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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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13/05/2017
( 4197 letture )
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Scariche sintetizzate e batteria in quattro quarti aprono i primi secondi del settimo album dei Paradise Lost. Forse uno dei lavori più controversi se scorriamo le pagine della variegata discografia della band di Halifax, che assecondando il proprio amore per la ricerca, riesce a creare un po' apprensioni tra i fan, sia per la variazione stilistica che per il passaggio ad una casa discografica come la EMI. Il gruppo è infatti incapace di ripetersi, volubile nelle decisioni ma allo stesso tempo ancora tanto radicato in quel sentimento di intimo disagio, che tutt'ora protagonizza in tutti e quattordici i suoi album. Che suonino chitarre arrabbiate o plasticosi giri di sintetizzatore, non cambia quindi la sostanza.
Rappresentativi i capelli corti di Nick Holmes, che dalla copertina già ci confermano il proseguimento della via electro gothic già battuta in precedenza. Come i capelli del cantante, anche assoli e harsh vocal subiscono un taglio netto, lasciando spazio a un temperamento più riflessivo e accartocciato su sé stesso. L'intero suono viene alleggerito conformemente a un'atmosfera decisamente più piana, che ammicca al pop. Dimentichiamoci le accelerazioni e le scariche di batteria che solo quattro anni prima sembravano sposarsi così bene in Draconian Times: ora la formula è tanto easy listening quanto difficile da valutare senza lasciarsi influenzare dai suddetti antecedenti, cadendo nella critica scontata.
Host non è l'album della vita, non ti tocca né ti sorprende, o almeno non lo fa nel modo in cui i Paradise Lost ci avevano abituato, rimanendo forse per questo un lavoro generalmente sottovalutato. Ciò nonostante, la matrice rimane quella di un gruppo sapiente e lo spartito lo dimostra. Protagonista di quello che rimane un sound snello ed essenziale, è sempre la voce di Holmes, pulita, agile, che gioca sulle lunghezze e svanisce nei finali. Fa da corollario un ampio uso dei controcanti e della seconda voce femminile (It's Too Late), elemento che richiama proprio il loro ruolo di anticipatori nella prima produzione gothic. A seguire le percussioni, che svolgono linee semplici, e anch'esse ritoccate dall'effettistica che conferisce una certa ovattata sensazione di primordialità (Deep). Tra gli ospiti figurano strumenti ad arco, viole, violini e violoncelli, che non possono che dare maggiore solennità e spessore alle composizioni, senza appesantirle. Talvolta aprono il brano, altre ne accompagnano il ritornello o ritagliano un movimento solo per loro. L'effetto è un suono più autentico e un'atmosfera fine e surreale. Vera primadonna è la grande varietà di campionature elettroniche che suonano durante tutto il tempo e costituiscono l'albero maestro del disco, impossibile da non vedere. Che siano scariche ribollenti o brevi pigolii il gruppo si è senza dubbio sbizzarrito nell'armonizzazione. Il paragone ai sintetizzatori dei Depeche Mode è quasi dovuto. Così composto il disco presenta una natura dark trapiantata su piano new wave. Quel che ne risulta è un'esperienza emozionale aderente non a un qualsiasi stato d'animo. Leggasi: è necessario predisporre cuore e mente per riuscire a farsi trasportare da questo disco che già si trova calato in un intrecciato sonoro decisamente malinconico ma che contrariamente a un Draconian Times, non è di facile presa. Se già sembro contraddirmi rispetto a quanto scritto sopra, e dato l'album è probabile, vi invito ad andare ad ascoltarlo per togliervi qualsiasi dubbio.
Host è il suicidio commerciale della band inglese per quel che riguarda i portafogli e la sensibilità di un gran numero di fan affezionati alla previa dose di doom, rivelandosi piuttosto un prodotto abbordabile dalle playlist radiofoniche. Non a caso l'etichetta è la EMI. L'album d'altra parte non costituisce una svolta definitiva ma la sperimentale digressione di un nuovo sound. Col seguente Believe in Nothing i Paradise Lost già tornano sui propri passi, e la controversa parentesi Host inizia a chiudersi. Ovviamente.
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Questo disco è assolutamente atipico nella discografia dei Paradise Lost. Un puro album di elettronica. Sembra di ascoltare i Depeche Mode. A me personalmente il disco è piaciuto moltissimo ma posso capire chi è rimasto spiazzato perchè qui non c'è traccia di Metal. Voto 88 |
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Riascoltato oggi. Pensavo che non poteva farmi così schifo. Invece confermo il primo parere. Noioso fino alla morte. Pietra sopra. |
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Secondo me è un album molto sofisticato, non è una questione di forma ma di sostanza. Per questo adoro i Paradise Lost |
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Preso usato a 4 euro per completezza. Già mi annoiava One Second, ma questo ragazzi è una palla disumana. POi se a uno piacere il genere per carità... |
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Dico solo una parola....: Vergognoso!! |
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bellissimo album, grandissima capacità artistica dimostrata dai paradise lost |
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buon disco.. mi paice parecchio ascoltarlo. di chiara matrice depeche mode, ma ci stava la svolta come compimento del percorso iniziato da one second. Al di la di tutto quello ke conta è la musica e non le etichette. |
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Premetto che sarebbe utile non mettere i metallica ovunque, detto ciò questo disco non è un buon disco ma di sicuro, per me, raggiunge la sufficienza; visto che sono stati messo i PL il 6 lo prendono cosa che i metallica non fanno e manco si avvicinano da Load compreso fino ad oggi |
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@MH ti rispondo semplicemente, perché Load e Reload sono dischi che fanno pena, non è tanto la svolta a scandalizzare gli ascoltatori, ma perché sono album privi di qualità, con una scaletta lunghissima e 2-3 brani decenti. Il resto è imbarazzante. Se avesse pubblicato due splendidi dischi di hard rock stai sicuro che sarebbero stati rivalutati col tempo. Molte band, all'epoca, hanno sperimentato cambiano sound e oggi quegli stessi album sono considerati splendidi. Tra i capolavori sperimentali, sottovalutati negli anni 90 e oggi rivalutati io ci metto K.F.D. dei W.A.S.P., Sin/Pecado dei Moonspell, 34% Complete dei My Dying Bride, One second dei Paradise Lost, Q2K dei Queensryche, Ultraphobis dei Warrant, Life among the ruins dei Virgin Steele, e tanti tanti altri. Non è la pesantezza che fa la qualità. I Paradise Lost hanno avuto il coraggio di evolversi album dopo album, mantenendo personalità e valore, seppur io non abbia mai apprezzato questo Host, così come i due seguenti. |
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12
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Non penso che questa svolta "elettro_rock" sia stata tanto forzata dalla volontà di voler ottenere più successo, visto che il successivo "Believ in Nothing" con il suo ritorno alle chitarre distorte, era un disco meno messo a fuoco di questo, dove invece di episodi ben fatti ce ne sono a iosa. Secondo me la band credeva veramente di cambiare pelle, e seguire queste sonorità che sentiva sue (se così non fosse stato brani come "So Much Is Lost", "Nothing Sacred", "In All Honesty", "Ordinary Days", "Permanent Solution", ecc..., non gli sarebbero venuti fuori così bene). Ma vista l'accoglienza non proprio trionfale che ricevette, dovettero fare marcia indietro e cambiare piani. Da li si trovarono a comporre un disco più incerto.... poi pian piano ripresero convinzione sul ritorno al metal... Anche se a me questo ritorno al gothic/doom/death delle origini non mi piace... |
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11
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Già, tutti voltarono le spalle al black album, infatti vendette una marea di copie, mentre coi PL furono talmente tutti d'accordo che fu un flop totale. |
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10
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@MH: Perché, gli stessi Metallica, tempo addietro, si dichiaravano contrari a qualsiasi tipo di "apertura allo spettacolo": vedi videoclip da diffondere o costumi che, invece, gruppi come anche gli Iron Maiden si permettevano di indossare. Poi, se questa fu una tattica nessuno lo saprà mai..però, è così che andarono le cose! E, comunque, sia i Paradise Lost che i My Dying Bride che un altro fottio di gruppi, in quel periodo, ebbero una certa inclinazione verso questo tipo di sonorità. Era un modo di esprimersi diversamente, senza per questo snaturarsi..comunque, andò male a quasi tutti e, tornarono verso i loro lidi molto presto! Però, tranquillo che le dichiarazioni che fecero in quel momento, chi c'era se le ricorda abbastanza bene..come quelle degli stessi Lars & Kirk! |
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9
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Xche'i paradise lost non hanno avuto ne l'impatto ne l'importanza sulla scena che hanno avuto i Metallica,semplice. |
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8
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Giuro che non capirò mai perché, se i Metallica fanno uscire un disco come Load (ma mettiamoci pure l'omonimo) si grida allo scandalo, si voltano le spalle e li si taccia di essersi venduti, snaturati e di aver tradito i propri fan (che non gliela perdoneranno mai, visto che dopo 25 e rotti anni siamo ancora nella stessa situazione), mentre se lo fanno gruppi come i PL (o quegli altri cialtroni degli Ulver, incensati come se fossero i nuovi messia salvatori della musica nella recensione dell'ultimo album), scopiazzando bellamente i Depeche Mode che ora come allora vendono e muovono un bel po' di soldini nell'ambiente musicale, allora si parla di "raffinata sensibilità, sacrosanta voglia di sperimentare che ogni vero Artista deve avere nella sua carriera"... |
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7
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Condivido il pensiero di Tevildo75. Anche io ho adorato i PL da Draconian Times fino all'omonimo, prima quindi del ritorno alle sonorità gothic/doom a me ostiche soprattutto per la presenza della voce in growl. Host era un buon disco di elettro rock, molto Depeche Mode (accostamento che la band rifiutò all'epoca). Quello che manca è una continuità qualitativa. Qualche filler in una setlist esageratamente lunga. Comunque il top del disco a mio avviso lo hanno raggiunto con "Nothing Sacred". |
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6
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Il disco non è neanche male ,ma se con One Second infarcirono il loro sound di sonorità gothic e New wave, con questo si annullarono diventando una copia dei Depeche mode. Band che tra l'altro adoro come poche altre. Quindi non è tanto la qualità e mancare ma la Forte personalità che aveva caratterizzato i PO fino a One Second. |
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5
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Per molti bestemmierò, ma Host e One Second, sono i miei album preferiti dei Paradise Lost, forse perchè non ho mai amato il growl di Nick. |
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4
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Schifato all'uscita (soprattutto per le dichiarazioni dei protagonisti..), lo sto ascoltando proprio ora per farmene un'idea. Se cresce, vedremo! P.S.: Ricordo che, stranamente, in Germania ebbero comunque un certo successo con queste sonorità. |
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3
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Sentito una volta e basta, troppo lontano dal sound tipico dei Paradise Lost, anche da One second che era un disco fenomenale. Inseguire il successo di band come Depeche Mode non era nelle loro corde e si sente (che poi i Depeche a me fanno cagare). Disco da 50 perchè sono buono. |
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2
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Questo è il disco del definitivo abbandono (temporaneo) del metal per seguire le orme dei Depeche Mode. Non è male come attestano Harbour, It's Too Late e Host. 75 |
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1
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Band superiore. Li amo. Li ascolto di continuo. Li venero. Però questo album non mi ha mai convinto, così come tutti gli album compresi tra One second e Symbol of life, troppo leggeri, belli magari, ottime melodie e classe a palate, però ho bisogno d sentire almeno un riff di chitarra (cosa che comunque c'era in One Second o in Symbol of life e in Believe in nothing). Non saprei come giudicare The Host, preso come album elettro-pop potrei confermare il voto della rece, preso come album dei Paradise Lost, quindi come parto di una band gothic metal, lo boccio. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. So Much Is Lost 2. Nothing Sacred 3. In All Honesty 4. Harbour 5. Ordinary Days 6. It's Too Late 7. Permanent Solution 8. Behind the Grey 9. Wreck 10. Made the Same 11. Deep 12. Year of Summer 13. Host
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Line Up
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Nick Holmes (Voce) Gregor Mackintosh (Chitarra) Aaron Aedy (Chitarra) Stephen Edmonson (Basso) Lee Morris (Batteria)
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