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Lonely Kamel - Death`s-Head Hawkmoth
19/06/2018
( 955 letture )
Ed eccoli (ri)piombare sulle scene rock più fumose, con una certa ricercatezza stilistica, i Lonely Kamel, trio norvegese originario di Oslo in attività dal 2005. Gli scandinavi giungono con questo Death’s-Head Hawkmoth -che, a titolo squisitamente informativo, per chi non lo sapesse come il sottoscritto, è il sostantivo inglese di quella “Sfinge testa di morto” sgargiante, piazzata così, in primissimo piano, nel fronte della copertina- al proprio quinto full-length, e lo fanno passando dall’austriaca Napalm Records, con cui quattro anni fa era uscito il loro più recente lavoro, Shit City, all’ala protettrice della tedesca Stickman Records. Una label, quest’ultima, che, se si esclude quanto svolto fino ad ora con la leggenda norvegese Motorpsycho, sta effettuando con altre band (relativamente) giovani un lavoro eccellente sotto il punto di vista della produzione, contribuendo certamente al “recupero” di sonorità d’antan, e che poco hanno in comune con il termine “innovazione”, mescolando le carte in tavola, rivedendole e rivisitandole in chiave contemporanea nella modellazione dei suoni e nelle soluzioni musicali che troviamo all’interno dei vari platter. Ad esempio, non si può non citare il fiore all’occhiello di questa etichetta, l’eclatante ultima fatica discografica partorita in casa Elder, Reflections of a Floating World, seguita a ruota dallo strepitoso III, ultimo gioiellino della compagine polacca (Varsavia) che risponde al nome di Weedpecker, uscita dal sottosuolo dell’autoproduzione recentemente proprio grazie all’occhio/orecchio vigile, anche ai trend di mercato, dell’etichetta di Amburgo. Non c’è che da levarsi il cappello al cospetto di questa sensibilità artistica.

I complimenti a questa realtà discografica, però, non si esauriscono qui, perché chi desiderasse avere una panoramica più completa del suo roster dovrà aggiungere al proprio taccuino, volente o nolente, questo Death’s-Head Hawkmoth.
Sono trascorsi otto anni dal validissimo Blues for the Dead (titolo-tributo ai numi apprezzabilissimo), un esordio che faceva del proprio punto di forza l’alternanza fra i riff schiaccianti di matrice rock primigenio del leader Tomas Brenna e la poca, seppur intensa, psichedelia presente (si prendano come esempio A Tale of a Madman e Stick with Your Plan). Negli anni sono cambiate le etichette, ma la formula non è mutata sino al subentro proprio della Stickman Records. Chiariamolo subito: i nostri non hanno cominciato quest’anno, tutto a un tratto, a praticare un altro genere. La formazione è semplicemente maturata, ha concentrato le proprie idee in un numero inferiore di tracce, allungando il minutaggio di ognuna, arricchendo ogni brano di spunti meritevoli, ma che sempre nel rock gravitano. E se proprio volessimo stilare un eventuale trittico esemplificativo volto a simboleggiare la già citata casa tedesca, potremmo senza esitazione affermare come gli Elder rappresentino la fazione “progressive” dello stoner attuale (in senso lato), i Weedpecker quella “heavy-psych”, che non mi stupirei perdesse quei pochi residui della corazza stoner già dalla prossima uscita, ed infine i Lonely Kamel, quelli che fra i tre “fratelli d’etichetta” mantengono anche in questo platter un legame solido con le radici del rock settantiano e, in minor misura, con l’hard’n’heavy motorheadiano, elemento, quello della lezione di Lemmy, distintivo dai due “gruppi fratelli” e sempre onnipresente anche nelle uscite precedenti del trio nordico. Ed è questa maleducazione molto contenuta e sottile, a distinguerli da Elder e Weedpecker, eleganti come pochi altri in questo panorama (teoricamente) senza fronzoli.

Senza soffermarci sofisticamente sul titolo del primo brano, Fascist Bastard, i Lonely Kamel trasportano l’ascoltatore con un fraseggio dai sapori southern in un vortice di suoni ovattati, trascinato da massicci riff stoner, da cori ubriachi, dalle corde vocali di Tomas Brenna, calde e scorticate allo stesso tempo, e da quello stacco spacey interstellare a 4.18 che precede l’assolo malinconico del mattatore della sei corde. Se dopo il primo pezzo siamo ancora in cerca di conferme per continuare l’ascolto, diamo tempo giusto altri venti secondi ai nostri e alla loro maestria nella gestione del binomio “stacco / ripartenza”, per potere assaporare il boogie-fuzz di Psychedelic Warfare e la carica adrenalinica posta fra le battute di Espen Nesset e la semplicità tecnica che si esalta in quel giro di un paio di accordi, valorizzanti la “stoppata” chitarristica. Move On è una traccia breve, i cui rumori e fruscii ci conducono al cuore del platter, sgorgante qualità, il cui primo battito è scandito da Inside, figlia del duo Wyndorf / Mundell di una remota Golden Age (solo a pensarci, c’è il rischio che scenda la lacrima…) con un serie di arpeggi sparsi che approdano a chorus e altri brevi soli di chitarra emozionanti. E se questa era la “calma”, ora arriva, come da manuale, la “tempesta”, quella motorheadiana. More Weed Less Hate, con partiture e ritornello fino a 3.15 illuminate dall’astro di Lemmy, ma in una versione estremizzata nella pastosità dei suoni, che si conclude con un altro stacco (il terzo dell’album) accattivante, groovy e zeppeliano. E se con la penultima Inebriated si avverte formalmente un calo qualitativo dovuto al perpetrarsi di un riff “valvole e testata”, non si può cambiare opinione complessiva sulla traccia grazie al fugace assolo e il ruggito del quattro corde di Stian Helle. Era questo il brano più debole del lotto? Può essere, ma l’ispirazione dei tre non vuole andarsene mai del tutto. Ed è la volta, infine, della conclusiva The Day I’m Gone, e qui le vette della Musa ispiratrice si assestano sui livelli del precedente, in tutti questi dieci minuti didascalici, sorretti da un altro (l’ennesimo) riff “stoppato” cangiante e dalle solite cascate di assoli nocivi per sinapsi e neuroni.

Con le valvole degli ampli che ancora friggono, che esondano calore, si conclude quest’esperienza di stoner rock molto trasversale. E qui si pone sempre lo stesso quesito, rivolto all’utilità di questi album. Manca la magia, manca l’elemento che spacca i canoni e ne determina di nuovi, ma non si può negare (sarebbe ipocrita affermare il contrario) che questi ragazzi, e con loro tutto questo circuito di band, abbia considerevoli doti di songwriting e abbia confidenza assoluta nei propri mezzi. I Lonely Kamel confezionano la loro quinta fatica discografica nel migliore dei modi, consegnandoci un disco che, per innovazione in questo genere, rivendica una collocazione non troppo distante da quella dei suoi compagni di etichetta, su un podio virtualmente installato per tributare il dovuto merito alla qualità.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2018
Stickman Records
Stoner
Tracklist
1. Fascist Bastard
2. Psychedelic Warfare
3. Move On
4. Inside
5. More Weed Less Hate
6. Inebriated
7. The Day I’m Gone
Line Up
Tomas Brenna (Voce, Chitarra)
Stian Helle (Basso)
Espen Nesset (Batteria, Lap Steel)
 
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