffiti di una vendetta scritta e, se terrore ci deve essere, questo non si annida né nel tipo di scrittura lirico o musicale ma in sensazioni pregresse di ciò che l’ha provocato.

The Digital Diaspora

Worm of winds, wicked reckoner,
Many headed hydra,
Visits famine upon dream.
Cast stone, intone curse,
Exorcise light!
Witch of phenomena
And her murderous sons
Orchestrate voice, –
The sun will lose its tongue.

Il verme dei venti, maligno calcolatore,
idra dalle molte teste,
fa visita alla carestia in sogno.
Scaglia la pietra, intona la maledizione,
esorcizza la luce!
La strega dei fenomeni
e la sua prole omicida
orchestrano la voce:
il sole perderà la propria lingua.

Murder of Worlds

Slowly the throat of light is slit, – time bleeds out.
Effulgent gases stain the heavens and the are gone.

Void bitch, universe murder
Begin black sermon:
Cataclysmic matter murderer
Enslaves time, shackles light,
Shatters the mirror of night.

Lentamente la gola della luce è tagliata, – ne sanguina fuori il tempo.
Fulgidi gas macchiano i cieli e se ne vanno.

La puttana del vuoto, l’assassino dell’universo
cominciano il nero sermone:
il cataclismatico assassinio della materia
schiavizza il tempo, mette la luce al ceppo,
frantuma lo specchio della notte.


The Crawling Chaos esce dai dettami di qualsiasi classificazione cui si può voler costringere questo primo, stupendo ed immaginifico lavoro dei Noneuclid. All’interno di uno schema d’estetica thrash, vi sono componenti che si assommano e si diversificano come in una composizione d’una breve suite orchestrale. Pure nei punti che possono essere ritenuti più deboli o ripetitivi, e penso alla traccia Void Bitch, si ha come l’impressione di non avere le capacità per definire con chiarezza e certezza quali dubbi intasino il nostro giudizio che, dunque, si piega unicamente alla componente dell’oggettivo confronto qualitativo tra le componenti dell’intera produzione. In definitiva, un trattato, una disquisizione squisitamente virtuosa eppure quanto mai essenziale, barocca e scarna, su ciò che la musica contemporanea può comprendere al proprio interno, sulle sue più diverse sfaccettature e trame.



VOTO RECENSORE
91
VOTO LETTORI
80 su 2 voti [ VOTA]
Francisarbiter
Sabato 14 Gennaio 2017, 18.07.43
3
@Pink Christ Grazie mille per le belle parole 😊
Pink Christ
Sabato 14 Gennaio 2017, 17.53.41
2
Una delle cose che preferisco di questo sito è che alcune recensioni son scritte talmente bene che quando ascolti l'album sai già cosa aspettarti. E questa recensione ne è un esempio lampante. Non conoscevo il gruppo, la recensione mi ha incuriosito e allora ho provato ad ascoltarlo. Devo dire che non poteva esser descritta meglio la musica di questo gruppo che è davvero innovativo. Ottima tecnica, tanta carne al fuoco ma ben distribuita e suonata con testa e attenzione nei dettagli. Penso proprio che comprerò il disco perchè voglio godermelo a palla ascoltando ogni singolo suono. Per ora voto 80 ma credo salirà. Voto 100 alla recensione invece e a tutti quei recensori che riescono a mettere la musica in parole. E' una bellissima dote che pochi hanno. Complimenti
Piero
Sabato 14 Gennaio 2017, 13.33.45
1
Ho il successivo, Metatheosis del 2014, che ritengo riuscito a metà: grandi canzoni nella prima parte, ma inutilmente prolisso nella seconda. Recupererò anche questo...
INFORMAZIONI
2006
Autoprodotto
Inclassificabile
Tracklist
1. Worm
2. The Digital Diaspora
3. Coming in Tongues
4. Void Bitch
5. Xenoglossy
6. Time Raper
7. Murder of Worlds
Line Up
Bruce (Voce)
Florian Magnus Maier (Chitarra)
Victor Bullok (Chitarra)
Linus Klausenitzer (Basso)
Matthias Landes (Batteria)

Altri:
Andrew Hughes (Testi)
 
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