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Broken Teeth - 4 on the Floor
10/07/2017
( 788 letture )
Meri cloni degli AC/DC o c’è davvero altro su questi solchi? Beh diciamo che la band in questione non fa molto per distaccarsi dal marchio di fabbrica celeberrimo degli aussie, sia per trame, atmosfere, vocalità e punch strumentali, anche l’etichetta, in un certo senso, li presenta come una sorta di prosieguo dei signori della corrente alternata/diretta. I Broken Teeth nascono tanti anni fa, nel 1999, quando Paul Lidel (Dirty Looks, Dangerous Toys), il drummer Bruce Rivers e il frontman Jason McMaster (Dangerous Toys, Watchtower, Ignitor, Evil United) uniscono le forze, poi giungono in formazione il chitarrista Jared Tuten dei Pariah e il bassista Mike Watson (Dangerous Toys), da lì parte l’avventura del quintetto che darà alle stampe una mezza dozzina di dischi, suonando negli Usa un po’ ovunque, compresi grandi festival e manifestazioni di grido. Oggi, dopo aver cambiato il bassista, sposano gli intenti con la label del bassista dei Megadeth David Ellefson, e ci presentano questo nuovo vagito hard.

Tutto richiama Angus Young e soci e sin dall’opener e title–track Four On The Floor, se non si sta particolarmente attenti, si potrebbero scambiare questi yankee con i canguri più famosi del mondo del rock duro, ogni scansione, ogni minimo power chord, nonché arrangiamenti, cori, situazioni sono a marchio AC/DC. Il pregio è certamente quello di suonare una miscela genuina, che entra direttamente nel cervelletto regalando vitalità, però la formula è puramente clonata, mi pare doveroso aggiungerlo e sottolinearlo, e la seconda Sinful lo evidenzia ancora più clamorosamente: ci potrete trovare dentro almeno un paio di pezzi celeberrimi, mixati ad arte da Jason McMaster e soci. Il singer canta che è un piacere, come un Brian Johnson dei bei tempi andati; però che senso ha portare avanti una carriera all’ombra di una mitologia, spacciando per proprie composizioni brandelli presi a prestito o rubacchiati dalla penna compositiva di altri, per di più divenuti leggende? Nessuna logica in effetti. Ogni brano ha una sua valenza energetica, tutto è molto ben suonato, confezionato e somministrato, ma ripeto, che senso ha? E' comprensibile l’ispirazione, non il fotocopiare una ricetta e proporla come farina del proprio sacco, mah. E sinceramente ci stupiamo di come un grande musicista come Ellefson, abbia potuto fare una scelta di questa tipologia per la sua etichetta. Verso la fine del CD, la band parzialmente si riabilita, tentando di scrollarsi di dosso il virus infettivo australe, confezionando un paio di track diverse dallo stile scimmiottato e ricalcato, velocità sparata al fulmicotone per Never Dead, poi piomba la cattiveria di Let The War Machine Roll che muta orizzonti, solo per un attimo. Ma si ricade subito nel solco con la penultima All Day Sucker, mentre chiude il tutto una buona versione di Rock Bottom degli eterni mascherati Kiss.

La domanda ovviamente sorge spontanea, perché dedicare una propria vita professionale scopiazzando? Non era meglio dedicarsi ad una cover band? Questione di scelte, a volte sbagliate. La sufficienza questo disco la merita solo per l’esperienza e la perizia dei musicisti, non dico essere originali a tutti i costi, però c’è un limite a tutto: vado a rimettere sul piatto il vinile di Back In Black.



VOTO RECENSORE
60
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2017
EMP Label Group
Hard Rock
Tracklist
1. Four On The Floor
2. Sinful
3. All Or Nothin'
4. Getcha' Some
5. Borrowed Time (W.O.M.G.)
6. House Of Damnation
7. Let The War Machine Roll
8. Never Dead
9. All Day Sucker
10. Rock Bottom
Line Up
Jason McMaster (Voce)
Jared Tuten (Chitarre)
David Beeson (Chitarre)
Robb Lampman (Basso)
Bruce Rivers (Batteria)
 
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