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Evoken - Quietus
17/03/2018
( 1960 letture )
Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta,
E prego anch’io nel tuo porto quiete.

Ugo Foscolo,In morte del fratello Giovanni

Spesso un singolo lemma, nella sua apparente semplicità, è in grado di dipingere con assoluta eloquenza una particolare condizione, senza la necessità di essere affiancato da nessun altro vocabolo; con il titolo Quietus a sancire il secondo album della loro carriera, gli Evoken riescono proprio a centrare questo intento, descrivendo con apparente semplicità il silenzio finale ed eterno che succede all'atto della morte. La parola quiete in questo contesto porta con sé dei significati multiformi e contrastanti: da una parte essa ritrae con crudezza e freddezza l'irreversibile processo di cessazione della nostra esistenza, da un'altra però sembra quasi assurgere verso una dimensione poetica nel suo elargire una pace risolutiva che appare quasi desiderata ad ogni piè sospinto, se si considerano gli antecedenti affanni e tormenti a cui è dato l'onere di lasciar intravedere il confine ultimo dell'esistenza. A rafforzare sinergicamente il concept del titolo si affianca la manipolazione visiva della statua funebre rappresentata nella copertina (al quale tra l'altro ha partecipato Stephen O'Malley dei Sunn O)))) i cui richiami ad un tipico immaginario stra-abusato soprattutto in un genere come il doom qui ritrova tutta la sua potenza e profondità.

Addentrandoci alla vera essenza di Quietus si scorge una band considerevolmente progredita rispetto ai promettenti presupposti di Embrace the Emptiness, che finalmente può sfoderare tutta la sua imponenza contando su una produzione (a cura di un all'epoca sconosciuto Ron Thal, alias Bumblefoot) capace di risaltare le distorsioni dense, il growl abissale di Paradiso, le delicate contrapposizioni del violoncello di Suzanne Bass, le tastiere avvolgenti di Dario Derna, configurandole all'interno di un suono pastoso e ricchissimo di riverberi e delay. Come segnalato precedentemente, nel songwriting si può appurare una chiara impennata qualitativa che si materializza in sette monoliti di doom/death tanto possente quanto lugubre, funereo e capace di generare autentico sgomento alla sua collisione. Le note dolenti del piano di In Pestilence, Burning ci introducono nell'opprimente e funesto universo eretto dalla band del New Jersey; oltre ai passaggi di matrice doom/death si ritrovano alcune soluzioni che aumentano il respiro delle composizioni, ossia i frangenti nel quale gli Evoken si servono di voci e chitarre in clean o dei passaggi classicheggianti dettati dal violoncello e le tastiere, richiamando in parallelo il modello di scrittura adottato dai Morgion di Solinari.
La successiva Withering Indignation scivola lentamente come un magma, facendosi carico di una concatenazione di riff granitici che marcano dunque le caratteristiche più pesanti del sound del combo; la voce di Paradiso si intercala in qualità di nefasto araldo, mostrandosi in alcuni frangenti perfino subdola nel sibilare alcuni tratti delle liriche. La sezione finale inaspettatamente muta in sommesso, trascinando il pezzo verso il suo finale quasi come se quel magma immaginato si tuffasse tra le acque gelide dell'Oceano. Tending the Dire Hatred si presenta nella sua prima porzione come un mostro che calca le sue orme sui sentieri prettamente death ed ovviamente ciò non può che essere un piacere. L'intelligenza compositiva del combo ha il pregio di non fossilizzarsi su un'unica idea di base ed infatti nuovamente il brano verte verso un core arioso in cui troneggiano le atmosfere solenni dettate delle tastiere di Derna; una sezione ritmica piuttosto flemmatica si amalgama impeccabilmente, concedendo tra l'altro a basso e batteria di sganciarsi in piccole frasi che fotografano una classe assoluta in materia di arrangiamenti.
Gli esordi inquieti di Where Ghosts Fall Silent cedono prontamente il proprio testimone a un segmento in cui l'ugola di Paradiso si contrappone totalmente alla natura del suo cognome rievocando terrori ed angosce; i riff subiscono dei consistenti rallentamenti giungendo ai confini del funeral, anche se questo limite verrà in realtà valicato ed approfondito soprattutto in Atra Mors. Si avvicendano dunque in questo miraggio stilistico una ritmica più decisa traforata di chitarre dissonanti ed impazzite e la successiva eufonia di violoncello, accompagnato dalla contrapposizione degli stacchi della sezione strumentale. La titletrack rappresenta, insieme a Tending the Dire Hatred, uno degli apici assoluti del disco nonché della discografia degli americani. Diviene perfino arduo trovare i termini appropriati per circoscrivere tutta la decadente imponenza riversata nei quasi undici minuti di questo capolavoro doom; dalla sezione introduttiva in cui le tastiere con l'ausilio del pitch shift scandiscono fugaci dissonanze, al riffing glaciale ed asettico che beffardamente verte su progressioni monodiche che si spengono in direzione di arpeggi surreali; tutta questa eterogeneità non può che sortire il suo effetto sovversivo ai danni della razionalità, destabilizzandola verso un inferno di incertezze ed indeterminazione.
Sulle meste note che chiudono Quietus ecco seguire Embrace the Emptiness, ed anche in questo caso il percorso da intraprendere si prospetta aspro e tormentato, considerate le continue oscillazioni del registro vocale di Paradiso (tra lamenti cinerei, growl velenosi e sussurri infidi) e quelle della sezione ritmica, capace di mantenere costante l'attenzione attraverso un circolo che vede susseguirsi passaggi in clean, doom ed accelerazioni death. I quattro minuti finali della strumentale Atrementous Journey segnano infine la chiusura del disco, elargendo gli ultimi sinistri istanti di angoscia in perfetta sincronia con il mood generale dei brani del lotto.

Come l'inevitabile silenzio successivo alla morte, con Quietus gli Evoken ascendono ineluttabilmente tra i massimi interpreti della materia doom/death, regalandoci, oltre che una delle migliori performance della loro discografia, uno dei lavori più maestosi, decadenti e rappresentativi dell’intero genere. Dopo questa prova il combo del New Jersey continuerà a rimodellare lentamente il proprio sound guardando in direzione del punto più estremo di questa espressione e riscuotendo tra l'altro un costante e crescente consenso, che corre in parallelo al progressivo incremento di attenzione verso questa frangia di nicchia delle sonorità ultra slow.
Al di là della sua agghiacciante ed irripetibile bellezza è proprio in ambito “storico” che quest’album regala un ultimo ma non meno significativo spunto di interesse, considerato che è stato pubblicato in un’epoca in cui generi come il death/doom o (a maggior ragione) il funeral erano poco più che vaghe parole pronunciate quasi sottovoce in quel retropalco chiamato underground, mentre il metal proscenio era occupato dalla parola d’ordine della velocità a tutti i costi.

Quel concerto è stato patetico! Pensavamo “Bene, almeno i Deicide attireranno un casino di gente così ci sarà un grosso pubblico” ahah NO! I Deicide non attirarono nessuno, se non degli sfigati quindicenni che non sembravano diversi da un fan medio dell'hip-hop, senza escludere la presenza dei “wanna be” black metallers... Ma di questo tutto sommato non ce n'è mai fregato nulla. Abbiamo suonato ma a nessuno importava di noi, voglio dire a quale fan dei Deicide interesserebbe vedere una band suonare a 2 miglia all'ora per 10-12 lunghissimi epici minuti? Così ovviamente abbiamo suonato rallentando al massimo assicurandoci di alzare il volume il più possibile!
Nick Orlando in un estratto di un’intervista del 2003 in cui gli vengono chieste le sue impressioni riguardo una gig di supporto a Deicide, Sinister, Brutal Truth e Kataklysm.

Se mai ci fosse bisogno di una conferma di quanto la genuinità e la fertilità delle traiettorie lontane dal mainstream abbiano giovato alle sorti dell’intero movimento, qui c’è una delle risposte più esaustive e convincenti.



VOTO RECENSORE
90
VOTO LETTORI
99 su 9 voti [ VOTA]
Stagger Lee
Sabato 21 Marzo 2020, 21.31.44
5
L'ho rimesso su adesso. Madoooonna che bello!!! Anche 100 per me.
kroky78
Giovedì 22 Marzo 2018, 19.49.53
4
Capolavoro del genere. Io trovo che sia un disco ben fruibile, grazie anche alla produzione relativamente "ariosa" e ai pezzi che rimangono bene in mente. La pietra di paragone è Antithesis of Light, con un sound meno raffinato e diretto, ma forse ancor più bello...
Pacino
Lunedì 19 Marzo 2018, 10.34.00
3
Death Doom di alti livelli, grande band. Voto 90 confermato.
gamba.
Sabato 17 Marzo 2018, 16.56.58
2
ringrazio per la recensione, coglierò l'occasione per riprendere in mano l'album, ci ho dedicato troppo poco tempo quando invece ne meriterebbe molto di più per essere compreso, attualmente mi è infatti inaccessibile. embrace the emptiness al contrario l'ho trovato molto più immediato!
enry
Sabato 17 Marzo 2018, 13.06.36
1
Sempre seguiti, sempre amati...nel genere fra i migliori in assoluto, mai sbagliato un disco. Questo è forse il loro lavoro più funereo e difficile, ma sempre di alta qualità. Bella rece.
INFORMAZIONI
2001
Avantgarde Music
Death / Doom
Tracklist
1. In Pestilence, Burning
2. Withering Indignation
3. Tending the Dire Hatred
4. Where Ghosts Fall Silent
5. Quietus
6. Embrace the Emptiness
7. Atrementous Journey
Line Up
John Paradiso (Voce, Chitarra)
Nick Orlando (Chitarra)
Dario Derna (Tastiera)
Steve Moran (Basso)
Vince Verkay (Batteria)

Musicisti Ospiti
Suzanne Bass (Violoncello)
 
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