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High on Fire - Death is This Communion
14/07/2018
( 2331 letture )
Sin, sex, bad intent, making sure the money’s spent
Watching as your dollars turn to dimes
Death tax, broken backs, time has come to wield the axe
Paying for the check and all your crime


Verso gli anni ‘20: tra classifiche...

Detesto stilarle, le classifiche. Si rischia di avventurarsi in discussioni sterili, si rischia di accendere dibattiti dove a parlare e a gridare vendetta dovrebbe essere solo la musica e, ultimo ma non ultimo, si rischia di compromettere il valore assoluto di un’opera, sminuendola oppure sopravvalutandola, a seconda dei casi. Tuttavia, trovandoci oramai a metà inoltrata del diciottesimo anno di vita del Terzo Millennio, è il caso di iniziare a stilarla, una classifica, perché un ventennio è quasi volato, da quella data a due zeri. Non per stabilire la propria opinione, ma proprio per capire se le opinioni degli ascoltatori convergono su di un focus comune. Focus che potrebbe essere, per esempio, semplificando e banalizzando, “le band fondamentali dell’ultimo ventennio”. Per “fondamentali”, si intendono quelle formazioni che hanno segnato il sacro verbo del metal contemporaneo, tenendolo (anche) in vita. Coloro che hanno fatto un passo, due passi o tre passi avanti rispetto a formazioni che hanno concluso la loro evoluzione ancora nel millennio scorso, o ad altre che hanno cessato di esistere o ad altre che hanno preso derive non proprio pertinenti col metal.

Detesto stilarle, le classifiche, soprattutto quando si vuole inserire una band, alla quale al suo background e alla sua attitudine ci si è affezionati. Si corre il rischio di essere poco oggettivi e/o di incappare in sentimentalismi poco affidabili. Non farò nessuna classifica a mo’ di lista della spesa, mi limiterò semplicemente a dire, anzi, a suggerire, a coloro che intendono approfondire il capitolo del cosiddetto “metal contemporaneo” (in senso lato), di prendere altamente in considerazione gli High on Fire di Matt Pike, creatore e precursore di certe sonorità sin dai primissimi anni ‘90, ora tornato totalmente alla ribalta con i suoi Sleep (The Sciences). Prendendo in esame solo questo Death is This Communion, c’è chi nelle loro trame ritmiche ci sente i grezzi assalti dei Motorhead (Rumors of War, Cyclopian Scape), c’è chi ci sente la diabolicità e la complicità dei primi Celtic Frost che impantana l’atmosfera generale dell’opera, c’è chi ci sente gli assoli caustici di Kerry King (Fury Whip, Turk, Cyclopian Scape) e chi, invece, un heavy metal “abusato” nei canoni (Return To NOD in particolar modo). Tutti hanno ragione, nessuno ha torto... ed è qui che risiede la peculiarità dei fumi acidi emessi da album come questo Death is This Communion, al quale, oltre un decennio fa, spettò l’infame compito di succedere al manifesto di malvagità e perversione intitolato Blessed Black Wings. Perché album come quelli sfornati dalle valvole incandescenti del leader, ancora prima della composizione vera e propria, vengono concepiti con lo scopo di soddisfare la sensibilità dell’ascoltatore di quel tipo di metal (a prescindere dal sottogenere) più intenso, più intransigente, più pesante, più diretto, senza compromessi e privo di mescite intraducibili, seppur presentando al suo interno una stratificazione di suoni e momenti, qui fisiologicamente amplificata (tanto da non sembrare nemmeno più la stessa band in alcune sequenze...), alla quale si accennava nell’ultimo paragrafo della recensione di The Art of Self Defense, unita a una maturità artistica superba, che “trascende” (per usare un eufemismo...) il mero citazionismo fine a sé stesso dei numi tutelari nominati poco sopra.

...e classificazioni

The snakes come slithering
Anarchy
Chaotic hunters rise
Spit in the evil eyes


Amalgama rozza, epica, spietata. Un erede “mestizo” (meticcio) di un certo modo di concepire il metal, un distillato abominevole e volgare fra Motorhead, Celtic Frost, Slayer, l’immaginario lovecraftiano e alcuni passi della Bibbia. Ma cos’è Death is This Communion? Ci sono oggi i mezzi per inserirlo in una corrente specifica? Se ci si appoggia alla definizione/concenzione canonica di doom, sludge e stoner, pertanto alla provenienza musicale di Matt Pike, mi schiererò a favore della seconda via, ma con molte, troppe riserve. Spieghiamoci meglio, perché è proprio l’originalità di questa formazione, e a partire proprio da questo lavoro, a spiccare su tutti gli altri fattori che costituiscono un’opera. Di occultismo coveniano, hammond e vibrati horrorifici pentagramiani, nemmeno l’ombra fra questi solchi aridi e roventi, anzi ci scontriamo spesso, per non dire quasi sempre, con up-tempo thrash e mid-tempo tendenti al death old-school. Lo stoner propriamente detto, il blues bastardo da centro sociale di Sleep’s Holy Mountain, lascia spazio ad innesti acustici di matrice mediorientale (Khanrad’s Wall), che non sfigurerebbero affatto in Mabool. Si prendano questi elementi e si circoscrivano nella stessa atmosfera che ci è stata raccontata, o si è letta nell’Apocalisse di Giovanni. Ora è la volta dello sludge, un genere vasto, se si pensa a quante band diverse fra loro vengono classificate tali, pertanto si dovrebbe capire prima “come” suoni lo sludge. L’atmosfera morbosa propria di questo genere è tangibile nei (rari) rallentamenti, il più rappresentativo dei quali è tutto il monolite che risponde al nome della titletrack, ma permea tutto l’album, in tutto il suo malessere musicato, lento o veloce che sia, grazie alla pesantezza dei suoni, dalle chitarre ai singoli piatti della batteria, riconducibile al suo essere spartano, violento ed essenziale come l’hardcore, ma allo stesso tempo sempre tempestato da elementi doom/heavy, principalmenti negli assoli e in alcuni riff.

Cos’è, allora, questo matassa putrida? Sludge, doom o stoner? La quarta via per la quale si può anche propendere, è classificare questo lavoro heavy metal (qualcuno sicuramente storcerà il naso...), perché il chitarrista e il formidabile asse ritmico Matz/Kensel trascendono, a partire da questo lavoro, i canoni più usuali dell’heavy metal tout-court (sceglietelo voi, l’ABC di questo genere...), sia esso di Sua Maestà o made in U.S., estremizzandolo, conducendolo ad un affanno stilistico, abbracciando uno spettro di generi ventennale (se il conto alla rovescia comincia dal 2007), prendendo le distanze dalla morsa sludge (più comune) degli esordi, ma mantenendo allo stesso tempo legami saldi con l’heavy metal classico, e partoriscono così una creatura rozza e urlante a squarciagola la parola univoca “metal”, appunto. E non può che farlo…tra modernità e tradizione, tracimando classe, perfidia e odio da tutti i pori.

Né vincitori, né vinti

Quando artwork, produzione e contenuto coincidono e dialogano tra loro, si sa, facilitano la lettura, la comprensione e l’interpretazione di un’opera. Contestualizzando a posteriori Death is This Communion, i presupposti per pubblicare un lavoro memorabile nel 2007 c’erano tutti ed erano i tempi, anno più, anno meno, in cui la celebre Relapse Records licenziava Leviathan, The Ritual Fires of Abandonment, Red Album (Baroness, 2007), Open Fire (Alabama Thunderpussy, 2007) e lo stesso Blessed Black Wings. E nonostante il plauso ottenuto dalla critica, la band, consensualmente con l’etichetta, decide di cambiare produttore, passando dal leggendario Steve Albini a un’altra leggenda, a colui che, forse, più di tutti contribuì alla formazione del “suono-grunge”: Jack Endino. Se vi piace come suona Bleach..beh, una parte del merito spetta anche a questo signore qui. Solo che non siamo nel ‘91, e non ci troviamo nemmeno a Seattle. Death is This Communion è un’istantanea di un campo di battaglia, un mediometraggio su un massacro reciproco, che non presenta né vincitori, né vinti, ma solo tutto ciò che consegue da una “semplice” battaglia: mutilazioni, carcasse, avvoltoi e morte. Una visione realista, oggettiva, priva di considerazioni personali o esternazioni frutto della pietà o del dolore per i caduti. Death is This Communion è la colonna sonora di una lunga battaglia, del dolore fisico, delle sue cause e conseguenze. Nulla di più, nulla di meno. E uno dei due schieramenti è capeggiato dal mattatore supremo, Matt Pike, umano dotato della stessa voce di un demone, profana, fin dai sei minuti iniziali di Fury Whip, inconico esempio di “sludge” nei suoni e “thrash” nella ritmica incessante, reso spettrale dai bending del nostro carnefice e dai cori, per non dimenticare le proprie origini hardcore. L’esperimento viene ripetuto con brutalità ancor maggiore nella successiva Waste of Tiamat: brano simbolico, encomiabile, un concentrato di bordate abrasive nella ritmica, dotato di un fraseggio (quello a 2.50) paragonabile alla raffica di un AK-47 e un assolo sommerso fra tapping e legati che si confonde tra cacofonia ed epica improvvisa. Turk prosegue sulla falsariga della doppietta iniziale: un ritornello truce, ma allo stesso tempo anthemico, in quella che è la terza sfuriata del lotto, che precede la danza tribale scaturita dai tamburi minacciosi di Des Kensel (Headhunter). Siamo arrivati a Rumors of War, la quintessenza della lezione motorheadiana nel trio di Oakland e la dimostrazione della versatilità dell’eredità del rocker inglese, Lemmy, fra stop ‘n go e chorus fermi ai primi anni ‘80. Se tutto ciò ascoltato in questi primi trenta minuti scarsi ci è sembrato suonato dal più selvaggio degli orchi (non avete torto..), sappiate che anche queste tre creature bestiali hanno una loro sensibilità (e che sensibilità!), e lo dimostrano nella strumentale epica e commovente DII: una pausa dal frastuono della battaglia in corso, un tributo a chi sta spirando. Ma, come dicevo, per i sentimentalismi non c’è spazio in questo lavoro e si prosegue con la doppietta meno riuscita del lavoro, Cyclopian Scape, contenente l’unico richiamo stoner-psych dell’album, la fuga nel finale, e il groove di Ethereal, una variante dopata dei primi Machine Head, che suona tutto, tranne che eterea. Nonostante questo leggero calo d’ispirazione, ci ripensa l’ultima Return to NOD, con la sua trionfante e battagliera seconda metà sbattuta fra sludge epico, assoli al fulmicotone -e Pike non ne sbaglia uno manco a pagarlo- e ritmiche da headbanging forsennato, con una chiusura che lascia un’incognita sull’esito della battaglia in corso.
Nessun assolo strappalacrime, nessun ritornello immediato; si prosegue solo fra power-chord in dissolvenza, bending appena accennati e palm-muting, tre elementi che hanno fatto sbocciate il fiore “metal”. Appunto, sono stati cinquanta minuti di metal, dei più genuini e, a prescindere dal genere, dei più massacranti.

Quarto passo verso l’abisso... e oltre…

Maturità artistica riconfermata dopo il precedente, strepitoso lavoro, songwriting che pochi detengono e doti tecniche dei singoli eccellenti. Matt Pike non si è mai definito uno sperimentatore, ma possiede quell’innata dote di sprigionare violenza e melodia (tratto quest’ultimo ancora più marcato dal successivo Snakes for the Divine, pubblicato nel 2010 per E1 Entertainment), attingendo a pieni mani da tutto quel metal che non è mai stato contestato, fondendolo in un vortice di classe ed eclettismo, ergendosi a guardiano del nostro genere preferito nella sua declinazione più selvaggia e rudimentale nell’approccio, accontentando ascoltatori provenienti da diversi generi estremi (e scusate se è poco…), ma sempre con un tocco di ricercatezza nelle trame della sua sei corde barbarica. Dove si colloca, dunque, Death is this Communion nella discografia degli High on Fire? Al primo, al secondo, o al terzo posto? E in quella famosa classifica delle migliori realtà metal del XXI secolo, dove potremmo collocarli i Nostri? Non lo so, preferisco usare un vago superlativo relativo, e dire che si tratta di “uno dei migliori lavori” del post-2000. Perché, come dicevo, detesto stilarle, le classifiche.



VOTO RECENSORE
87
VOTO LETTORI
76.1 su 10 voti [ VOTA]
tartu71
Martedì 19 Ottobre 2021, 10.11.12
21
piu' che doom sembrano i motorhead che suonano death metal, devastanti.....90!!
Steelminded
Giovedì 1 Novembre 2018, 12.34.09
20
No, mi sbaglio... credevo fosse death is THY communion, ma mi sbagliavo io...
Steelminded
Giovedì 1 Novembre 2018, 12.32.57
19
Credo ci sia un errorino nel titolo...
Galilee
Giovedì 1 Novembre 2018, 11.13.36
18
X Giaxomo.. Non senti un riff così fico dai tempi di follow the reaper? Nel primo tra dei Kvelertak ho sentito di molto meglio... comunque te lo concedo. L'opening track è proprio fica.
Galilee
Giovedì 1 Novembre 2018, 11.09.54
17
Mi ero sbagliato. Non avevo rivenduto il dischetto in questione, cioè snakes for the divine. L'ho quindi riascoltato un pò di volte, non male di certo, ma rimango sulla mia. Tranne un paio di Song che spiccano il resto rimane un po sottotono. Non brutto, ma sottotono. La produzione e il sound invece sono fichi e sopperiscono in parte a questa mancanza di fondo.
Galilee
Venerdì 20 Luglio 2018, 13.23.15
16
Lo definisco banale perché dal mio punto di vista, il songwriting era debole. Le canzoni partivano bene con ottimi riff, ma non si evolvevano, rimanevano impantanato.. I generi dai quali attingono mi piacciono e li seguo,, ma parlando di canzoni per me non ci siamo proprio. Ora dico questo dopo anni che presi il disco in questione, che tra l'altro rivendetti perché odio tenere dischi deboli in collezione. Però appunto sono anni che non lo ascolto. Proverò comunque a provare con questo e il precedente.
Giaxomo
Giovedì 19 Luglio 2018, 10.34.42
15
Dipesa*
Giaxomo
Giovedì 19 Luglio 2018, 10.34.25
14
@AkiraFudo: Ciao, hai letto il secondo paragrafo? La scelta del genere in fase di inserimento non è dipeso da me!
AkiraFudo
Giovedì 19 Luglio 2018, 8.53.47
13
grande band, ma... doom??!!
Giaxomo
Mercoledì 18 Luglio 2018, 21.51.25
12
@Marco75 @Galilee: premettendo che Marco ha già detto tutto (respect!), SftD non lo definirei il miglior episodio della band (anche se non capisco perché lo definisci “banale”..), ma a mio modo di vedere il genere/ le sonorità della band, non siamo nemmeno a livelli di “carenza compositiva”.. Per dire, un riff come quello che apre il disco non lo sento uscire dalla Scandinavia (o dai lidi metalcore) tipo dai tempi di Follow the Reaper. Se non ti piace il filone extreme power tipo CoB, Norther, Kalmah lascia perdere questa mia provocazione.... A livello di idee le uscite centrali (BBW e DitC) sono le migliori, insieme a Luminifereous. Ma anche sui primi due ci sono ottimi brani! Eccome, se ce ne sono, altrimenti non avrei scritto tutta quella pappardella su TAoSD, che pur riconoscendone personalmente i limiti, non riesco a non ascoltarlo (molto) frequentemente, anche dopo centinaia di ascolti!
Marco 75
Mercoledì 18 Luglio 2018, 12.37.26
11
Mi intrometto nella discussione: Snakes for the divine è un disco superbo, lo trovo migliore di questo nella produzione, i suoni sono più nitidi e si colgono appieno tutte le sfumature del riffing di Pike. Ma Death is this communion si porta dietro un'atmosfera particolare, sognante e cupa, eterea e apocalittica. Ma ogni album degli high on fire è un gioiello a modo suo, in questo sta la grandezza di questa band.
Enrico86
Lunedì 16 Luglio 2018, 23.39.32
10
Secondo me decisamente meglio Snake for the divine
Galilee
Lunedì 16 Luglio 2018, 14.02.08
9
Sicuramente. Ma tu che ne pensi di Snake? A me non è sembrato nulla di che. Poi quando ti aspetti un disco paura e te ne ritrovi uno tra le mani piacevole ma nulla più, fa sempre il suo effetto.
Giaxomo
Lunedì 16 Luglio 2018, 13.52.20
8
@Galilee: quando hai tempo prova con questo e i primi tre. Sappimi dire. Un saluto.
Galilee
Lunedì 16 Luglio 2018, 1.07.31
7
Snakes for the divine. Probabilmente non sono partito con quello giusto.
Giaxomo
Domenica 15 Luglio 2018, 21.42.21
6
@InvictuSteele: arrivo solo ora per i ringraziamenti! Da quello che ho letto qua e là ci saranno novità per il prossimo album, stiamo a vedere! @Marco 75: in sei righe hai riassunto la mia "prima volta" con gli High on Fire (nel mio caso è stata con Blessed Black Wings...): un misto fra ripudio e sconcerto, ma sotto sotto c'era costantemente quella voglia di ricominciare da capo il brano...e per i dieci anni successivi, nove per la precisione, non li ho più abbandonati, e non intendo farlo! Hanno quella capacità di aprirti le strade verso una vasta gamma dei generi estremi, ma non posso nemmeno dire che si tratti di un gruppo "immediato". E grazie per i complimenti! @Galilee: che lavoro hai comprato quella volta? Per curiosità..
Marco 75
Sabato 14 Luglio 2018, 19.22.46
5
Prima di tutto complimenti a Giacomo Favaro per la recensione. Questo fu il primo disco degli high on fire che comprai, ormai più di dieci anni fa. All'inizio mi spiazzó un poco, mi piacevano tre o quattro pezzi al massimo.Ma con gli ascolti mi conquistò lentamente e mi misi immediatamente alla ricerca degli altri dischi del gruppo. Ma solo oggi, a distanza di tanti anni, mi rendo conto di quanto death is this communion, abbia influenzato tutti i miei acquisti successivi di dischi metal. Senza rendermene conto questo disco era diventato la pietra di paragone con cui giudicare tutti gli altri, e oggi è ancora così. Fury whip è per me una delle più belle canzoni metal degli ultimi vent'anni...
Marco 75
Sabato 14 Luglio 2018, 19.22.45
4
Prima di tutto complimenti a Giacomo Favaro per la recensione. Questo fu il primo disco degli high on fire che comprai, ormai più di dieci anni fa. All'inizio mi spiazzó un poco, mi piacevano tre o quattro pezzi al massimo.Ma con gli ascolti mi conquistò lentamente e mi misi immediatamente alla ricerca degli altri dischi del gruppo. Ma solo oggi, a distanza di tanti anni, mi rendo conto di quanto death is this communion, abbia influenzato tutti i miei acquisti successivi di dischi metal. Senza rendermene conto questo disco era diventato la pietra di paragone con cui giudicare tutti gli altri, e oggi è ancora così. Fury whip è per me una delle più belle canzoni metal degli ultimi vent'anni...
Galilee
Sabato 14 Luglio 2018, 17.40.44
3
High on fire di qua, high on fire di la e alle fine mi comprai un loro disco. È ne rimasi deluso assai, visto che era di una banalità sconcertante... boh.. Non era questo.
InvictuSteele
Sabato 14 Luglio 2018, 15.18.58
2
Ciao Giax, recensione inossidabile per un disco inossidabile. Preferisco di pochissimo il debutto, un po' più sludge, ma gli HOF sono e restano una certezza, anche se tendono molto a ripetersi.
Ad Astra
Sabato 14 Luglio 2018, 14.17.06
1
È un album talmente magnifico che a volte lo preferisco alla nutella. Wow!
INFORMAZIONI
2007
Relapse Records
Doom
Tracklist
1. Fury Whip
2. Waste of Tiamat
3. Death is This Communion
4. Khanrad’s Wall
5. Turk
6. Headhunter
7. Rumors of War
8. DII
9. Cyclopian Scape
10. Ethereal
11. Return to NOD
Line Up
Matt Pike (Voce, Chitarra)
Jeff Matz (Basso)
Des Kensel (Batteria)
 
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