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Foreigner - With the 21st Century Orchestra & Chorus
24/06/2018
( 1301 letture )
Il disco con l’orchestra. Una iattura senza fine del mondo del rock. Salvo rarissimi casi che possono contarsi sulle dita di una mano, tutti i tentativi compiuti di dare un senso a questa collaborazione hanno lasciato perlopiù indifferenti quando non apertamente ostili, tanto i fan quanto la critica. Quasi sempre infatti la componente orchestrale finisce per cercare di incastrarsi in arrangiamenti che non sono fatti per lei, in composizioni che non hanno bisogno del suo intervento, finendo quasi sempre solo a svolgere un ruolo di sottofondo o, peggio ancora, a riempire vuoti che in realtà nel rock sono fondamentali quasi quanto i pieni, riducendo i contrasti e ornando di inutili, oziosi e pesanti svolazzi brani che dovrebbero invece esaltarsi e approfondirsi. Non c’è da stupirsi che col tempo abbiano sostanzialmente lasciato spazio ad una curiosità di maniera che sa di speranza destinata ad esaurirsi senza lasciare quel segno nella carriera delle band che sarebbe lecito attendersi in considerazione dello sforzo organizzativo ed esecutivo che il tutto comporta.
A tentare la carta questa volta sono i Foreigner, storica band statunitense che ha superato ormai i quarant’anni di esistenza e che, assieme a Boston, Survivor, Journey e Toto, costituisce un meraviglioso quintetto di assi in ambito AOR a stelle e strisce. Certo di quella storica formazione che comprendeva, oltre allo storico chitarrista e compositore Mick Jones, anche il carismatico frontman Lou Gramm e il polistrumentista Ian McDonald (ex King Crimson), ormai resta il solo Jones e, in questi quarantadue anni la band ha cambiato più musicisti di quanto sarebbe auspicabile, compreso il poco duraturo ritorno di Gramm. Questo non toglie che si tratta comunque di un gruppo tra i più importanti e fortunati provenienti dalla scena ottantiana, con oltre settantacinque milioni di copie vendute nel mondo e una lunga serie di singoli di grande successo, che pure sembra aver rinunciato a proporre nuova musica, dato che l’ultimo disco di inediti da studio, Can’t Slow Down, risale ormai al 2009. Cosa attendersi quindi da questi campioni del rock, alle prese con una vera orchestra, con tanto di coro?

Il concerto è stato registrato al KKL di Lucerna, in Svizzera, il 20 e 21 maggio del 2017, in una cornice sonora praticamente perfetta, che esalta, oltre alla band, anche la 21st Century Orchestra, composta da 58 elementi e da un coro di 60 voci e diretta da Ernst van Tiel. E’ giusto cominciare la disamina sottolineando come in questo caso, forse più che in altri, la visione della parte video assume un ruolo fondamentale per cogliere appieno il senso e la riuscita dell’operazione. Il contributo dell’orchestra, infatti, rischierebbe diversamente di perdere parte del suo indubbio fascino, dato che, come da tradizione, salvo rari momenti nei quali diventa improvvisamente protagonista -guarda caso però in solitaria-, per il resto si trova perennemente nello scomodo ruolo di spalla ad una band che viaggia benissimo e che tutto sommato non ha nessun bisogno del suo contributo. Questo è un aspetto che conferma appieno tutti i pregiudizi sul tipo di progetto in questione e la povera 21st Century Orchestra & Chous non può che ritrovarsi a seguire un copione ormai consolidato, che perlomeno viene visivamente compensato dal buon lavoro compiuto in fase di regia. Pur concentrandosi molto sul gruppo, infatti, la scelta delle inquadrature non lesina i giusti meriti anche agli orchestrali. Similarmente alle scelte visive, così quelle relative al mixaggio spingono molto il lavoro del gruppo, ma riescono a non adombrare il lavoro compiuto in fase di arrangiamento, con una ricchezza espressiva meritevole. E’ qui che si gioca il tutto della collaborazione: se escludiamo infatti la trionfale Overture, nella quale vengono mescolati il Dies Irae con la versione orchestrale di Juke Box Hero (che sarà ripresa ed estesa in apertura del brano) e un’emozionante intro di When It Comes to Love, per il resto l’orchestra gioca essenzialmente un ruolo di accompagnamento e, in effetti, considerando le molteplici armonizzazioni compiute dalla stessa band, in particolare la funzione del coro (sessanta elementi) sembra piuttosto marginale ed è un peccato, perché quando sale in cattedra la differenza si nota eccome. Scorrere di conseguenza una per una canzoni che hanno fatto la storia del Rock apparirebbe tutto sommato abbastanza superfluo: cosa aggiungere ad una Cold As Ice o a Waiting for a Girl Like You? Semmai, è giusto sottolineare le versioni che più si esaltano dalla collaborazione e queste sono senza dubbio Say You Will, When It Comes to Love, That Was Yesterday con quegli archi così in evidenza, la meravigliosa Starrider che urla al capolavoro assoluto (ma anche in questo caso, che senso ha far suonare l’intro di flauto traverso al pur bravissimo Tom Gimbel avendo un’orchestra a disposizione?), con gli archi e il coro a lanciare un refrain che fa letteralmente venire i brividi; ancora, la terremotante versione da dieci minuti di Juke Box Hero con tanto di intro simil-Carmina Burana e assolo di violoncello iniziale, l’ottima Feels Like the First Time e la grandiosa versione di Double Vision. Abbastanza peculiare invece la scelta di Fool For You Anyway che col suo andamento blues/soul cozza clamorosamente con tutto il resto del mood espressivo del disco e con la presenza dell’orchestra, pur essendo alla fine uno dei brani più trascinanti dell’album, con quattro orchestrali trasformati con tanto di look alla Blues Brothers -così come nella successiva Urgent-ed impegnati a ricreare una sezione fiati R&B, lasciando però ancora a Gimbel lo spazio dell’assolo di sassofono. Allo stesso modo, colpisce la diversa scaletta della versione video, con tre brani in più peraltro, che riflette uno sviluppo più organico dell’esibizione rispetto a quella del doppio CD, che vede nella prima parte una forte concentrazione di ballate, col risultato di renderne più pesante l’ascolto e di provocare un fastidioso effetto “salto” tra un brano e l’altro. In effetti, anche vedere la band che si “scatena” in prima fila come ad un normale concerto rock, con un Pilson davvero incapace di stare fermo, rispetto alla compassata orchestra alle spalle e al solenne coro nella balconata sopra, è davvero divertente e crea un contrasto che merita di essere apprezzato, così come la grande ed entusiastica partecipazione del pubblico. Una connessione che raggiunge il climax nell’esecuzione di I Wanna Know What Love Is con tanto di ritornello encore cantato a gran voce da tutto il teatro: uno spettacolo che probabilmente all’orchestra sarà apparso qualcosa di incredibile. Resta infine un nodo da sciogliere ed è quello di Kelly Hansen: il suo è un ruolo scomodissimo, perché sostituire “LA” voce di Lou Gramm è un compito improbo. Non si può certo dare colpa a lui di questo e il suo impegno in questi sedici anni di “supplenza” non può essere derubricato come secondario. La sua è comunque una bellissima voce rock, tinta di soul e con una estensione piacevolissima, dotata di una versatilità encomiabile. All’altezza dei suoi cinquantasette anni il cantante tiene il pubblico con grande trasporto e qualità, aiutato in questo dal carismatico Jones e nel complesso la sua può essere definita una performance eccellente, sotto tutti i punti di vista. Non è Gramm, ma questo è tutto quello che gli si può imputare.

Come per altri album del genere, è inevitabile riconoscere che siamo di fronte ad un lavoro di proporzioni enormi. Inutile girarci intorno: far girare un’esibizione rock con una orchestra di quasi centoventi elementi è un’impresa mastodontica. Naturalmente, se si vuole che la cosa funzioni e non risulti patetica. I Foreigner e la 21st Century Orchestra & Chorus riescono nell’impresa di dare un senso a questa esibizione dall’inizio alla fine, toccando in qualche caso dei livelli anche molto alti di coinvolgimento. Non che questo derivi dall’interazione tra gruppo e orchestra, che comunque raggiunge momenti di reale valore aggiunto solo in qualche occasione, quanto piuttosto dall’elevatissimo livello di professionismo messo in campo e anche dal contrasto tutto sommato non stridente tra l’AOR proposto dagli statunitensi rispetto agli arrangiamenti creati dall’orchestra. La sensazione finale è comunque positiva, specialmente rispetto alla visione della versione video, ma nel complesso restiamo di fronte al dubbio che il tutto sia abbastanza superfluo, che questa operazione non fosse poi così necessaria, se non nell’ottica della band di sfidare se stessa e la propria musica, dimostrando di essere ancora vitale e capace di qualcosa di inaspettato. Risultato questo ottenuto in pieno, ma che resta un po’ autocelebrativo e autoindulgente. Siamo comunque ancora nel campo delle prestazioni riuscite ed è giusto riconoscere alla 21st Century Orchestra & Chorus una parte rilevante in questo. Acquisto consigliato per i fan dei Foreigner, senza dubbio. Consigliato agli amanti di questo tipo di operazioni, proprio per essere uno degli episodi meglio riusciti nel campo. Consigliato infine ai curiosi o a chi volesse approcciare la band per la prima volta, dato che sostanzialmente abbiamo un Best of Live “particolare”, che potrebbe incontrare il favore di molti, salvo poi concentrarsi sugli ancora insuperati classici, con Gramm alla voce.



VOTO RECENSORE
74
VOTO LETTORI
77 su 1 voti [ VOTA]
Alessandro bevivino
Martedì 26 Giugno 2018, 12.34.17
1
Interessante, proverò a dare un'occhiata, ascoltata.
INFORMAZIONI
2018
earMUSIC
AOR
Tracklist
1. Overture
2. Blue Morning Blue Day
3. Cold As Ice
4. Waiting For A Girl Like You
5. Say You Will
6. When It Comes to Love
7. That Was Yesterday
8. Feels Like the First Time
9. Starrider
10. Double Vision
11. Fool For You Anyway
12. Urgent
13. Juke Box Hero
14. I Want To Know What Love Is
Line Up
Kelly Hansen (Voce)
Mick Jones (Chitarra, Tastiera, Cori)
Bruce Watson (Chitarra)
Tom Gimbel (Chitarra, Tastiera, Sassofono, Flauto Traverso, Cori)
Michael Bluestein (Tastiera)
Jeff Pilson (Basso, Cori)
Chris Frazier (Batteria)

Musicisti Ospiti
21st Century Orchestra & Chorus
 
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