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29/03/24
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Ricochet - Zarah - A Teartown Story
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20/05/2017
( 893 letture )
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Amate i concept album un po' criptici e oscuri, sulla falsariga di Subterranea degli IQ e Metropolis pt. II dei Dream Theater? Allora questo disco fa per voi! In caso contrario fermatevi a leggere comunque, magari potrebbe essere la volta buona per appassionarvi a questo genere! Prima di cominciare però, un po' di storia: il concept album in questione è il secondo lavoro in studio dei Ricochet, band tedesca attiva dall'inizio degli anni '90 fino a metà degli anni 2000 e dedita ad un progressive metal venato di neo-prog di scuola inglese (Marillion, IQ), caratteristica evidente in particolar modo nel loro debutto Among the Elements. Questo secondo lavoro, Zarah – A Teartown Story, pubblicato nel 2002, narra la vicenda di una ragazza –Zarah, per l'appunto- che, reduce da una storia di abusi e violenze durante l'infanzia, finisce per uccidere il padre e infine si suicida in prigione.
La storia comincia con la narrazione dal punto di vista della ragazza: già dal primo brano Teartown (senza contare la breve introduzione Entering the Scene), nome della città dov'è ambientato il concept, possiamo notare la cupezza dei toni adottati dal combo tedesco. Si tratta infatti di un pezzo duro ed intricato, che passa dalle atmosfere soffuse delle strofe per poi indurirsi nel più intenso prog metal del ritornello. Subito a seguire troviamo la strumentale Disobedience, brano dall'incedere inizialmente cadenzato, ma che poi prende velocità, in cui i nostri fanno sfoggio delle notevoli capacità tecniche tra tempi dispari e stop and go. Gli intrecci delle chitarre di Heiko Holler e delle tastiere di Bjorn Tinemann rimandano in parte ai Symphony X dell'epoca di Divine Wings of Tragedy e in parte agli IQ più metallici. Tutto sommato un brano godibile, che tiene alta l'attenzione, che spezza leggermente il flusso complessivo del disco. La power ballad Silent Retriever ci riporta invece su coordinate più familiari: un brano dalle strofe cupe che si dipana in un ritornello di grande respiro, capace di riportare alla mente un brano celebre come Silent Lucidity dei Queensryche e non solo grazie al titolo. Il frontman Christian Heise mette alla prova il suo registro vocale più basso ed espressivo, dando vita ad un'atmosfera intima, supportato anche dal pianoforte in sottofondo. L'atmosfera soffusa, che ad onor del vero permea tutto il disco, fa da ponte al pezzo successivo, Cincinnati Road, piccola suite di 10 minuti posta a metà dell'album, come da buona scuola progressive. Il brano viene introdotto dalla voce per poi evolversi in continui cambi di tempo a la Dream Theater. Il brano gode inoltre di un ritornello incredibilmente orecchiabile, che lo rende uno degli highlight del disco. A questo punto del concept ci troviamo nel pieno della crisi: viene infatti narrato l'episodio relativo all'omicidio commesso dalla ragazza. Ciò nonostante, nel testo si affacciano sentimenti di speranza nonché di possibile redenzione. Tali sentimenti di speranza vengono ripresi nella pesante e riflessiva Caught in the Spotlight, momento di riflessione dopo la tragedia, in cui la ragazza si domanda se sia giusto che per lei debba essere così crudele trovarsi al centro dell'attenzione. Un brano dove la chitarra fa da padrona, tra armonici artificiali e riff sincopati, condito da un assolo di tutto rispetto: un altro highlight. I sentimenti di redenzione permeano invece la successiva Final Curtain, che esprime i sentimenti relativi al suicidio di Zarah. Si tratta di una ballad molto melodica, forse leggermente monotona all'inizio ma il cui crescendo finale risolleva ampiamente le aspettative. La struttura di The Red Line, brano fortemente incentrato sui sentimenti della ragazza, non si discosta particolarmente dal resto del platter, partendo inizialmente lenta e sfociando poi in un neoprog metal oscuro e teatrale che fa venire in mente la già citata scuola di Marillion e IQ. Da spendere due parole sul tema del brano e sul titolo che riprendono la famosa citazione di Kipling ”Tra la lucidità e la follia c'è solo una sottile linea rossa", chiaro riferimento agli atti compiuti dalla protagonista e al tema generale dell'album, sempre in bilico tra consapevolezza e pazzia.
Come da copione, ogni album prog che si rispetti deve (o dovrebbe) avere la sua suite. I Ricochet non fanno eccezione e in chiusura propongono i 13 minuti di A New Day's Rising (nonostante il lettore ne indichi 18, il brano finisce sfumato sui 13 minuti, per poi riprendere intorno a 15.30 con un outro orchestrale). La traccia si apre con una voce femminile che richiama fortemente The Great Gig In The Sky dei Pink Floyd. Successivamente subentra il buon Heise, riprendendo il ritornello della già citata Cincinnati Road, questa volta però con un taglio retrospettivo, come a riflettere su tutto ciò che è successo in precedenza, per cercare di sciogliere il bandolo della matassa. Tra archi, voci femminili e assoli melodici e coinvolgenti, una degna conclusione per un ottimo album, con frequenti picchi di qualità e senza filler di sorta. Platter indubbiamente consigliato agli amanti del neo prog ma anche a quelli del prog metal più classico. Statene alla larga se al contrario cercate innovazione.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Entering the Scene 2. Teartown 3. Disobedience 4. Silent Retriever 5. Cincinnati Road 6. Caught in the Spotlight 7. Final Curtain 8. The Red Line 9. A New Day's Rising
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Line Up
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Christian Heise (Voce) Heiko Holler (Chitarra) Björn Tiemann (Tastiera) Hans Strenge (Basso) Jan Keimer (Batteria)
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RECENSIONI |
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