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Khemmis - Hunted
22/01/2017
( 2351 letture )
Spesso capita di avere la possibilità di poter esulare per un attimo dalla ritmicità impartita dalla tabella di marcia redazionale, affacciarsi sull'underground e capire quali possano essere, raccogliendo le opinioni degli ascoltatori radunati su particolari siti, forum e blog, le realtà più promettenti e al contempo i dischi più apprezzati di una determinata frangia del metal. Così, limitando lo sguardo al solo universo doom, abbiamo avuto la fortuna di imbatterci nei Khemmis, giovane band di Denver che si era già fatta notare nel 2015 con l'album di debutto Absolution ma che, a quanto pare, secondo la quasi unanimità di pubblico e critica, è riuscita in soli dodici mesi a replicare e potenziare ulteriormente l'effetto sorpresa con questo secondo Hunted.
Le coordinate stilistiche sulle quali si dipana il songwriting dei quattro ragazzi del Colorado spazia dal doom all'heavy di matrice maideniana ed è in particolare quest'ultima componente a risultare ampliata nell'ultimo Hunted, complice una maggiore apertura verso la melodia di cui sono prova immediatamente tangibile gli incroci armonici delle due chitarre di Pendergast e Hutcherson.

Un elemento che salta prontamente all'attenzione appena immersi nell'ascolto del platter è la produzione, indubbiamente più curata e cristallina, soprattutto per quanto riguarda le frequenze delle due sei corde; malgrado a un primo impatto si presentino gonfie e sature nelle distorsioni, si può asserire che parte di quel suono ruvido e sporco è stato reso in un certo senso più “accessibile”. Un altro sostanziale mutamento riguarda l'approccio vocale di Hutcherson, incentrato stavolta sull'uso del growl e intensificando così il contrasto con l'ugola pulita e singolare di Pendergast.

Sin dall'attacco di Above the Water risulta evidente, come già accennato, quanto all'interno di questo lavoro i Khemmis giochino le loro carte in maggior misura rispetto al passato sulla melodia: gli incroci armonici delle due chitarre fungono prontamente da pittoresca immissione al nocciolo del brano il quale, negli attimi successivi, si evolve nella gradevole alternanza delle due componenti sulle quali i Nostri fondano il loro songwriting. Allo stesso tempo è manifesta una certa enfasi delle parti soliste, quasi a voler sottolineare l'incremento tecnico dei due chitarristi in contrasto con un tappeto di riff semplici e agevoli. Occorre però precisare che non è tutto oro ciò che luccica; il brano nel complesso è indubbiamente godibile e sopra la media per quanto riguarda la sua concezione, ma non è esente da alcuni difetti che ne minano la resa complessiva, a cominciare da una certa ridondanza dei solo per finire all’effetto di alcune inserzioni melodiche presenti sul refrain non estranee a una certa grossolanità di fondo. Fortunatamente, a differenza del primo tassello, Candlelight si presenta alleggerita dagli orpelli e dunque più concreta; un bella sequenza di accordi introduce un cantato estatico che guida verso un efficace ritornello, il frangente centrale gioca invece su un poderoso rallentamento sul quale si intercalano i growl di Hutcherson, mentre la chiusura si carica di pathos grazie alle suggestive note toccate da Pendergast e a uno stupendo assolo dagli accenti blues. Three Gates si avvia aggrappandosi sulle influenze più “sludgy” (in virtù del ricorso a un ritmo più sostenuto e rabbioso, che per affinità si congiunge al ruggire di Hutcherson) e tocca allora al refrain volgere la prua della traccia verso approdi melodici e sognanti… e puntualmente ecco ancora l'eccesso di lavoro chitarristico in questa sede, offuscando quanto di buono si sprigiona dalle linee vocali. Impeccabile è invece lo special inserito centralmente, il cui compito è distogliere momentaneamente l'attenzione dal filo conduttore del pezzo. Beyond the Door si fa subito ammaliante grazie alla parte introduttiva che volge immediatamente su un ritornello mesto e solenne; in questo caso gli incroci armonici delle chitarre risultano ben incastonati nella loro funzione di rinforzo, insieme a una chiusura dove le due personalità principali della band cominciano dapprima a incrociarsi su un tappeto chitarristico disposto a intreccio e poi si separano sfruttando il contrasto delle due anime vocali. A completare il lotto, Hunted è una lunga suite la cui funzione in linea teorica è chiudere con classe questo secondo lavoro; se la prima parte poggia su un andamento “swingato” (dove si dipanano i brevi solo e la voce di Pendergast a delineare la strofa), gli umori cambiano immediatamente subito dopo un breve refrain, i ritmi infatti rallentano e i toni divengono grevi, ampliando la gamma degli umori contenuti nel brano. La conferma che l’atmosfera complessiva sia mutata, in termini di molteplicità di apporti, viene dal finale, grazie dapprima a una parentesi in cui le chitarre scandiscono suggestivi accordi e armonie in clean e poi alla loro stessa evoluzione, che si manifesta in un crescendo guidato dal lirismo vocale di Phil Pendergast.

Tra affermazioni di entusiasmo incondizionato, clamori e nomine a miglior album dell'anno, in contrasto con le critiche di una ben poco nutrita schiera di detrattori, il giudizio per Hunted si trova esattamente nel mezzo. Va detto in premessa che siamo indubbiamente in presenza di una band con delle ottime capacità in sede di songwriting, capace di miscelare sapientemente due generi apparentemente lontani come il doom tradizionale e l'heavy metal più classico. È forse altrettanto scontato, peraltro, che di fronte a tale proposta la frangia più purista del doom storcerà il naso, ma in fondo ciò che conta sono i fatti e, alla resa dei conti, i Khemmis hanno piazzato un disco gradevole, ben composto e suonato ma che, al contempo, non può essere considerato né un capolavoro né un album irrinunciabile ma semplicemente un lavoro discreto. Considerando però che sono solo alla prova del secondo album, è doveroso evidenziare le indubbie capacità di questi ragazzi e gli altrettanto ampi margini di crescita in prospettiva, a condizione di limitare quelle ridondanze a cui fanno ancora ricorso quasi a voler rendere conto delle proprie capacità tecniche e che rischiano di rendere tormentata una navigazione altrimenti già di tutto rispetto.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
81 su 3 voti [ VOTA]
No Fun
Venerdì 29 Giugno 2018, 16.54.58
4
Mi sono sentito qualcosa da Desolation, il nuovo album. Non li conoscevo, non sono male, per niente. L'heavy classico non fa per me, ma il loro mi senbra un heavy doommeggiante (Cirith Ungol?) Mi ascolterò anche questo, bene bene...
Marco75
Domenica 17 Giugno 2018, 11.05.44
3
Di Doom ci sento poco o niente, ma non sono un fanatico del genere e quindi me ne frego, però è un bel disco, forse non il massimo dell'originalità, ma ci sono passione e tecnica. Anche se le canzoni sono molto lunghe un paio in più non avrebbero guastato. Beyond the door li pezzo migliore del lotto.
Vanni Fucci
Lunedì 30 Gennaio 2017, 18.24.49
2
Album niente male, ma non il capolavoro che dicono alcuni. Ad ogni modo mi sorprende che qui non se lo fili nessuno, forse l'utenza è più "tradizionalista".
gamba.
Giovedì 26 Gennaio 2017, 14.41.30
1
ad essere sincera non sono riuscita ad andare oltre la terza traccia, non sono di certo una purista (di nessun genere) ma proprio lo ho rigettato xD
INFORMAZIONI
2016
20 Buck Spin
Heavy/Doom
Tracklist
1. Above the Water
2. Candlelight
3. Three Gates
4. Beyond the Door
5. Hunted
Line Up
Phil Pendergast (Voce, Chitarra)
Ben Hutcherson (Voce, Chitarra)
Dan Beiers (Basso)
Zach Coleman (Batteria)
 
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