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Tim Buckley - Starsailor
10/12/2017
( 2221 letture )
Anno 1970: con Lorca, il cantautore statunitense Tim Buckley aveva dimostrato che il folk, pur riuscendogli in maniera straordinaria grazie a doti compositive e soprattutto vocali totalmente al di fuori del comune, non era necessariamente la sua unica specialità: le cinque tracce avevano infatti evidenziato un approccio totalmente nuovo da parte del musicista di Washington, meno interessato a melodie gradevoli e categorizzazioni musicali, più concentrato sul come raggiungere i propri limiti, sul come sperimentare grazie alla sua incredibile ugola: ecco dunque brani con strumentazione ridotta all'osso o sfruttata al massimo come base per l'interpretazione canora, più versatile e per certi versi “allucinata” che mai.

Ciò nonostante, nessuno immaginava che, di lì a poco, nello stesso anno, Tim Buckley si sarebbe spinto ancor più in là con i suoi esperimenti, componendo quello che è probabilmente il suo capolavoro, nonché uno degli album più importanti ed innovativi di ogni epoca. Molti, purtroppo, lo conoscono “solamente” per la presenza di Song to the Siren, uno dei brani più belli mai usciti dalla penna del nostro e che non a caso è stato reinterpretato da dozzine di artisti nei decenni successivi, ma l'intero LP è un concentrato di brani impossibili da definire in maniera rigorosa: Come Here Woman, ad esempio, inizia covando suggestioni psichedeliche pinkfloydiane, con una chitarra quasi “spaziale” nel suo incedere, che presto viene sormontata da linee vocali solenni ed atmosferiche, decisamente più teatrali che musicali in senso stretto; andando avanti, tuttavia, il pezzo cambia completamente atmosfera trasformandosi in una sorta di scheggia jazz impazzita, con Buckley che mette in scena ogni registro vocale di cui è materialmente capace. I Woke Up vede la presenza degli strumenti ulteriormente ridotta all'osso e qui e là potrebbe ricordare qualcosa dei The Velvet Underground, con un'atmosfera nuovamente a cavallo fra jazz e psichedelia man mano che i minuti scorrono e gli ascoltatori restano sempre più impressionati. Monterey cambia totalmente registro ancora una volta, muovendosi su un giro di chitarra ossessivo e dalle tinte vagamente funk, che costituisce essenzialmente la scusa per ascoltare il nostro scatenarsi al microfono, passando da urla quasi animalesche a lamenti sofferti, in un'altalena di stili di canto onestamente ardua da imitare per chiunque. Moulin Rouge, fedele al suo titolo, prende in prestito qualcosa dal cantautorato francese, districandosi indifferentemente fra jazz ed un piacevole swing che fa riposare le orecchie decisamente provate dagli esperimenti quasi ferini di un brano come Monterey; il giro di boa, naturalmente, è affidato a Song to the Siren, una vera e propria poesia trasposta in musica che vede Buckley al suo massimo come cantante ed interprete, mentre in lontananza una sirena fa sentire la propria melodia. Jungle Fire è il secondo esperimento vocale estremo del disco dopo Monterey e stavolta, per non farsi mancare nulla, i suoi gorgheggi operistici e le sue urla bestiali vengono arricchite da una sorta di personale interpretazione dell'urlo di Tarzan; verso la fine, poi, gli strumenti vedono uno dei loro pochi momenti di gloria, con un crescendo vagamente in stile The Doors. Poiché non c'è due senza tre, anche la title-track vede il nostro toccare nuove vette di “estremismo canoro”, avvicinandosi più che mai ad altri eccezionali sperimentatori vocali come Demetrio Stratos e Diamanda Galàs, in grado di utilizzare le proprie corde vocali come strumenti: Starsailor è infatti una folle litania dove la voce di Buckley, a tratti, sembra davvero provenire da un altro Universo. Nuove suggestioni pinkfloydiane benedicono la splendida The Healing Festival, dove, stranamente per questo disco, la scena viene rubata non solo dalla voce del nostro, ma anche dal sassofono suonato da Bunk Gardner, già all'opera con Frank Zappa, autore di un notevole assolo. Si chiude con Down by the Borderline, introdotta stavolta dalla tromba di Buzz Gardner, fratello di Buk ed a sua volta visto con il chitarrista di Baltimora e che, al pari della traccia precedente, vede gli strumenti assumere ruoli da protagonisti, non da semplici comprimari al servizio della voce del genio di Washington.

Come diceva Frank Zappa, con il quale come abbiamo visto questo disco ha qualcosa in comune (probabilmente non a caso), “scrivere di musica è un po' come danzare di architettura”: la celebre citazione si sposa in maniera davvero perfetta a Starsailor, album davvero difficile da inquadrare in un preciso genere di riferimento e, per certi versi, uno dei lavori più “estremi” mai pubblicati. Senza dover per forza definire il tipo di musica che abbiamo la fortuna di ascoltare al suo interno, possiamo dire che il sesto lavoro di Tim Buckley merita semplicemente di essere ascoltato.



VOTO RECENSORE
95
VOTO LETTORI
83 su 7 voti [ VOTA]
Morlock
Martedì 12 Dicembre 2017, 18.45.36
3
Vado un po controcorrente dato che ritengo questo personaggio il precursore inconsapevole nonchè un guru per tutte le correnti hipster/cantautoriali e indie di oggi...con la differenza che quì cmq sia si parla di un musicista e non di uno strimpellatore qualunque.....
Alex Cavani
Lunedì 11 Dicembre 2017, 14.58.08
2
Condivido assolutamente e totalmente il commento di @Galilee, se avessi dovuto commentare da zero avrei usato le sue stesse esatte parole. Non sono mai riuscito ad ascoltare questo disco senza avere delle grosse difficoltà, ogni volta l'ha sempre vinta lui. Tutto per colpa della cover di Song To The Siren - per me - meravigliosa del mio mito John Frusciante, ho preso in mano questo disco e tutta la discografia di Buckley, ma mentre per gli altri dischi potrei riuscire ad essere più oggettivo, nella classificazione e nel valore della musica, qui davvero non ce la faccio; uno dei miei pochi dischi "chimera".
Galilee
Lunedì 11 Dicembre 2017, 14.15.17
1
Mi sarei aspettato un senza voto. Dare un 95 ad un disco così ci vuole pelo. Uno perché a gusti pesonali, riuscire ad apprezzare un lavoro tale tanto da sfoderare un ottimo in pagella, bisogna essere un po' extraterrestri; due, per capirne le svariate sfumature, anche. Dal canto mio con questo disco ho delle serie difficoltà. Ci provo sempre e ogni volta scopro qualcosa di più, ma come dice il recensore, rimane uno dei dischi più estremi di sempre. Gran bella recensione, appena avrò tempo me lo riascolterò.. Yeah!
INFORMAZIONI
1970
Straight Records/Enigma Retro Records
Inclassificabile
Tracklist
1. Come Here Woman
2. I Woke Up
3. Monterey
4. Moulin Rouge
5. Song To The Siren
6. Jungle Fire
7. Starsailor
8. The Healing Festival
9. Down By The Borderline
Line Up
Tim Buckley (Voce, Chitarra)
Lee Underwood (Chitarra, Piano, Organo)
John Balkin (Basso, Contrabbasso)
Maury Baker (Percussioni)
Bunk Gardner (Flauto, Sassofono)
Buzz Gardner (Tromba, Flicorno)
 
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