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Rongeur - An Asphyxiating Embrace
23/05/2018
( 693 letture )
I am fuckin’ dying

Dalla fredda Oslo, roccaforte mondiale di marciume sonoro e nichilista, insieme alla vicina Bergen, manco farlo apposta, arriva questa nuova scarica di odio e ghiaccio, a folate, a mo’ di buran: e formalmente presenta momenti riusciti, a dir poco, con alcuni passaggi suggestivi e... insomma, se la quotidianità vi opprime, gettatevi a capofitto su questo nuovo lavoro, tutto da scoprire.
Trattandosi di un nome sconosciuto ai più, soprattutto a chi non sguazza in questo settore malato, ma altrettanto prolifico, e trattandosi di una band al suo primo full-length, sorge spontanea una domanda: chi si trova al comando di questa glaciale epifania, manifestatasi così, all’improvviso?

I Rongeur si formano nel tardo 2012 e giungono al tanto agognato esordio sulla lunga distanza solo dopo sei anni dalla costituzione, con questo An Asphyxiating Embrace (non così “asfissiante” in realtà, se dobbiamo essere sinceri...), licenziato prima in formato digitale da Poacher Records e successivamente in tutti i formati fisici da Ampmandens Records, dopo uno split, Ampmandens Dotre vs. Rongeur, uscito 2015, e un singolo, God and I/Good War, pubblicato due anni fa. Già dal titolo del platter, forse, riuscirete a cogliere tra le righe il messaggio, puro distillato d’odio e misantropia, del quale si fanno portavoce Dag, Ken-Robert e Ole, più gli ospiti, che hanno un loro peso specifico non indifferente qui dentro: pochi, ma decisivi.
Assalti frontali di chitarre robuste e abrasive, ritmica basso-batteria “in your face” che non è altro che un palese aizzamento a mosh selvaggi (Special Needs) e all’headbanging più forsennato (il breakdown in The Weight of Guilt è da capogiro), un trittico di voci che si alterna avviluppandosi su trame sonore grezze, spartane, prima punkeggianti, poi sludge, poi post-metal, poi black, per arrestarsi d’un tratto o concludersi, sfinite, in una manciata di secondi sommessi, dai toni melanconici e che risplendono, quest’ultimi, di una raffinatezza che fa ben sperare nel futuro di questa giovane band, più che promettente. Tutte scelte, quelle effettuate dai Rongeur, strettamente necessarie per combattere l’imborghesimento avvilente della musica attuale. Se i sommi astri quali Neurosis, Darkthrone, High on Fire, Eyehategod e…Arthur Schopenhauer rientrano fra le influenze principali di questa formazione, a detta dei vari membri, possiamo dire che i signori sopra hanno generato un figlio diligente. Non originale, e neppure un genio: le ombre dei leggendari frontman Scott Kelly e Steve Von Till a volte si materializzano fra le linee vocali, ma l’impianto sonoro, quando e dove rischia di cadere nell’anonimato, è sempre supportato e soccorso da un’ottima produzione nitida, con ogni strumento in risalto e da quegli attimi eterei di tregua inseriti nella carneficina (sonora). È pur vero che zelo e costanza, prima o poi, ripagano gli studenti e danno i propri frutti e questi frutti sono stati convogliati in questo An Asphyxiating Embrace, che non nasconde, ma anzi le esalta, le proprie radici hardcore-punk, seme plurifecondo dal quale germogliarono lustri e lustri or sono i generi menzionati sopra.

Weltschmerz, pur non configurandosi come il capitolo più personale ed emozionante, è singolo e manifesto di questo full-length: il lemma tedesco che dà il titolo al brano, non perfettamente traducibile in italiano, è un termine polisemantico diffusosi capillarmente in ambiente filosofico-letterario nel romanticismo, ma introdotto in epoca preromantica da Jean Paul e al quale fece spesso riferimento Schopenhauer nei suoi scritti. Glissando sulla semantica del termine, il pezzo è un barbaro mid-tempo, tutto power-chord e basso in primo piano, lacerato da alcuni tremolo picking di scuola norvegese. A 1.40 il primo momento da sottolineare. Il tempo si ferma e un fraseggio di tastiere di Andersen, scarno, lento, destabilizzante e annoiato nell’andamento, mette a tacere apparentemente i latrati. Con Special Needs non proveremo questo brivido. Cori veementi, palm-muting irruento e giri di tom: due minuti di vero hardcore, saturo di steroidi, ma per niente rallentato. Una sorta di rinoceronte sguinzagliato nel cuore della savana. L’inno hardcore(-sludge) estivo. Fiendesliebe presenta una strutta simile a Weltschmerz: squisite linee vocali sofferte, ai limite del depressive black, un’altra apertura straniante a 1.30 e a 2.20, e il solito tremolo picking mayhemiano che fende l’aria. E ora Wellpisser, il brano che più ha colpito chi sta scrivendo e al quale contribuiscono gli altri due ospiti. L’incipit è affidato a un lungo rifferama richiamante gli Alexisonfire (!), sognante, innocente ma... è solo apparenza. Si ritorna sul campo di battaglia dopo questo minuto: il terreno è il lungo palm-muting sul quale cantano (quasi) a cappella i cantanti, alternato a brevissime sfuriate crust/black caustiche. L’entrata in scena di Kristiansen che si fa Dani Filth per l’occasione e l’assolo trasudante disagio di Jakobsen sono tra i momenti più alti dell’intera opera. Con The Deconstructionist la band prova a ricreare un mid-tempo melvinsiano della prima ora. Apprezzabile l’idea, ma di sicuro un brano, questo The Deconstructionist, tra i meno riusciti dell’album. Altro giro sul carrozzone punk con Mr. Hands, dove riemerge l’animo black del gruppo. Un altro inno alla semplicità, portato ancor più in alto dalla potenza elefantiaca, come si diceva, del breakdown di The Weight of Guilt. Nella conclusiva Chained to a Dead Horse, si enfatizza quanto sentito in questa seconda metà (più debole rispetto la prima), ma con un nuovo protagonista in primo piano, oltre alla mattanza di riff di Ken-Robert: il basso korniano e acidissimo di Dag Ole.

Oggigiorno ci si sta scordando di dare centralità e un ruolo al riff. Questi esordienti Rongeur, invece, lo sanno fare. Hanno studiato, hanno appreso dai maestri (nel metal) di questo elemento portante di un brano...e l’esito è giocoforza indiscutibilmente positivo, i margini di miglioramento sono ampi, lavorando sia sulla melodia, sia su quell’essere “asfissiante”. La loro prerogativa è l’impatto, lo lobotomia dei sensi. Sudore, disagio ed emozioni trasudano da ogni nota suonata dai componenti: questo esordio è una valida colonna sonora per gli scontri con il potere. Non suonano strumenti tradizionali, ma imbracciano oggetti contundenti altamente pericolosi. Oggi splendono e oscillano di qua e di là, fuoco e fiamme ancora flebili, ma attenzione, perché i presupposti per un incendio divampante in ogni angolo del metal-universo underground ci sono tutti.



VOTO RECENSORE
71
VOTO LETTORI
71.5 su 2 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2018
Poacher Records/Ampmandens Records
Sludge
Tracklist
1. Weltschmerz
2. Special Needs
3. Fiendesliebe
4. Wellpisser
5. The Deconstructionist
6. Mr. Hands
7. The Weight of Guilt
8. Chained to a Dead Horse
Line Up
Dag Ole (Voce, Basso)
Ken-Robert (Voce, Chitarra)
Jon (Voce, Batteria)

Musicisti ospiti
Rune Andersen (Tastiera, Mellotron)
Bjornar Kristiansen (Voce in Traccia 4)
Audun G. Jakobsen (Chitarra in Traccia 4)
 
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