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KARMA
CENTRALE ROCK PUB, VIA CASCINA CALIFORNIA - ERBA (CO)

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PUNKREAS
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ALAIN JOHANNES + THE DEVILS + ANANDA MIDA feat. CONNY OCHS
RAINDOGS HOUSE, P.ZZA REBAGLIATI 1 - SAVONA

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TRAUMA hc
HEADBANGERS PUB, VIA TITO LIVIO 33A - MILANO

Lodo - Lodo
21/08/2017
( 681 letture )
Esiste una via latina/mediterranea al doom e al post metal? È possibile che in terre costantemente arroventate da anticicloni delle Azzorre e rimonte altopressorie di matrice subsahariana riescano ad attecchire i semi di generi per definizione votati all’uggiosa oscurità? Non più tardi di una decina d’anni fa, il solo immaginare di sollevare la questione avrebbe provocato l’immediata espulsione del temerario latore del dubbio dal consesso dei metal elucubratori. Non che mancassero, ovviamente, alcuni eroici cultori della materia, ma difficilmente si sarebbe potuto ipotizzare un avvenire di successo per sensibilità che sembravano geneticamente incompatibili con tradizioni musicali inveterate e ben diversamente orientate.
E invece, contro ogni logica pronta a banalizzare e ad inchiodare il gusto a una sorta di “determinismo geografico”, il quadro che si presenta oggi racconta una realtà assolutamente diversa e imprevedibile, che vede soprattutto Italia e Francia all’avanguardia sul fronte doom/post, con annesso vanto di nomi che poco o nulla hanno ormai da invidiare al gotha internazionale dei generi. A dir la verità, le briglie che reggono la poetica e le coordinate stilistiche del movimento sono rimaste saldamente nelle mani nordamericane e scandinave che hanno storicamente condotto il carro verso la nuova frontiera, ma, tra i nuovi pionieri, i nati al di sotto del sessantesimo parallelo hanno imparato benissimo a dissodare le nuove lande sfruttando gli strumenti forgiati in quelle auguste capitali. Detto di una scuola greca non meno feconda (anche se, Fields of Locust a parte, decisamente più orientata alle contaminazioni core) e di una colonia portoghese in continuo infoltimento (il recente The Orphic dei Wells Valley è solo uno dei possibili esempi), a completare l’appello mediterraneo mancherebbe un consistente contributo spagnolo e tocca a un quartetto dell’area di Alicante provare a colmare la lacuna.

Stiamo parlando dei Lodo, già fugacemente apparsi sulla scena tre anni fa in uno split coi concittadini Hela, in cui avevano dato prova di una discreta vena creativa, sia pur a (più che) debita distanza dallo sfoggio di classe cristallina squadernato anche in quell’episodio da Isabel Sierras e soci dopo l’esordio col botto di Broken Cross. Il raggio d’azione dei Nostri era all’epoca orientato verso un doom magari di non direttissima filiazione sabbathiana ma pur sempre con un occhio di riguardo per la classicità, con innesti psych e stoner ad arricchire trame caratterizzate da una buona maestosità complessiva. A dispetto della scelta del moniker (il termine lodo in spagnolo significa “fango”) e di una discretamente frettolosa catalogazione della critica, già in quell’episodio gli ingredienti sludge apparivano confinati decisamente sullo sfondo, limitandosi di fatto a fugaci apparizioni non tali da spostare un baricentro artistico come detto ben più spostato sul versante della lentezza solenne o tutt’al più appena increspata da venature onirico/lisergiche.

Per il debutto sulle lunghe distanze, affidato a questo platter omonimo, i Lodo confermano sostanzialmente l’approccio dello split, sviluppando però ulteriormente le spinte psichedeliche al punto da far varcare al viaggio le soglie del post metal, grazie anche a una componente ambient in progressiva affermazione che intacca inesorabilmente le basi doom da cui pure la band non si allontana mai del tutto. Il primo problema che si incontra sulla strada della “sintonizzazione” con questi spagnoli è la totale rinuncia alla componente vocale (nello split il ricorso a un narrato da voce fuori campo, in Cristo Colmado, aveva in parte attutito le conseguenze della scelta), che riapre l’antico dibattito sulla possibile superiorità della strumentalità pura in ambito post. Sul tema, senza voler prendere posizioni graniticamente immutabili o dispensare pillole di non richiesta saggezza, ci sentiamo di osservare in linea generale che più le ascendenze sludge sono significative e più c’è quasi fisiologicamente bisogno di un cantato che funga da fulcro e contemporaneamente alimenti la platea delle inquietudini e degli incubi chiamati a raccolta, mentre, al contrario, se l’approdo al post metal passa per suggestioni più atmosferiche, si può anche prescindere dal contributo dell’ugola, a patto ovviamente di poter contare su un piano di volo in grado di inchiodare all’ascolto.
Purtroppo per i Lodo, da questo punto di vista, le pietre di paragone sono davvero implacabili e, inesorabilmente, i nomi dei Red Sparowes e dei Pelican sopraggiungono con tutto il loro peso qualitativo, a segnare l’impossibilità di un confronto sia con i vertici raggiunti dalle schegge Neurosis/Isis in libera uscita dalle case madri sia con il tasso di visionarietà sprigionato agli esordi del progetto de Brauw/Schroeder-Lebec. Non che al quartetto manchi la capacità di riprodurre gli assi portanti del genere, tutt’altro, il problema è che troppo spesso, all’interno delle tracce, la tensione cala progressivamente e si arriva in fondo un po’ a fatica, in vana attesa di un colpo d’ala che travolga emozionalmente (ogni riferimento a una Buildings Began to Stretch Wide Across the Sky, and the Air Filled with a Reddish Glow non è ovviamente casuale…).

Peccato, perché l’avvio è di quelli promettenti, grazie a un’opener come La Muela de la Cruz che, nelle cadenze e nei tocchi cardine, scomoda nientemeno che un monumento del calibro di Hells Bells, offrendone un’interessante lettura “a spigoli rock smussati” e mostrando tutte le potenzialità di una patina stoner a contatto con un impianto post. Non tradisce nemmeno l’avvio di Carretra y Mantra (deliziosi, i refoli space che si insinuano tra le pieghe doom), ma improvvisamente il brano si adagia su un crinale più muscolarmente scolastico che attraversa troppe volte il confine del manierismo, lasciando un retrogusto di occasione parzialmente sprecata. Che i ragazzi di Alicante non siano del tutto a proprio agio appena i giri motore incrementino la propria portata è confermato dalla successiva Muerto Sentado, che ha se non altro il merito di recuperare nel finale doom ciò che non è riuscita a seminare nella partenza stoner, pur non sfruttando del tutto il meccanismo di stop and go messo in campo al momento giusto, sulla scala della tensione. Molte nubi si addensano invece sull’intero percorso di Tabano, sorta di innocua litania che immaginiamo anonimamente alla portata di legioni di band alle prese col riscaldamento nelle sessioni di prove.
Per salire di tono, pur senza arrivare agli applausi a scena aperta, conviene puntare sulla decisamente più riuscita Fumetal, dove finalmente la macchina dell’inquietudine si mette in moto e regala squarci intriganti grazie a un elegante gioco dialettico tra sei corde e sezione ritmica che, in chiusura, dispensa per una volta più di qualche riflesso sludge. Enigmatico e discretamente spiazzante, l’epilogo è affidato alle volute quasi alcestiane di Santa Agueda, su cui si innestano pulsioni vagamente tribalistiche e addirittura qualche venatura prog, per un esito che ci sentiamo di annoverare tra i momenti migliori dell’album e che, di fatto, ne salva la riuscita complessiva.

Buone intenzioni che annegano però troppo spesso nel mare sempre più magno del già sentito, capace solo a tratti di trascinare e provocare quella rottura spazio-temporale che è termometro fatale della piena riuscita di un album che coltivi concrete velleità post metal strumentali, Lodo è un album che lascia un segno molto tenue in un genere dove pure a pesare non è il sovraffollamento ma piuttosto l’obbligo di sfoderare una solidissima ispirazione. Non da bocciare ma nemmeno da promuovere a pieni voti, aspettiamo i Lodo al varco delle prossime prove, non necessariamente carriere gloriose si aprono coi fuochi d’artificio…



VOTO RECENSORE
62
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2017
Third I Rex
Post Metal
Tracklist
1. La Muela de la Cruz
2. Carretra y Mantra
3. Muerto Sentado
4. Tabano
5. Fumetal
6. Santa Agueda
Line Up
Latigo (Chitarra)
Raul (Chitarra)
David (Basso)
Rojo (Batteria)
 
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