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Tiamat - Skeleton Skeletron
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08/07/2017
( 2959 letture )
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Quando, nel 1999, gli svedesi Tiamat pubblicarono il loro sesto studio album, Skeleton Skeletron, erano a tutti gli effetti una band all’apice del proprio successo. Dopotutto, avendo dalla loro parte veri e propri capolavori del gothic/doom come A Deeper Kind of Slumber (1997) e Wildhoney (1994), senza dimenticare l’ottimo Clouds (1992), non poteva essere altrimenti. Proprio gli ultimi due lavori avevano messo in rilievo in maniera significativa una sempre più marcata evoluzione del loro sound, dall’iniziale death a tinte black di Sumerian Cry (1990), al death/doom di The Astral Sleep (1991), fino alla definitiva estromissione delle sonorità più estreme e l’approdo al calderone di un più leggero gothic rock. In mezzo a tutto questo c’è stata tanta sperimentazione, percorsi stilistici appena accennati, tentativi più o meno riusciti di rinnovare e mutare il proprio sound. I Tiamat del decennio degli anni Novanta sono una band in costante movimento, un flusso continuo di idee che hanno trovato una certa stabilità proprio sul finire del decennio, quando un album come Skeleton Skeletron rallentò in parte la loro sfrenata corsa al cambiamento, facendoli planare sulla soffice e delicata pista del gothic rock più intimista, in tutta sicurezza, consolidando uno status musicale che però non avrebbe fatto felice quasi nessuno.
Skeleton Skeletron è a tutti gli effetti la pietra della discordia, la prima delle tante pecore nere che avrebbero intaccato per sempre una discografia di tutto rispetto. Non per niente si sente facilmente definire i Tiamat “morti” dopo A Deeper Kind of Slumber, individuando proprio in Skeleton Skeletron l’album capace di spegnere definitivamente ogni entusiasmo nei confronti di questa band. La domanda che allora dobbiamo porci è questa: è giusto, anche col senno di poi, affossare così pesantemente quest’album? La risposta, come spesso accade, sta nel mezzo. Sì e no. Da una parte sì, perché la pochezza che emerge dall’ascolto di questo lavoro, anche a distanza di anni, è disarmante. Soprattutto con la consapevolezza delle potenzialità di questa band, capace solo due anni prima di sfornare quello che da tutti è considerato il loro album migliore e più ispirato. Dall’altra no, perché preso per quello che è il disco in questione mostra alcune carte vincenti; poche, ma le mostra. Come il fatto che non vi sono canzoni assolutamente dimenticabili, ma al massimo appena sopra la soglia della sufficienza; brani ancora qualitativamente accettabili, che si lasciano ascoltare senza troppe complicazioni. Certo, detto così sembra nient’altro che un “contentino”, ma in effetti non è. Non un granché per una band di questa caratura, ma purtroppo i Tiamat post A Deeper Kind of Slumber sono questi, prendere o lasciare.
Venendo alla musica, le dieci tracce che compongono questo Skeleton Skeletron parrebbero apparire, fin da un primo ascolto, tra loro molto omogenee e con poche differenze sostanziali. Ma via via che gli ascolti aumentano si potranno scoprire alcune, seppur minime, sfaccettature in grado di farci apprezzare alcuni brani più di altri. L’indirizzo stilistico è quello tipico del doom/gothic, ritmi molto lenti e atmosfere plumbee, quasi funeree il più delle volte. L’opener Church of Tiamat rispecchia in pieno queste caratteristiche: la batteria di Lars Sköld si staglia appena accennata sullo sfondo del brano lasciando che la voce di Johan Edlund possa farsi avanti come principale protagonista. Brighter Than the Sun aumenta leggermente i giri, col suo andamento scanzonato e rockeggiante; i cori delle voci ospiti danno quel tocco in più che gli altri brani non hanno e rendono così questo uno degli episodi del disco maggiormente interessanti. La successiva Dust Is Our Fare si pone esattamente a metà tra i due brani sopracitati, prendendo alcuni tratti dalla prima (le atmosfere dark gothic) e alcuni altri dalla seconda (un ritmo più marcato), ma nel complesso lascia un po’ di amaro in bocca. Va meglio con To Have and Have Not, anche grazie a linee vocali ed elementi melodici più trascinanti e coinvolgenti. Apprezzabile anche la seguente For Her Pleasure, dotata di un buon comparto riff e ancora di trame vocali meritevoli di menzione. La brevissima strumentale Diyala prelude alla cover dei Rolling Stones, Sympathy for the Devil, scelta singolare ma non del tutto condannabile, dato che i Tiamat riescono a farla loro senza troppi problemi e a renderla perlomeno compatibile con le altre tracce dell’album. La delicatezza di Best Friend Money Can Buy ci accompagna piano piano verso la conclusione dell’album, dove troviamo ancora due pezzi non proprio da buttar via: As Long As You Are Mine, gothic rock che punta tutto sui ritmi più “movimentati” del ritornello oltre che sul supporto delle tastiere sullo sfondo, e Lucy, canzone più soffusa, trasognante e orientata all’elettronica; non certo tra gli estratti migliori, ma qualcosa di buono i Tiamat lo riescono a mostrare anche qua.
Tanto è stato detto su Skeleton Skeletron, un album che i fan del combo svedese non ricordano propriamente con affetto, ma che se ascoltato senza troppe pretese potrebbe addirittura essere apprezzato, almeno in alcune sue parti. Naturalmente ogni cosa va contestualizzata ed è per questo che un disco di questo tipo col monicker Tiamat in copertina non è ciò che gli appassionati si sarebbero aspettati di avere tra le mani. A distanza di anni le sensazioni non sono cambiate molto, questo lavoro resta confinato ai margini di una discografia che vede al vertice proprio gli album che lo hanno preceduto. E quanto seguirà, dall’inizio degli anni Duemila in poi, purtroppo non migliorerà affatto la situazione e la reputazione di questa band, anzi li vedrà capitombolare verso un baratro ogni volta più profondo.
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Diverso, un album diverso. Non lo si può paragonare ai suoi fulgidi due predecessori. Sebbene il calore e la luce di quei due album si fanno sentire tantissimo, esasperando i termini della distanza, penso tuttavia che...skeleton non debba essere gettato nel cesso, stigmatizzato come una ruffianata e dimenticato per sempre. I Tiamat, meglio, Edlund, non erano più quelli del 1992/1997. Mentalmente e "animisticamete" si stavano trasformando. Un album da 78, per me. |
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Questo album non mi dispiace affatto. Ovvio, riconosco che non puo' essere considerato un capolavoro, pero' l'atmosfera quasi eterea-surreale-depressiva- decadente che emana l'ascolto di Skeleton Skeletron ha il suo fascino, il suo appeal. Naturalmente occorre essere in una fase della vita personale tale da riuscire ad apprezzare tutto cio'. |
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"Wild Honey" l'ho consumato ai tempi. E dopo oltre 20 anni, rimane a parere mio tra i più bei dischi di quegli anni. Detto questo, a me già "A Deeper..." piacque molto meno, nonostante tutte le fanzines dell'epoca sbavavano su quel disco. Quando arrivò questo, che presi praticamente appena uscito, ci misi sopra la pietra tombale. Peccato.. Per quanto mi riguarda, un intensissimo, bellissimo fuoco di paglia i Tiamat. |
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Wildhoney è, oggettivamente, un capolavoro. ADKOS un bel disco. Solitamente questo mi fa dubitare sulle "basi" del recensore. |
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Con questo album erano già in fase calante voto 70, WILDHONEY è il capolavoro immortale è da 99. |
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20
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Questo album non lo conosco, però non concordo nel considerare A deep un capolavoro, è un ottimo album ma non un capolavoro. Comunque l'apice della band resta Clouds. Punto. |
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19
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Ottima recensione, concordo, dopo due capolavori purtroppo hanno deciso di fare i Sister Of Mercy dei poveri e si sono prodigati a fare queste canzonette moscie, sfociate poi nella piaga d'egitto a nome Lucyfire...l'inizio della fine, qui siamo ancora a livelli accettabili, ma dare 80 a questo album mi pare un tantino esagerato |
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X Sha. Non potevi citare band più appropriata. Concordo in pieno. Solo che a differenza di un Host dei Paradise lost dove giocavano a fare i DM, qui c'e molta più personalità e il songwriting è più spontaneo e ispirato. |
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Sinceramente ricordo solo Brighter than the sun, dove hanno giocato a fare i sisters of mercy. Cosa che, comunque, hanno fatto benissimo! |
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Quoto Red Rainbown. Il baratro coi Tiamat non ci azzecca proprio. |
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Dal mio punto di vista.......questo SS è un disco molto ispirato che abbraccia il movimento gothic rock e che apre la lista al disco dei Lucyfire, altro capolavoro di JE. Lo presenterei tranquillamente come uno dei migliori dischi in questo campo. In SS non c'e un filler che sia uno, le composizioni sono esaltanti, i chorus grandiosi e gli arrangiamenti magistrali. Non so come si possa preferire un JC, disco dalla discutibile produzione che non sa che pesci pigliare e prende spunto e casaccio da tutta la loro discografia, precisamente da Wildhoney in avanti. Da qui in poi che pensare dei Tiamat? Niente il meglio lo hanno già dato. L'ultimo disco che sfiora la perfezione è questo SS. E al massimo consiglio di ascoltare Prey. Il resto è solo piacevole. |
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@Flight 666: Ci mancherebbe..anzi, Grazie a te per la risposta esauriente ma "non obbligatoria"! Te l'ho chiesto perché, è sempre utile sapere se il disco viene effettivamente raffrontato al resto della discografia. Oppure se subentrano "solo" ricordi vari oppure sensazioni/emozioni particolari di affezione o odio verso il suddetto. Quindi, ok! Utile comunque sapere che, anche tu (come me..) non hai proprio proseguito.. ahahah |
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Parafrasando antichi aforismi calcistici, "sono pienamente d'accordo a metà con Flight" , nel senso che anche per me questo è un lavoro da confinare ai margini della discografia dei Tiamat (con la sola, ragguardevole eccezione di To Have and Have Not - provare il Live in Krakow per credere), però non vedo il baratro, nei lavori successivi, anzi, Judas Christ e Prey sono tra le loro eccellenze, sul mio personalissimo cartellino. Qui comunque anche per me risicata sufficienza... |
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@nonchalance: grazie della domanda, finalmente un tentativo di discussione normale Secondo il mio personalissimo parere, i Tiamat hanno fatto grandi cose soltanto nei primi cinque dischi. Wildhoney e A Deeper Kind of Slumber li reputo il loro apice compositivo e creativo, ma sarebbe un torto ritenere i primi tre tanto inferiori, a loro modo li metterei sullo stesso piano, semplicemente sapendo che sono stati scritti con intenzioni e suggestioni differenti rispetto a quanto fatto successivamente. Dopo il quinto album, ovvero a partire da questo Skeleton Skeletron, c'è stato un calo vertiginoso e solo a sprazzi hanno saputo ancora tirare fuori qualcosa di interessante. Judas Christ lo ritengo di poco migliore, Prey, Amanethes e The Scarred People non li ricordo benissimo perché ho approfondito soprattutto la prima parte della loro carriera ma posso dirti che non mi sono mai sembrati un granché. Il mio fatidico 66 comunque non vuole essere una bocciatura (altrimenti avrei optato per voti ovviamente inferiori al 60), ma ritengo necessario far notare il distacco tra questo e anche solo il successivo Judas Christ. Come detto, è solo il mio parere, è normale che ognuno abbia pensieri diversi su questo album come sugli altri. |
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@Flight 666: A 'sto punto cosa pensi dei successivi..? Io li ricordo peggiori di questo..però, sinceramente non li acquistai! |
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@noncha, non ricordo il motivo se devo essere sincero. Pero' avendoli visti almeno due o tre volte live in quel periodo li, ricordo che facevano usi "pesanti"..ma sicuramente sbaglio e il motivo sarà un altro. Concordo sulla confezione molto efficace soprattutto nei colori! |
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@gianmarco: non è stata inserita perché non è presente nel CD. Probabilmente tu hai una ristampa o una diversa edizione dell'album in cui è stata aggiunta (sinceramente al momento non so dirti dove sia presente questa canzone). Con la recensione rispolveriamo sempre un disco nella sua versione originale e questa a quanto so conteneva le dieci tracce che trovi scritte nella tracklist. Eventuali canzoni aggiuntive le segnaliamo eventualmente nel testo ma solo se necessario. |
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8
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Disco minore dei precedenti ma lo stesso immenso. Voto 80. Dissento su ogni frase contenuta in questa recensione. |
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Anche per me è stato l'ultimo che ho comprato, ma ne conservo un buon ricordo. I due che lo precedono sono capolavori, ma questo si lascia apprezzare. Però è una vita che non lo ascolto. 75 |
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@Doom: Io l'ho scoperto tramite Metal-Archives. Vai sul Search e seleziona "Song title".. _ Era apparsa sul singolo "Brighter Than The Sun" e sull'edizione giapponese dell'album. P.S.: Anch'io ho quel digipack..scarno ma, molto affascinante! P.P.S.: Ti ricordi perché Thomas Petersson (ora Thomas Wyreson) se ne andò - per poi rientrare - in quel periodo..? |
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5
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In effetti sono andato anche io a controllare sulla mia copia dell'album (il digipack della prima stampa) e non c'è...Pero' effettivamente associato a loro non mi e' nuovo..Boh. |
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@gianmarco: Forse perché è una b-side..?! O.o |
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non capisco come mai un giioiello di canzpone come children of the underworld non sia stata inserita nella tracklist dell'album. |
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A me, all'uscita non dispiacque affatto..anzi! Certo, non è come i precedenti (ricordo ci furono degli stravolgimenti di line-up non indifferenti..) però, tutto sommato riescono bene nell'essere gli eredi "naturali" dei Sisters of Mercy più commerciali. Poi, se non sbaglio, in quel periodo Johan stava cercando di smettere facendo un percorso mooolto particolare.. Sicuramente, tutto questo avrà inciso sulle sorti della band. P.S.: Lo sto riascoltando ora e tiene botta come allora: gradevole. |
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1
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Mah...Chiaramente non all'altezza di nessuno dei precedenti nemmeno di Deeper pero' sinceramente non sono d'accordo col voto e recensione che mi sembrano un po' severi..Per me gia un 7-7,5al max poteva starci ci trovo diversi buoni pezzi. Comunque l'ultimo album che ho comprato dei Tiamat. Poi stop. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Church of Tiamat 2. Brighter Than the Sun 3. Dust Is Our Fare 4. To Have and Have Not 5. For Her Pleasure 6. Diyala 7. Sympathy for the Devil 8. Best Friend Money Can Buy 9. As Long As You Are Mine 10. Lucy
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Line Up
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Johan Edlund (Voce, Chitarra, Tastiera) Anders Iwers (Basso) Lars Sköld (Batteria)
Musicisti Ospiti: Nicole Bolley (Cori) Andrea Schwartz (Cori) Jessica Andree (Cori) Stefan Gerbe (Piano)
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RECENSIONI |
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