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Massimo Volume - Stanze
16/06/2018
( 1813 letture )
Prima del debutto italiano degli Afterhours, prima di Catartica dei Marlene Kuntz e persino prima che il nuovo corso degli ex-CCCP pubblicasse Ko del mondo a nome CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti) usciva Stanze, il primo disco dei Massimo Volume. Mai famosi quanto gli appena citati gruppi della scena alternativa italiana ma così di culto da non poter essere nemmeno buttati nel calderone dell’underground, risultano ancora oggi un unicum nella storia musicale del nostro paese, sebbene in tanti abbiano poi cercato di riprenderne le intuizioni, senza mai raggiungere risultati particolarmente soddisfacenti.

Eppure le cose avrebbero potuto prendere un’altra piega, per citare parzialmente Stagioni, pezzo conclusivo del terzo album Da qui. Formatosi sulla fine degli anni ottanta in quel di Bologna, fino al 1992 il gruppo era diviso in due poli: da una parte c’era il chitarrista e cantante Umberto Palazzi, dalla mentalità più anglosassone, interessato a quel crossover/funk metal che stava spopolando nei primi anni ‘90; dall’altra c’erano Emidio Clementi, basso e voce, Vittoria Buttarini, batteria (e occasionalmente), e Gabriele Ceci, seconda chitarra, improntati su sonorità post-hardcore e su liriche che fossero narrabili piuttosto che cantabili. Da questa chiara mancanza di equilibrio scaturì, dopo l’uscita di Demo Nero, l’abbandono di Palazzi, che venne in poco tempo rimpiazzato da Egle Sommacal, chitarrista talentuoso e versatile che i tre rimanenti avevano già notato a un concerto dei Detriti poco tempo prima.
Il suo apporto dà la spinta definitiva al gruppo: Egle ha un modo di suonare unico, una grande dedizione e un’altrettanto grande fantasia, fondamentale per accompagnare la prosa di Emidio. Un anno non basta per mettere su un sound compatto e nel debutto si riscontra di tutto e di più: virate noise, riff rock/metal, assalti hardcore, momenti di riflessione post-rock e persino qualche accenno di grunge. Ma è proprio in questa ricchezza stilistica che sta molto del fascino di Stanze, oltre che negli interessantissimi, quando non già completamente maturi, testi di Clementi. Per tratteggiare un’esistenza bastano poche parole, e il marchigiano si serve di un linguaggio crudo e realistico, unisce le proprie esperienze a quelle di amici e conoscenti e crea vite che non esistono, ma il suo occhio è così attento e la sua penna così viscerale da renderle vere. La banalità, il disagio, il degrado che ben conosce, vengono narrati senza mai alcun giudizio di sorta, atteggiamento molto distante dalla rabbia emotiva di Godano o alla denuncia di Ferretti.

La title track è un inizio più che mai col botto, un post-hardcore rabbioso coronato dal lamento di Emidio, che sembra voler rassicurare o compatire un amico dopo giorni (se non un’intera vita) ‘spesi senza forza’. L’atmosfera abrasiva, tagliente come un rasoio, si mantiene anche nella successiva Insetti, che anticipa in parte il sound che diventerà caratteristico dei Massimo Volume: accordi e/o riff di chitarra ripetuti insistentemente, ai quali il basso dona ulteriori sfumature, mentre la batteria della Burattini costruisce e sostiene i saliscendi chiamati a gran voce dai contrappunti armonici dell’altra sei corde, il tutto però subordinato al pathos dei testi, storie che necessitano di essere accompagnate prima dalla quiete e poi, al momento giusto, di esplodere, come se si trattasse di un film e della sua colonna sonora. Forse le parole ed il loro significato sono troppo diretti ed espliciti, ma nel complesso il pezzo è già grandioso, verbosamente acerbo e vitale come pochi altri nel panorama rock italiano. L’incipit di Un sapore, tutto qui sembra richiamare alla lontana i Litfiba (dimostrazione di quanti influssi convoglino in questo disco) ed è degno di nota anche il canto della Burattini, raramente riproposto in futuro dalla band, ma il brano non è in fin dei conti tra i più memorabili, anche se sempre interessante è la penna del paroliere. Un intermezzo di piano suonato da Vanessa Bravi anticipa Ronald, Tomas e io, crudo ricordo di gioventù che in chiusura introduce uno dei temi cardine nella poetica di Clementi: il rapporto difficoltoso con la terra natia e la famiglia, in particolar modo la madre. Una chiosa inaspettata che dà spessore a una narrazione ancora troppo macchinosa in certi punti. Non si può però dire lo stesso della successiva Ororo, primo gioiello di Stanze. L’introduzione Vedute dallo spazio, dilatata, rumoristica, ha il compito di scavare dentro l’ascoltatore affinchè Ororo possa penetrarne in profondità. ‘L’adesione è fuoco’ declama il poeta maledetto, in un ritratto dell’eterno confronto tra l’immensamente grande dell’universo e l’immensamente piccolo della condizione umana. L’apice assoluto, oltre che il simbolo, dei primi Massimo Volume.

Un altro capolavoro è Alessandro, ma qui il gruppo bolognese è già proiettato in avanti, a quello che sarà. Una chitarra più elettronica che elettrica introduce uno squarcio di vita di un affetto da disabilità, che difficilmente non ascolteremo con imbarazzo e sofferenza, ritrovando un po’ di noi stessi in Alessandro: le sue soddisfazioni assurde, la sua solitudine, il suo malessere. La musica restituisce alla perfezione la drammaticità del testo, dando il là a quel post rock d’autore che renderà indimenticabili i Massimo Volume. Dopo un altro veloce intermezzo (15 di Agosto), stavolta quasi spensierato, si passa a Stanze vuote, otto meravigliosi versi ripetuti ossessivamente su una base d’improvvisazione rumoristica, priva di una direzione e di una qualunque struttura tipica della forma canzone. In un certo senso siamo di fronte a una dichiarazione di poetica: gli eventi apparentemente insignificanti dell’esperienza umana sono importantissimi per Emidio, e se abbandonati o dimenticati lasciano dietro di loro il vuoto, il nulla. Si è già accennato al legame tra Massimo Volume e cinema: In Nome di Dio parte proprio da qui, da un film di John Ford (non mancheranno altri riferimenti nel corso della loro carriera al regista americano) che passa alla televisione e fa da sfondo a discorsi di coppia di poco conto. Pur essendo un bellissimo brano, è la dimostrazione che lo stile della band debba ancora arrivare a compimento, mettendo da parte alcune semplificazioni e limando alcuni dettagli sonori. La chiusura è affidata a Tarzan, un brano un po’ alla Jesus Lizard con chitarre graffianti e virate noise. Le parole sono ancora stupende, e sul finale il brano muta lentamente in una sommessa reinterpretazione di Cinque Strade, pezzo dell’ormai dimenticato Faust’O (che parteciperà alle prime fasi della produzione del successivo Lungo i Bordi). Un’altra perla di questo primo urlo discografico dei Massimo Volume.

Stanze non ha la compattezza dei due già citati lavori successivi, ma evidenzia un talento e un potenziale sconfinato. All’inizio i nostri partivano dagli scritti di Emidio, ma dal successivo in poi difficilmente questo scriverà qualcosa senza un’idea musicale già presente. La sua essenzialità nichilista riesce comunque già a regalare parole indimenticabili, delle quali è meglio non parlare troppo (nonostante la loro importanza all’interno del progetto Massimo Volume) affinché ognuno ci si possa ritrovare in modi diversi. Fortunatamente Stanze non rimarrà un caso isolato e i nostri riusciranno a diventare qualcosa di più che solamente un bel ricordo.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
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Pink Maggit
Sabato 30 Giugno 2018, 15.43.15
7
Uno dei miei album preferiti di sempre, sottovalutatissimo tuttora. Non riesco a trovargli dei difetti, per me è un 100
Area
Martedì 19 Giugno 2018, 12.31.04
6
@Titus Groan, ma il Rock progressivo o il Prog Metal? Negli anni 90 la scena Italiana ha avuta un ottima scena Alternative Rock e si può quasi (e dico quasi) dire che dopo il Prog Rock (da noi chiamato Pop nei 70) in Italia é stata la seconda e migliore scena Rock. In Italia poi nei 90 e nei primi 2000 quando si diceva "Musica Alternativa" si mescolava quasi senza distinzione Raggamuffin, Ska e Alternative rock. Scena che spesso collaborava anche con chi faceva Rap (vedi Sangue Misto) Una cosa che oggi non c'é più. No guarda si vede che non sei informato... oggi non é il Pop Rap ad andare di moda, ma la Trap. E Fedez é stato sostituito da ragazzi più giovani di lui sia nelle classifiche che come idolo dei giovani.
Titus Groan
Martedì 19 Giugno 2018, 12.23.20
5
Rimpiango quegli anni cosi impegnati dove la cultura nel rock era ancora presente. Insieme ai grandissimi C.S.I. i Massimo Volume rappresentavano l'anima piu' colta e impegnata degli anni 90. Per chi come me era un ragazzo in quei tempi molto piu' amante del rinato rock progressivo, a volte criticavo e prendevo in giro questa nuova scena rock italiana con quella spocchia di chi ascoltava oltre al Prog soprattutto la scena Death Doom europea, ma ipocritamente andavo ai concerti dei Massimo Volume e C.S.I. Per concludere intendo dire che la scena rock italiana rispetto a quel periodo e' molto decaduta, il pop rap ora inquina le menti dei ragazzi, tranne qualche eccezione, quel periodo cosi florido non tornerà mai piu. Oggi viva fedez ed Ermal. Meta
Area
Martedì 19 Giugno 2018, 12.17.53
4
Bologna almeno in ambito Rock, Alternative e Rap almeno (Col Metal molto molto meno) fino ai primi del 2000 é stata una fucina di artisti e gruppi musicali incredibili.
tartu
Martedì 19 Giugno 2018, 12.01.44
3
speriamo nella ristampa perche' non si trova piu'
Jan Hus
Domenica 17 Giugno 2018, 11.11.42
2
Umberto Palazzo (e il Santo Niente)
Alex Cavani
Sabato 16 Giugno 2018, 16.02.53
1
Un altro discone accompagnato da una bella recensione! "Alessandro" è una canzone da mille e una notte.
INFORMAZIONI
1993
Underground Records
Post Rock
Tracklist
1. Stanze
2. Insetti
3. Un sapore, tutto qui
4. Sfogliando ‘L’amore è un cane che viene dall’inferno’
5. Ronald, Tomas e io
6. Vedute dallo spazio + Ororo
7. Alessandro
8. 15 di Agosto
9. Stanze vuote
10. In nome di Dio
11. Tarzan + Cinque strade
Line Up
Emidio Clementi (Voce, Basso)
Egle Sommacal (Chitarra)
Gabriele Ceci (Chitarra)
Vittoria Burattini (Batteria, Voce)

Musicisti Ospiti
Manuel Giannini (Chitarra nella traccia 9)
Vanessa Bravi (Pianoforte nella traccia 4)
 
RECENSIONI
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