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The Crawling - Anatomy of Loss
20/04/2017
( 1037 letture )
Due parole suggellano il titolo dell'album di debutto dei nord irlandesi The Crawling e fin dal primo impatto pongono l'attenzione sull'antitesi provocata dal loro accostamento; “l'anatomia di una perdita” richiama infatti un atteggiamento oggettivo nei riguardi di un evento irrimediabile ed irrecuperabile. Comunemente questo verrebbe affrontato interfacciandosi anche con una componente trascendentale, rimarcando quell'eterno dualismo della natura umana, in costante oscillazione tra razionale e mistico, ma in questo caso il conflitto si risolve annientando completamente il secondo elemento ed enfatizzando di conseguenza il dolore alimentato dalla stesso stato di consapevolezza di dover varcare continuamente dei punti di non ritorno. A potenziare questo concetto ecco la suggestiva copertina ideata da Travis Smith, che pone un uomo di fronte ad un ipotetico confine tra vita e morte, quest'ultima rappresentata da un precipizio nel quale perfino la luce viene inghiottita, così come una frase della band stessa che afferma Non c'è dolore più grande che ricordare nella tristezza il tempo in cui eravamo felici.

Come avrete capito, il viaggio che ci aspetta addentrandoci nei 45 minuti di Anatomy of Loss sarà tutt'altro che agevole; al di là del concept che muove il disco, infatti, il terzetto di Lisburn attinge a piene mani da un death/doom di stampo prettamente novantiano, erigendo sette tracce nelle quali alle strutture snelle costituite da un'abile rotazione di due/tre riff cardine si contrappone una schiacciante volontà distruttiva, asfissiante ed ossessiva dettata dall'amalgama di questi due generi. Visti i presupposti, diventa altrettanto chiaro che i The Crawling non intendono orientare l'ago della bussola in direzione dell'innovazione ma semplicemente raccogliere il testimone lasciato cadere dalle band che portarono in auge questo discorso musicale circa vent'anni fa e che proprio in questi anni si stanno svegliando da una lunga parentesi temporale di torpore.

Tali propositi vengono messi in chiaro fin dai primi secondi di An Immaculate Deception. Il primo particolare che spicca è l'indubbia abilità nel songwriting dei Nostri che, a quanto pare, hanno fatto tesoro della dottrina impartita dagli anni di gavetta (per alcuni membri questa risale sin dai primi '90) nell'underground nord irlandese, mostrando come caratteristica principe, in linea con quanto accennato poc'anzi, un approccio tanto primitivo quanto incisivo nel risultato. L'amalgama di un arpeggio dalle sfumature angosciose e di un riff death debitore dei seminali Bolt Thrower (influenza che sul frangente death disseminerà il lavoro nella sua interezza) piazzano il primo centro netto, alimentando le aspettative riguardo il seguito del platter. E le prospettive in effetti non vengono affatto deluse; l'intro di Poison Orange (con le sue pulsioni di chitarra in fade-in che esplodono in pura potenza doomiana nell'accorparsi agli altri strumenti) mantiene gli standard promessi, così come la strofa dai toni mesti e il refrain che smorza incrementando il ritmo appoggiandosi puntualmente al lato death. L'approccio cambia in Acid on my Skin, i cui ritmi si fanno sostenuti e costanti ma il cui dinamismo diviene mutevole nell'alternanza della strofa (scandita da una chitarra clean) e la ripresa in distorto, sempre ottimamente sostenuta dal resto della sezione ritmica. All Our Failings si piazza di prepotenza come uno degli highlights di questo album; nella fattispecie il brano in questione risente maggiormente delle influenze death e mostra una maggiore complessità nella struttura, prova ne è il riff in tapping al quale si accorpa intelligentemente il basso di Rainey (scandendo degli accordi di riempimento) così come la parentesi centrale dall'incedere schiacciante. The Right to Crawl riprende il dualismo sfruttato dal terzetto di Lisburn che, con astuzia, aggiunge maggiore aria includendo in maniera appropriata la componente black; questa viene tra l'altro ripresa anche sul finale di Violence Vanity and Neglect, brano che si caratterizza soprattutto per il suo andamento pachidermico e dove si materializzano distintamente alcune influenze debitrici dei primi My Dying Bride, peraltro prontamente dissimulate dall'onnipresente impronta death. Chiudono con decadente avvenenza i nove minuti di Catatonic; in questo caso il titolo risulta abbastanza eloquente nel suggerire l'impronta stilistica adottata, fatta eccezione per i momenti selvaggi nei quali i The Crawling accelerano, fornendo il contesto ideale per Clarke e Rainey per scaricare il loro growl e screaming.

A parte un'unica e marginale lacuna riconducibile alla gestazione dei suoni della batteria (rispetto al complesso le frequenze del rullante si rivelano meno inquadrate), i The Crawling piazzano un lavoro di ottima qualità, considerando ogni livello preso in analisi. Vi è poi un ulteriore valore aggiunto, da tenere nella dovuta considerazione, ovvero il fatto che ci troviamo di fronte ad una realtà esordiente appartenente all'underground che, a discapito della sua relegazione in una dimensione ancora di nicchia, mostra una modalità di approccio alla materia doom/death indiscutibilmente sopra la media. Senza girarci ulteriormente attorno, siamo al cospetto di un lavoro solido e con i proverbiali “attributi”, che può tranquillamente avanzare la propria candidatura tra i migliori dischi del genere in questione per l'anno in corso.

Annegando nell'orrore e tu sarai ingoiato nelle tenebre.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2017
Grindscene Records
Death / Doom
Tracklist
1. An Immaculate Deception
2. Poison Orange
3. Acid on My Skin
4. All Our Failings
5. The Right to Crawl
6. Violence Vanity and Neglect
7. Catatonic
Line Up
Andy Clarke (Voce, Chitarra)
Stuart Rainey (Voce, Basso)
Gary Beattie (Batteria)
 
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