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Forgotten Tomb - We Owe You Nothing
06/11/2017
( 3042 letture )
Io sono nato per essere un musicista Rock, è quello che sono e che continuerò ad essere fino all'ultimo dei miei giorni!

Così proclamava fieramente, in un’intervista di una decina d’anni fa, Ferdinando Marchisio “Herr Morbid”, riassumendo in poche parole il vero tratto portante di una personalità che non ha mai smesso di far discutere e scatenare dibattiti dai contenuti molto spesso in pericoloso bilico tra la sterilità e il perben/benpensantismo di facciata. Alzi la mano, infatti, chi al solo sentir pronunciare il nome dei Forgotten Tomb non senta scattare quasi meccanicamente il collegamento ai due grandi dilemmi che accompagnano la carriera di Herr Morbid e dei suoi compagni di viaggio, il primo di stretta osservanza ontologica (“è accettabile una poetica che celebri nichilismo e autodistruzione?”), l’altro legato alle scelte artistiche della band (“di quanto si sono allontanati dalle radici depressive black?”). Se a questo aggiungiamo un’inveterata italica propensione a invocare a parole supporto per i campioni della scena locale per poi sottoporli a regolare massacro non appena abbandonino la dimensione di nicchia e/o sperimentino percorsi anche solo relativamente nuovi, ecco spiegati contorni e oggetti del contendere di buona parte dei flame che accompagnano ogni nuova uscita dei Nostri, dimenticando che il perimetro del giudizio non dovrebbe allontanarsi troppo dai contenuti ricordati in premessa dal mastermind piacentino.
Certo, all’immagine complessiva della band non ha mai giovato una, diciamo, marcata autoconsapevolezza che a più di un orecchio è suonata sconfinare nell’arroganza, ma se si comincia a percepire la scena black come “un innocuo gioco da doposcuola” (sono sempre parole di Herr Morbid) è forse più che comprensibile anche un desiderio magari un po’ ruvidamente espresso ma pur sempre sincero di marcare le distanze da un mondo di cui all’improvviso non si riconoscono più le coordinate. Vista in questa prospettiva, allora, si comprende meglio la presunta svolta che ha fatto seguito a quel monumento black che è stato Love’s Burial Ground e che si è apparentemente concretizzata con il prorompere degli elementi doom e gothic di Negative Megalomania, a creare un amalgama dove in realtà i punti di forza del passato non erano affatto rinnegati bensì rielaborati in nuove e arricchite prospettive. Il lavoro di ricerca e coraggioso rinnovamento nel solco della tradizione si è sempre confermato nelle uscite dell’ultimo decennio, pur con esiti qualitativi su cui il dibattito è legittimamente aperto (si veda alla voce Under Saturn Retrograde e ...and Don't Deliver Us from Evil), fino ai malsani sprofondamenti sludge di Hurt Yourself and the Ones You Love in cui i Nostri ci avevano immerso, due anni fa.

Il ritorno alle scene è affidato ora a questo We Owe You Nothing, nona prova in studio della band a conferma di una più che consistente prolificità sul versante dell’ispirazione, anche se stavolta il minutaggio complessivo si spinge appena oltre i quaranta minuti. La genesi dell’album è in realtà abbastanza complessa e articolata, con l’inizio delle registrazioni datato dicembre 2016 e successivamente interrotto causa un incidente stradale occorso a Herr Morbid, che gli ha impedito a lungo di calcare lo studio, mentre, alla ripresa dei lavori, si separavano le strade del gruppo e della chitarra solista di Alessandro “A.” Ponzoni, riportando così le lancette del tempo alla line up a tre di ...and Don't Deliver Us from Evil. Nessun timore, ovviamente, sul versante della “tenuta” musicale del terzetto, composto da polistrumentisti di valore testato a trecentosessanta gradi (basti citare qui le esperienze da one man band di Alessandro “Algol” Comerio in versione Hiems o la consolidata collaborazione di Gianmarco “Asher” Rossi con i Kirlian Camera), anzi, in sede di consuntivo va forse rilevato come l’impasto guadagni qualcosa in termini di asciuttezza e immediatezza.
All’interno di questa cornice che è già di per sé una rassicurante garanzia, i Forgotten Tomb proseguono sulla rotta tracciata dal predecessore, moltiplicando i carotaggi nelle terre doom e sludge ma spingendosi stavolta anche oltre, intercettando suggestioni melodic death e infarcendo il tutto con un retrogusto vagamente horror di settantiano e cinematografico conio, splendidamente sottolineato dalla prova al microfono di un Herr Morbid ormai maestro nella modulazione di uno scream in perenne oscillazione tra cantilene malate e stati di allucinazione, senza disdegnare improvvisi stati di sospensione accompagnati da sottolineature in clean. Il punto di forza del platter risiede così nelle sporcature delle classiche strutture sabbathiane (senza trascurare contributi importanti anche dall’eredità Saint Vitus), distorte in chiave sludge secondo la declinazione southern, privilegiando dunque le radici stoner rispetto a quelle core (fare il nome dei Crowbar diventa pressoché scontato, su queste frequenze) e insistendo su chiavi di lettura alla prova dei fatti sostanzialmente hard rock (ed è indubbiamente qui, il punto di maggior distanza dagli esordi; chi avrebbe mai potuto immaginare un velo quasi vintage ad ammantare un lavoro erede di Love’s Burial Ground?).

Peccato solo che, centrato abbondantemente l’obiettivo dell’impeccabilità di forme e strutture, i Forgotten Tomb tendano a scivolare in una sorta di autocompiacimento, perdendo qualcosa in termini di profondità e annacquando in parte il conseguente coinvolgimento emotivo, finendo così per risultare in alcuni passaggi un po’ troppo monocordi e ripetitivi. Beninteso, non siamo in presenza di un difetto esiziale per le sorti del platter, ma, fin dalla titletrack che apre il viaggio, la sensazione è che la colata di fango sludge in emersione sia più descritta (con mano magistrale, peraltro) che realmente “vissuta”, correndo i rischi e le potenzialità di una reale contaminazione. Anche nella successiva Second Chances, animata da una sezione ritmica cadenzata e potente che fa da contrappunto a una prova vocale mai così vicina a fascinazioni punk, l’atmosfera trasuda perfezione formale, ma anche in questo caso il percorso alla lunga sembra avvitarsi su sentieri non del tutto sminati dal rischio prevedibilità.
Funziona decisamente meglio, piuttosto, l’avvio tellurico e abrasivo di Saboteur, dapprima percorsa da fremiti dissonanti e poi interrotta da uno stop che introduce un grande finale doom/death, da annoverare senz’altro tra i momenti migliori dell’intero cammino. E funziona alla perfezione anche il tiro di Abandon Everything, perfettamente a suo agio in una natura tripartita sludge/death/doom su cui la sei corde di Herr Morbid stampa riff che trasudano nobili richiami settantiani (peccato solo per un finale trascinato un po’ per le lunghe, una troncatura improvvisa al posto di un languido accompagnamento avrebbe sortito effetti ben più devastanti), ma il meglio arriva con Longing for Decay, che si regge su divagazioni a sfondo orientaleggiante fatte emergere a tutto rilievo su un massiccio fondale doom in cui la sezione ritmica trova modo di esaltare tutta la sua magniloquenza. Giudizio sospeso, invece, sulla conclusiva Black Overture, brano strumentale dalla dubbia consistenza come “saluto ai naviganti” e abbastanza spiazzante nel suo sviluppo melodic death (oltretutto con accento fortemente caratterizzato sul primo dei due elementi). Non che la semplicità sia necessariamente un limite, ma forse una traccia-divertissement è un po’ troppo, anche per questi maestri della contaminazione…

Ennesima tappa di un percorso che ha fatto della trasformazione la sua cifra stilistica portante senza mai rinnegare la basi della poetica da cui ha preso le mosse, tassello della maturità in una carriera che può ormai fieramente rivendicare in pari grado longevità e qualità come tratti caratteristici, We Owe You Nothing è un album che, senza la pretesa di assurgere al ruolo di pietra miliare di una discografia, invoca un ascolto “laico”, scevro da condizionamenti, echi e aspettative figlie di antichi immaginari collettivi. I Forgotten Tomb di oggi sono questi, musicisti orgogliosamente rock in viaggio, fino all’ultimo dei loro giorni.



VOTO RECENSORE
74
VOTO LETTORI
83.18 su 22 voti [ VOTA]
Spirit Of The Forest
Martedì 9 Gennaio 2024, 9.43.20
13
Lasciate perdere i cambi di casacca,la promiscuità musicale e i cloni delle vere leggende.Ascoltate black metal purista seguendo le band da 100 copie numerate e continuate ad ascoltare Burzum senza girargli le spalle.Buona giornata.
lisablack
Martedì 9 Gennaio 2024, 8.58.29
12
Per chi ama il black metal e non è un bigotto che crede che sia una carnevalata, si ascolti l\'ultimo dei Ringare.. Quello è un disco che regala emozioni.. Anche più di Burzum al momento. Varg ormai i suoi capolavori li ha fatti 30 anni fa\'
Spirit Of The Forest
Lunedì 8 Gennaio 2024, 23.22.04
11
A parte Burzum rimango fermamente convinto che per trovare e vivere il vero spirito del black metal si debba tralasciare i grossi nomi e seguire l\'underground,lontano da labels forti, tradimenti stilistici e principi sviliti.Quella è la vera concezione del true black metal. Il resto è music biz. Buonanotte.
Spirit Of The Forest
Lunedì 8 Gennaio 2024, 22.55.15
10
Non ci siamo. Mutamenti,sonorità che risultano stravolgere una radice evidentemente poco profonda.Ma non sorprende,sin dagli inizi non mi convincevano..Sopravalutati.
Todbringer83
Martedì 30 Gennaio 2018, 16.45.57
9
Stucchevole! Appena sufficiente alle mie orecchie. 60
Shadowplay72
Giovedì 9 Novembre 2017, 1.46.53
8
Altro gran bel disco dei forgotten tomb dai pionieri del depressive black metal!
Red Rainbow
Mercoledì 8 Novembre 2017, 1.32.59
7
Giustissimo, @Necro, una delle storie famigliari più tristi degli ultimi anni... sulla dedica non saprei, nel materiale di accompagnamento al promo non c'erano riferimenti, forse sulla copia fisica...
Necro
Mercoledì 8 Novembre 2017, 0.50.46
6
Ricordiamo la povera Paola Luminal. Qualcuno sa dirmi se le hanno dedicato l'album?
Giorgio
Martedì 7 Novembre 2017, 11.51.02
5
@Red Raibow: mi scuso della nota, ma quello indicato tra parentesi non mi sembra un "dilemma di stretta osservanza ontologica". Al massimo, tra parentesi, sarebbe stato meglio trovare: "quale è la natura di una poetica che celebri etc.". Comunque, procederò nella lettura, anche perché dovrei, in effetti, approfondire la conoscenza di questa band. Tengo a precisare che guardo anche allo stile della scrittura: adoro leggere 'semplici' recensioni musicali (semplici rispetto a un'opera di alta narrativa) e trovare spunti di natura stilistica.
Pacino
Martedì 7 Novembre 2017, 11.42.20
4
grandi, uno dei dischi dell'anno. Voto 90
Red Rainbow
Martedì 7 Novembre 2017, 8.38.44
3
@Giorgio: senza voler aprire dibattiti filosofico-linguistici, "ontologico" -> "ciò che concerne gli aspetti essenziali dell’essere", per cui l'affermazione "dilemma ontologico" non era riferita agli aspetti etici o morali che suggerisci come interpretazione ma proprio alla natura del dilemma (sulla proposta di una band certo poi da sempre controversa, sul versante dei contenuti). Su una cosa potresti aver ragione, la domanda successiva tra parentesi, posta a sostegno della tesi, forse è un po' troppo sbrigativa e rischia di banalizzarlo, il dilemma, ma un minimo minimo minimo di "licenza poetica" (o constructio ad sensum, se preferisci) è proprio così inaccettabile? Mi spiace che ti sia fermato così presto nella lettura, magari avrei potuto recuperare con qualche spunto utile per un confronto sulla musica dei FT, nel resto della rece...
Giorgio
Martedì 7 Novembre 2017, 1.00.15
2
"[...] di stretta osservanza ontologica": cosa c'entra l'ontologia? Sarebbe meglio dire "etica" o "morale". Ho letto fin lì, scusate. Quando incontro problemi di stile perdo la voglia di proseguire...
Thrash Til' Death
Lunedì 6 Novembre 2017, 17.00.02
1
Ottima recensione, molto esaustiva e ben articolata. Al disco in questione ho dedicato solo qualche ascolto distratto, provvederò a riascoltarlo a dovere, visto che tra tutte le recensioni che ho letto questa è quella con il voto più basso. Sarebbe bello se la redazione riuscisse a recensire i dischi precedenti non presenti, i primi tre e il penultimo.
INFORMAZIONI
2017
Agonia Records
Doom
Tracklist
1. We Owe You Nothing
2. Second Chances
3. Saboteur
4. Abandon Everything
5. Longing for Decay
6. Black Overture
Line Up
Federico “Herr Morbid” Marchisio (Voce, Chitarra)
Alessandro “Algol” Comerio (Basso)
Gianmarco “Asher” Rossi (Batteria)
 
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