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Holy Martyr - Darkness Shall Prevail
20/03/2017
( 2201 letture )
Chissà cosa avrebbe pensato J. R. R. Tolkien del grande successo e della costante attenzione che i suoi scritti hanno suscitato nel tempo in ambito rock e metal. Probabilmente, il severo e conservatore professore inglese non avrebbe affatto gradito che un branco di capelloni sfaccendati dichiarasse il proprio amore per i suoi libri, esattamente come a suo tempo fece Frank Herbert, che negò recisamente e con disprezzo il permesso agli Iron Maiden di utilizzare il titolo del suo famoso romanzo Dune, per quella canzone che oggi tutti conosciamo come To Tame a Land. Quel che è certo, è che si sarebbe perso molto, non provando almeno ad ascoltare in che modo, i tanti gruppi che si sono succeduti negli anni, hanno saputo affrontare la sua opera, rendendole merito e donandole una luce nuova e, chissà, una veste forse addirittura perfetta, in qualche caso. Sicuramente è bello immaginare un Wagner alle prese con le avventure di Frodo Baggins o addirittura con il terribile Melkor e la sua brama inesauribile di distruzione e sottomissione. Ma è difficile negare che sin dagli esperimenti del prog settantiano, fino all’epic metal ottantiano e a quello power/speed o doom novantiano fino al folk/death/black degli anni duemila, il mondo del rock abbia offerto ingegno, tecnica, cuore e qualità compositive di prim’ordine alla saga tolkeniana.
Alla lunga schiera, sempre in crescita di cantori ispirati dallo scrittore inglese, si vanno ad aggiungere oggi gli italiani Holy Martyr, band di origine sarda, ormai da anni trapiantata nel milanese, che giungono con Darkness Shall Prevail al quarto album, sotto la costante egida della Dragonheart Records. Un obbiettivo importante e che conferma la tenacia e la passione del gruppo, dopo i buoni riscontri ottenuti col precedente Invincible, album che invece vedeva all’opera i valorosi e spietati samurai giapponesi. Come saprà chi segue la band, il genere si allinea ad un roccioso e potente epic metal classico, che trae ispirazione dai grandi maestri a partire da Manilla Road e Manowar, per arrivare a gruppi forse meno conosciuti ma non per questo meno importanti, come Omen e Cirith Ungol. Proprio questi ultimi confermano già dal nome quanto il genere si presti a dedicare attenzione a temi come quelli della guerra, della battaglia, del valore eroico, del coraggio, dell’amicizia ma anche della lotta tra bene e male, del tradimento, del sacrificio, della cupidigia e della brama di potere, della morte, e del difficile equilibrio tra onore, lealtà, ricerca della giustizia e della verità. In effetti, sarà la suggestione esercitata dagli scritti di Tolkien, sarà il desiderio di continuare a crescere, sarà la necessità di accrescere il proprio bagaglio espressivo per far fronte alla sfida posta dalle liriche, ma è evidente quanto gli Holy Martyr abbiano elevato il proprio livello compositivo, compiendo uno sforzo enorme, spesso coronato da un esito davvero convincente e coinvolgente.

Darkness Shall Prevail non è un concept album nel vero senso della parola, perché non narra una storia unitaria, quanto una serie di episodi singoli tratti dall’opera di Tolkien e che vedono molti dei suoi protagonisti succedersi, senza un vero e proprio collegamento, anche se la prima traccia ci porta alla potente e ricca Numenor, isola/regno splendente che per superbia e paura della morte, cede alle false lusinghe di Sauron e rompe l’alleanza con gli elfi giungendo infine ad attaccare il Regno degli dei Valar, provocando così la propria distruzione ed inabissamento, mentre l’ultima vede la nascita di Aragorn, unico discendente proprio dei Re di Numenor e speranza del mondo degli Uomini, contro l’avanzata delle tenebre di Sauron. Nel mezzo, troviamo la spaventosa guerra che ha posto fino alla Seconda Era con la sconfitta di Sauron e la morte di Gil-Galad ed Elendil (Heroic Deeds), la terribile fortezza di Dol Guldur nella quale Sauron riuscì ad imprigionare Gandalf, l’oscuro e spaventoso Bosco Atro (Taur-Nu-Fuin), la spaventosa città maledetta di Minas Morgul e il terribile Re Stregone di Angmar, Re umano decaduto e dominato dalla volontà di Sauron attraverso uno dei suoi anelli e ora comandante dei feroci Nazgul e, infine, la città di Morìa o Khazad-dûm, regno sotterraneo dei nani (The Dwarrowdelf). Come facilmente intuibile, già dallo scorrere dei titoli, la prima parte del disco e l’ultima sono quelle maggiormente influenzate da un heavy/epic potente e maestoso, ma dai tempi medi abbastanza elevati e coinvolgenti. La parte centrale, da Dol Guldur a The Witch-King of Angmar, si tinge invece di toni sempre più oscuri, minacciosi e magniloquenti, rasentando se non abbracciando a piene mani un epic doom tormentato e carico di parti corali e intrecci chitarristici di grande pregio, nei quali emerge appieno il tentativo ben riuscito da Ivano Spiga e compagni di esaltare la narrazione tolkeniana con parti rallentate e oscure, molto evocative, sinistre e maestose al tempo stesso. Si tratta indubbiamente del lotto di canzoni più particolare e significativo, nonché personale, che dà vita a Darkness Shall Prevail. Canzoni così articolate e dotate di chiaroscuri donano una luce del tutto particolare al disco, il quale solo verso il finale recupera velocità e una dinamica di impatto, rilasciando in buona parte la tensione accumulata fino a quel punto. Il Tolkien degli Holy Martyr è ben diverso da quello tratteggiato ad esempio dei Blind Guardian, ben più arcigno, arcaico, oscuro, di pietra e d’acciaio, feroce ed eroico, eppure carico di pathos e tensione. Il gruppo rinuncia a qualunque strumentazione oltre a quella prettamente rock: nessuna tastiera, nessun arco, flauto, cornamusa, arpa o altro. Epicentro delle composizioni sono quindi le notevoli parti di chitarra, che tanto da un punto di vista di riffing, quanto di intrecci solistici, raggiungono livelli di maniacalità non indifferenti, senza rinunciare a qualche fondamentale passaggio in acustico. Ovviamente, grande peso assumono anche le numerose e pressoché onnipresenti parti corali, che arricchiscono tutte le composizioni, a volte donando loro punte di vero brivido, come nella parte centrale di Dol Guldur, sicuramente la parte riuscita in modo migliore dell’intero album, o ancora nella opener The Shores of Elenna, in Numenor e negli interessanti intrecci di The Dwarrowdelf (una delle composizioni migliori del disco), nei quali anche il basso di Nicola Pirroni gioca un ruolo fondamentale, ricordando alcune soluzioni tipiche degli Iron Maiden. Al centro di tutto questa possente costruzione, troviamo la voce di Alex Mereu, alle prese con un compito quasi improbo eppure gestito con calore e trasporto. Pur non in possesso di una voce e di una interpretazione caratterizzanti, grazie alla timbrica che potrebbe ricordare in molti frangenti una via di mezzo tra Mark Shelton e Blaze Bayley, senza la nasalità del primo e con una estensione sicuramente maggiore del secondo, Mereu gioca un ruolo importante alla riuscita del disco. A lui il difficile compito di rendere credibili parti vocali che risentono senza dubbio dell’influsso dei gruppi citati (Manilla Road su tutti e a più riprese), ma che giovandosi del grande lavoro dei cori, riescono a risultare credibili e sentite. Un difetto che invece pesa un po’ sul complesso del disco, è l’assenza di refrain davvero contagiosi, se si escludono quelli di Numenor e di pochi altri brani, pur in presenza di alcune strofe molto interessanti. Particolare anche la sequenza melodica e ritmica del refrain di Dol Guldur, identica a quella della successiva Taur-Nu-Fuin; probabilmente una scelta voluta, dato che le due canzoni sono in qualche modo legate e seguite dai due brevi spezzoni strumentali Darkness Descends e Minas Morgul -bellissima- e rappresentano, ciascuna per sé, indubbiamente il culmine del disco. In presenza di canzoni così lunghe e articolate e in assenza di spunti melodici di facile presa, l’ascoltatore non può che attendere che piano piano il disco rilasci le proprie qualità, andando poi a intaccare la monoliticità della proposta fino a riconoscere i singoli episodi e le ardite architetture di ciascuno. In questo senso, la qualità dei brani è piuttosto costante e non si segnalano cadute di tono, e così anche due canzoni come Heroic Deeds e The Witch-King of Angmar, che all’inizio sembrano finire risucchiate dal resto dell’album, rivelano presto il loro spessore. In particolare la prima, dotata di una costruzione davvero coraggiosa e splendidamente eseguita.

Con Darkness Shall Prevail gli Holy Martyr sugellano il loro album più ambizioso. Il percorso di crescita è evidente e si può ben dire che a questo punto il gruppo abbia raggiunto un livello che giustificherebbe l’attenzione nazionale e internazionale. La produzione è praticamente perfetta e funzionale ad un disco che possiede un fascino evidente. Non è un lavoro per tutti, ma neanche un album che si può ignorare. I difetti sono quelli già tratteggiati: i brani sono molto lunghi e complessi e non offrono appigli melodici immediati, pur risultando comunque ancorati ad una tradizione heavy/epic/doom tradizionalissima e ben più che conclamata. In effetti, si potrebbe dire che forse è anche l’assenza di una vera sorpresa e il ricorso a soluzioni ampiamente sperimentate a rendere non così facile l’ascolto di un album molto strutturato e con una parte centrale dominata da ritmi cadenzati e solenni, seppur maestosi ed imponenti. Da rilevare anche il ruolo dei due nuovi entrati, Paolo Roberto Simoni alla chitarra e Stefano Lepidi alla batteria, entrambi autori di una ottima prova, con Lepidi pesante nel tocco, ma sicuro, preciso, quadrato e al contempo dinamico, in un contesto non facile e dominato dalle chitarre e Simoni ottimo contraltare di Spiga e capace di una tecnica apprezzabile. Si tratta insomma di un disco fortemente consigliato a chi cerca un heavy tradizionale, ma solido, potente, enfatico, capace di calare l’ascoltatore al centro di una storia suggestiva come poche altre e che richiede numerosi ascolti per essere apprezzato fino in fondo, ma che al contempo non si dimentica e si scava piano piano un posto prezioso. E’ un disco che segna una tappa molto importante per gli Holy Martyr e che al contempo ne certifica lo status di band di cui tenere debito conto. Tolkien ha trovato dei nuovi interpreti di valore, questo è poco ma sicuro.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
84.66 su 6 voti [ VOTA]
davide
Mercoledì 7 Febbraio 2018, 2.09.12
10
Subito ho preferito i pezzi di Hellenic Warrior Spirit o Invincible, ma poi, ascoltato bene, devo dire che è un grandissimo album. Che atmosfere!!!! Cupe e potenti. Mi piace. Alcuni pezzi suonati dal vivo rendono ancora meglio. Li ho visti sia in Grecia che in Spagna. I fans si strappavano i capelli. Sapevano i testi a memoria. Una gioia avere gruppi italiani cosi. Ce ne fossero.
Lemmy
Domenica 26 Marzo 2017, 20.19.41
9
@ Obscure Sollstice.Ma certamente, credo però che queste cose la gente le conosce già se ascolta metal da tempo, dai Megadeth, a Burzum fin su ai Summoning, si va appunto dal thrash al death al melodic death, al black, al folk black, all'atmosferic epic black, al pagan black o all'ambient black, comunque per i neofiti ci sono degli articoli molto belli per chi vuole conoscere e approfondire Tolkien nel metal.
ObscureSolstice
Domenica 26 Marzo 2017, 18.54.42
8
@Lemmy: non solo fino ai Blind Guardian, anche nei generi più estremi del metal. Si può parlare di tale mito in qualsiasi genere musicale volendo vedere
MorphineChild
Domenica 26 Marzo 2017, 17.34.50
7
la prima impressione è di un disco molto "denso", privo dell'immediatezza di HWS e della velocità di Invincible; tanto doom, melodie di chitarra centellinate, una cupezza di fondo che pervade l'intero disco. il risultato perde di impatto immediato (tolta Numenor, che spicca fin da subito) ma l'idea è quella di un disco destinato a crescere enormemente con il passare degli ascolti, in grado di creare un'atmosfera che si adatta perfettamente alle tematiche tolkieniane. Witch-King of Angmar è un pezzo clamoroso.
Lemmy
Venerdì 24 Marzo 2017, 23.21.15
6
Esatto, il mito di Tolkien ha contagiato un po tutti ,dai Led Zeppellin a risalire fin su su fino ai Blind Guardian, ma per gli Holy Martyr è la prima volta, c'è sempre una prima volta, e mi sta garbando.
ObscureSolstice
Venerdì 24 Marzo 2017, 21.44.03
5
il mito di Tolkien è sempre stato influenzato da praticamente tutti nel genere metal, moltissimi, da sempre. E l'influenza maideniana che hanno i Nostri è dal primo disco che ce l'hanno e si sente. Voto direi più che onesto, il disco l'ho preso il giorno stesso dell'uscita. Sicuramente questo dischetto rimarrà nel mio stereo per un bel pò di tempo. Sempre grandi e battaglieri
Lemmy
Mercoledì 22 Marzo 2017, 18.39.40
4
Ascoltato ora per la prima volta e cominciato il secondo ascolto, disco particolare, non dico spiazzante, ma trovo interessante l'innestare su un pezzo da 90 della letteratura epica fantasy, il mitico Tollkien, suoni con reminescenze e influenze miste maideniane e doomeggianti, anche il timbro di Mereu su questo album mi sembra ben appogiato alla tematica in oggetto, per ora pezzi di livello buono al mio ascolto e a mio avviso sembrano essere Dol guldur, Witch King, Numenor, Eroic Deeds, e Born of Hope.Forse devono ancora limare qualcosina sull'impressione generale e sullo "Spicco" dell'album tutto, nel senso che un lavorio di rifinimento di far allacciare bene sostrato di fondo, stacchi a sorpresa, ambientazione-mood , strumentalità e voce, ma comunque tuttosommato cosi' a primo impattto la prima impressione uditiva anche se non sfolgorante è davvero positiva, mi sembra un buon lavoro.
enrico86
Mercoledì 22 Marzo 2017, 11.53.09
3
Disco particolare se confrontato con i precedenti: Zero power e parecchio doom. Mi aspettavo un mezzo fallimento, ma brani come dol guldur e witch king of angmar sono oro colato.
InvictuSteele
Martedì 21 Marzo 2017, 19.43.45
2
Band ottima, la seguo dall'inizio e questo disco conferma la loro bravura. I due precedenti erano meglio ma anche questo dà una bella lezione di epic.
Doom
Martedì 21 Marzo 2017, 18.40.06
1
Me lo devo assolutamente procurare...i due precedenti mi erano piaciuti molto.
INFORMAZIONI
2017
Dragonheart Records/Audioglobe
Epic
Tracklist
1) Shores of Elenna
2) Numenor
3) Heroic Deeds
4) Dol Guldur
5) Darkness Descends
6) Taur-Nu-Fuin
7) Minas Morgul
8) Witch-King of Angmar
9) The Dwarrowdelf
10) Born of Hope
Line Up
Alex Mereu (Voce)
Ivano Spiga (Chitarra Ritmica e Solista)
Paolo Roberto Simoni (Chitarra Ritmica e Solista)
Nicola Pirroni (Basso)
Stefano Lepidi (Batteria)
 
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