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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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Ring Van Möbius - Past the Evening Sun
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13/07/2018
( 1414 letture )
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"Progressive rock direttamente dal 1971, ma suonato oggi"
Questa frase introduttiva racchiude in otto parole tutti i concetti, le melodie e le idee che hanno portato i Ring Van Möbius al rilascio del loro primo album in studio: Past the Evening Sun. Prog è sinonimo di innovazione, sperimentazione, rottura degli schemi tradizionali. Cosa accade però se un lavoro che sarebbe stato rivoluzionario nel 1969, negli anni di In the Court of the Crimson King per intenderci, viene rilasciato oggi, a 49 anni di distanza? Non è possibile utilizzare lo stesso metro di giudizio. La premessa che è doveroso fare oggi è questa: la recensione tiene conto di una tradizione progressive che ha attraversato mezzo secolo giungendo ai giorni nostri, passando per band come Yes (da cui i Ring Van Möbius hanno tratto l’idea per il font e per lo stile della copertina), Van der Graaf Generator, King Crimson e addirittura Pink Floyd, gruppi da cui il trio norvegese ha attinto a piene mani. Sottolineo la parola trio perché la grande assente dell’album è la chitarra: ci sono in ogni caso le immancabili tastiere, l’iconico organo Hammond, la voce, la batteria e il basso, che è incaricato di sostituire la sei o dodici corde.
La title-track, che occupa più della metà dell’album, è una suite di quasi ventidue minuti, soluzione largamente adottata dai gruppi sopra citati: si pensi ad esempio a Close to the Edge, ma anche a molte altre tracce di quegli anni. La canzone è il classico incipit prog rock anni ’70, molto eterogenea, forse troppo. Vi si distinguono almeno cinque o sei parti differenti, tanto che forse sarebbe stato meglio dividerla in più pezzi singoli. Lo stile viaggia per tutto il Regno Unito di quegli anni attraversando le atmosfere care ai Led Zeppelin e ai Pink Floyd, ma cercando eccessivamente di emulare quel modo di suonare e cantare e di conseguenza difettando anche di personalità. A causa dell'assenza della chitarra, l’ascolto non è leggero e fluido, ma le ottime esecuzioni dell’organo Hammond e del basso ci accompagnano durante questa traccia confusionaria e a tratti sconclusionata. Superata la metà dell’album con l’ascolto di appena una canzone, ci si appresta ad ascoltare End of Greatness, la più breve del lotto, appena 6 minuti. L’atmosfera è pomposa, e si attende per tutta la durata della traccia che giunga un assolo di chitarra, il quale però non arriva. Insomma, immaginate lo stile e i ritmi di Echoes ma senza David Gilmour. Ritroviamo con piacere lo sperimentalismo crimsoniano nei dodici minuti conclusivi di Chasing the Horizon, una danza gioiosa di tastiere condita con sezioni frenetiche di batteria. Questi momenti di ottimo prog purtroppo sono sempre alternati agli stessi ritmi blandi e melensi che abbiamo già sentito nel primo brano. L’ascolto non è scorrevole, dato che non si giunge mai al climax dell’album.
Il trio ha del potenziale inespresso ma viene sicuramente tradito da un’eccessiva fedeltà ai canoni del genere nel quale si va ad inserire, ovvero, come già detto, il prog rock settantiano di matrice britannica. Il lavoro appare incompleto, poiché il basso non riesce a sopperire completamente alla mancanza della chitarra. Soltanto le tastiere e l’organo riescono a salvare la qualità dell’album. Il cantato di Thor Erik Helgesen è in perfetto stile prog britannico, che è quello che la band cerca di ricreare e in questo centra pienamente l’obiettivo. Tuttavia, sembra di sentire il Roger Waters degli albori: un po’ di personalità in più, anche qui, non avrebbe guastato. Per quanto riguarda la produzione, la band si è affidata alla consolidata esperienza della Apollon Records, casa discografica norvegese che ha sfornato innumerevoli album progressive negli anni. L’incisione è buona, adeguata a ricreare le sonorità retrò tipiche del periodo. Nel complesso, però, la realizzazione è canonica e fin troppo legata agli schemi, a tratti persino ampollosa e la scelta di non inserire la chitarra è decisamente discutibile.
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2
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Ma infatti non dico che non si possa fare un disco senza chitarra, stavo parlando di QUESTO disco, non in generale. I VDGG non si toccano, infatti non paragonerei questi neonati ring van moebius ai sacri mostri del prog. L'intento della mia critica era: "Questo disco in particolare, senza l'uso della chitarra, è pesante" non parlavo in generale. L'hai ascoltato? potremmo avere lo stesso parere |
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1
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Vorrei solo ricordare che gli immensi VDGG nella loro carriera hanno usato pochissimo le chitarre. Peter Hammill nei primi 2/3 dischi suona solo qualche parte con chitarra acustica, ma nel loro capolavoro "Pawn Hearts "del 1971 non c'e' una singola nota di qualsiasi tipo di chitarra. Nella seconda metà dei 70 Hammill fara' largo uso di chitarra elettrica dedicadogli anche una suite. Lasciamo perdere l'ultimo periodo recente senza David Jackson |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Past the Evening Sun 2. End of Greatness 3. Chasing the Horizon
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Line Up
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Thor Erik Helgesen (Voce, Organo Hammond, Tastiere) Håvard Rasmussen (Basso) Dag Olav Husås (Batteria)
Musicisti Ospiti: Karl Christian Grønhaug (Sassofono)
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RECENSIONI |
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