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Khemmis - Desolation
15/07/2018
( 2432 letture )
The fog is closing in
Upon a freezing night
Far from the love I’ve known
Give me the strength to carry on


Riflettori nuovamente puntati sui Khemmis, quartetto originario di Denver, Colorado, che ritorna in scena a distanza di due anni dopo gli apprezzamenti ricevuti per la precedente uscita discografica, Hunted, a suo tempo accolta caldamente da critica e pubblico. E sì, anche questa volta ci risiamo, perché la carne al fuoco è davvero molta, a tratti troppa, a tratti sorprendente. Tuttavia, non la si può considerare un complimento, quest’affermazione, e un compimento totale o un arrivo definitivo, questo lavoro... ma procediamo un passo per volta.

Prima di addentrarci nei meandri delle stanze polverose di Desolation, è bene evidenziare quanto il doom, un genere che storicamente nasce e germoglia come uno dei più tradizionali e tradizionalisti dei sottogeneri metal, sia stato declinato negli anni da tutta una serie di artisti, che poco o niente hanno in comune fra di loro. Ed è così che sorge spontaneo porsi la solita questione, non impellente, ma di fondamentale importanza per chi si occupa di questo/i genere/i. Diatribe e dibattiti dalla dubbia utilità prendono vita proprio quando non si è concordi sulla classificazione di un album “x”, o peggio ancora, di una band “y”... ma può succedere pure questo. C’è chi si limita all’ascolto, si lascia trasportare e sorvola certe questioni formali, e c’è chi, per interesse personale, per passione personale, e perché no, per trasmetterla, questa passione, prova a ricostruire non una scena, ma un genere intero, cercando di normalizzarlo. Perché come si accennava all’inizio della recensione dell’ultimo lavoro di casa Orange Goblin (The Wolf Bites Back), non è solo lo stoner a necessitare di alcune “spiegazioni”, data la sua espansione pentagrammatica, non più ridotta al trinomio “valvole/deserto/pejote”, ma pure il doom. Non c’è bisogno di un critico professionista per comprendere, perlomeno la differenza formale che intercorre fra una Into the Void (Master of Reality), una Dying Inside (Born Too Late), una Solitude (Epicus Doomicus Metallicus) o fra una Paradise Belongs to You (Paradise Belongs to You) e l’avanguardistico, quanto rudimentale riffing di Gateways of Bereavement (Dance of December Souls). Ho pescato cinque esempi tra i più celebri brani del genere... appunto, del genere. Ma che genere? Lecito porsi le seguenti domande: cos’hanno in comune il secondo esempio con il terzo o il secondo con il quarto? Una sentenza la possiamo pure emettere: il doom è vasto e sicuramente ha ancora ampi margini espressivi, ma se in esso si trovano band che a livello prettamente sonoro presentano pochi elementi analoghi, è, tuttavia, accomunato da una vicinanza a livello testuale e ritmico (strutture spesso semplici e mediamente lente, ripetute allo stremo, con rari cambi di tempo, ma dannatamente efficaci e dal forte impatto emotivo). Potranno pur sembrare affermazioni banali, ma nessuno tra di voi è rimasto sconvolto quando ha visto accostati Saint Vitus (o Pentagram, o Cathedral, se preferite) con Saturnus e My Dying Bride?

Accantonando questa riflessione, occupiamoci di questo lavoro e osserviamo l’artwork, che ha un po’ riportato alla mente di chi sta scrivendo il gioco da tavolo della serie Dungeons & Dragons e tutto il filone videoludico sorto sulla scorta di questo universo fantasy. Opera, questo Desolation, che viene inserita nell’ambito dell’epic doom metal, sottogenere che in questo primo semestre ha già visto uscire altri due buonissimi prodotti discografici dall’Inghilterra ad opera di King Goat (Debt of Aeons) e Solstice (White Horse Hill, pubblicato per Invictus Productions). Anticipato dai singoli Isolation e Bloodletting, solcanti i lidi musicali esplorati sia nel lavoro precedente, sia dai connazionali Pallbearer, sfortunatamente (o fortunatamente, dipende dai punti di vista) i pregi e i difetti di questo lavoro rimangono gli stessi palesati nel precedente Hunted, ma con alcune differenze. Assistiamo ad un rallentamento complessivo dei singoli brani, le influenze maideniane sono presenti ora solo nell’impianto e gli intrecci vocalico-chitarristici (purtroppo) sono gli unici protagonisti -e ce ne sono a fiumi, qui- , a volte coerentemente e saggiamente, a volte in un modo spudoratamente inopportuno ed egocentrico. Siamo sicuri che la coppia Hutcherson/Pendergast si sia presa tutti i suoi rischi in fase di composizione/produzione, mentre andava ad incidere un’opera costituita da un’architettura sicuramente originale, ma con una falla considerevole, prima su tutte il fatto di poggiare le basi di questo full-length sulla fase solista delle due sei corde, tratto in comune con i due lavori precedenti. Nessuno critica l’iniziativa in sé, perché è giusto che ogni tanto qualcuno evada dalla classica forma-canzone alla quale siamo soliti indulgere. Il problema è l’esito alquanto ispido e interlocutorio, soprattutto visti i picchi (elevati) raggiunti in alcuni brani o in frangenti isolati. Come se non bastasse, l’ascoltatore deve includere una mole pressoché sterminata di ascolti, per comprendere pienamente ogni passaggio e sfumatura di questo Desolation. Questo principalmente a causa della mancanza della centralità del “riff”: elemento che non è più perno del brano, ma supporto e attimo di transizione. La fase ritmica cade a discapito di quella solista. Questo è Desolation, se dovessimo riassumerlo in poche righe. E fin dal mid-tempo d’apertura, Bloodletting, si percepiscono queste trame soliste, sovrastanti la classica struttura annichilente del genere, che stentano a lasciare il segno, se non fosse per le clean vocals di Pendergast, autore di una prestazione maiuscola e protagonista ancor di più di tutti questi intrecci chitarristici. Chi è cresciuto a pane e The Jester Race non farà fatica a notare un’analogia parecchio evidente tra i dialoghi imbastiti da Pendergast/Hutcherson e quelli di ascendenza strömbladiana, nella seconda Isolation, episodio tra i migliori del lotto, insieme alla successiva, memorabile Flesh to Nothing. Tappeti ritmici malinconici sposano un cantato commovente in sette minuti di encomiabile doom/pop-rock, fuso in liriche e assoli di elevata caratura artistica, passionali e struggenti allo stesso tempo. Il quarto tassello, The Seer, è il brano più canonico dell’opera, e il preferito di chi scrive: la modalità espressiva non cambia, i Nostri lavorano su di un riffing cupo che si adatta all’alternanza clean vocals (Pendergast)/harsh vocals (Hutcherson) ed è chiuso da un lavoro ritmico/solista ipnotico (pensate alle cavalcate dei cugini Sorvali o alla conclusione epocale di The Night and the Silent Water): una ninna nanna che conduce verso sonni eterni. Di contro, la doppietta conclusiva Maw of Time / From Ruin, cancella con la sua durata quanto di buono è stato detto fino a questo momento, a causa di un guazzabuglio intraducibile cosparso di assoli al fulmicotone (perché?), growl che si innesta nei momenti più soavi e inopportuni (perché?) e che, complessivamente, mai regge il confronto con la controparte “pulita”, non un riff segnante, non una nota che stupisca, non un momento da riascoltare (i primi due minuti di From Ruin?) e dove è la noia, a far da padrona.

Desolation è un lavoro ambizioso, ma come tutto ciò che è ambizioso, può essere anche acerbo. Il mood-doom è un mezzo dentro il quale viaggiano diversi generi come heavy, melodeath e progressive. Veicolo versatile, trasversale, le cui potenzialità sono state sicuramente comprese dai Khemmis, che danno vita a un lavoro innovativo sotto un certo punto di vista (Flesh to Nothing), almeno per questo genere, e per metà della durata sfiora una qualità da tenere in considerazione (Isolation, Flesh to Nothing, The Seer). Poi sopraggiunge la persistenza di voler continuare a scrivere brani retti su fraseggi solisti, pedanti e stucchevoli, che vorrebbero essere strazianti, ma che sbattono solo la testa contro clichés, noia e la “superbia” del duo d’asce, riducendo il tutto ad un livello nella media, facendo affossare tanti buoni propositi ad un mediocre “rimandato” (e poco più). Perché da qui all’essere l’album doom dell’anno...beh, deve passarne ancora, di acqua sotto i ponti. E riflettiamo un secondo. Esistono i Khemmis senza Phil Pendergast, o è lui stesso a rappresentare l’essenza della band, nel bene o nel male?



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
74.9 su 10 voti [ VOTA]
entropy
Giovedì 18 Ottobre 2018, 14.04.16
14
per quanto mi riguarda, al di là del discorso sull'originalità che per il genere proposto secondo me non è troppo importante, quest'album mi ha conquistato. Anzi l'unica cosa un po' "originale", cioè il growl , sarebbe l'unica che avrei eliminato. Per il resto un ottimo album heavy, con spruzzatine di epic/doom che continua a girare sul mio stereo da un paio di mesi senza stancarmi, diciamo che al contrario del recensore la seconda parte del disco non è mi è sembrata così di minor qualità Voto 80
duke
Giovedì 9 Agosto 2018, 20.48.31
13
buon disco...
Salvo
Martedì 24 Luglio 2018, 21.21.28
12
Su un noto portale concorrente è top album da una vita In realtà è un disco discreto, nulla di più.
Giaxomo
Lunedì 16 Luglio 2018, 17.23.57
11
@Graziano: ho visto la luce con questo commento... Ti ringrazio.
Graziano
Lunedì 16 Luglio 2018, 14.45.34
10
Album pompatissimo dalla critica ma sinceramente non ci trovo tra le note questo gran miracolo, e nonostante il disco mi piaccia. Quando poi leggo in giro che son innovativi allora mi viene un po' da ridere. Son vent'anni o forse più che ci sono band simili in europa. In USA se ne sono accorti adesso. Voto 7,5.
Giaxomo
Domenica 15 Luglio 2018, 22.36.43
9
@No Fun: no no, quell’affermazione era generica, estesa a tutte queste sei tracce ascoltate e riascoltate fino allo sfinimemto, per non so quante volte, prima di cominciare a scrivere qualcosa...e nel frattempo la lista degli album da ascoltare è salita!
No Fun
Domenica 15 Luglio 2018, 22.20.54
8
@Giax no ma come ti dicevo non è questione di "a che genere appartiene questo album" È solo che la frase "poi sopraggiunge la persistenza di voler continuare a scrivere brani retti su fraseggi solisti, pedanti e stucchevoli, che vorrebbero essere strazianti, ma che sbattono solo la testa contro clichés, noia e la “superbia” del duo d’asce, riducendo il tutto ad un livello nella media" io la sottoscrivo in pieno, ma è che la sottoscriverei per il 90 per cento dei gruppi che fanno heavy per questo alla fine non mi sembravano poi così male neanche le ultime tracce... e quando ho sentito che questi Khemmis oltre a questo avevano anche qualche interessante sfumatura doom che risalta nelle parti più semplici, che sono le migliori come dici tu, allora ho pensato che dai, si poteva dire che il disco alla fine non fosse male.
Giaxomo
Domenica 15 Luglio 2018, 21.23.56
7
@No Fun: Ehilà, preferisco rispondere separatamente! Ho vacillato anche io fino alla fine, però come ti dicevo a suo tempo sotto "The Sciences", per scelta redazionale, preferiamo etichettare album con un genere singolo (quello che prevale sul resto, per capirci...), eccetto gli ibridi "assodati", chiamiamoli così. Io stesso ho spiegato la mia scelta nel secondo e quarto paragrafo. Sull'album: la sensazione, maggiore rispetto al passato, è quella di avere a che a fare con dei grandi esecutori, ma è proprio questa esagerazione da parte dei chitarristi che irrita sul lungo periodo...e ti posso garantire che è l'album a cui ho dedicato più tempo in questo semestre abbondante. E paradossalmente, i picchi vengono raggiunti nelle parti più "semplici", tecnicamente parlando (The Seer).
Giaxomo
Domenica 15 Luglio 2018, 20.22.01
6
@Lizard: ti ringrazio per l'ntervento, Saverio. @SuperDoc - 60: Ciao! No, ti posso garantire che non volevo giocare al ribasso o far vedere, scolasticamente parlando, che sono "avaro" in fase di valutazione (basta che dai un occhio alla mia pagina e ti levi ogni dubbio..😉. Cerco semplicemente di rimanere il più oggettivo possibile, accantonare ogni tipo di sentimentalismo, mettere in luce pro e contro di un'opera e rapportare un lavoro in studio (demo/EP/LP) con quelle che sono le uscite annuali circoscritte in questi cantoni musicali (doom, stoner, sludge, gothic, black e post-metal, questi sono i generi ai quali dedico di più il mio tempo, in campo metal...). Se ci sarà un 90 da assegnare in futuro, sarò ben lieto di farlo e credo sia il desiderio di tutti poter recensire un futuro "metro di paragone". Certo alcune mie frasi possono essere sembrate tragiche, ma pregherei anche di leggere con attenzione gli elogi spesi, perché in fin dei conti parliamo di un 70, non di un 40/50. Detto tra di noi? Avevo grandi aspettative anche io...
No Fun
Domenica 15 Luglio 2018, 15.24.55
5
Io l'ho sentito e non mi sembra male anzi... anche le ultime, sulle quali Giax ci è andato giù con la mazza da baseball però boh doom? Per me non è doom... attenzione non faccio un discorso di etichette. Voglio dire, leggo che tutti li definiscono doom e allora se vogliamo paragonarli a heavy doom come Reverend Bizarre o Krux questi Khemmis ne escono con le ossa sbriciolate. Invece io li avevo ascoltati prima di leggere la recensione senza sapere il genere ed ero rimasto colpito positivamente da una proposta che mi pareva un heavy metal classico con qualche nota doom. Sì ok non sono i Cirith Ungol però visto che a me l'heavy "normale" non mi dice molto, beh diciamo che mi aspettavo di peggio. Però doom... boh, troppi assoli, il riffing poi è poco sviluppato e nel doom il riff è tutto. Per me comunque questo un settantacinque se lo merita. Invece ho sentito il primo album che hanno fatto, Absolution, e non mi ha detto niente di che.
Lizard
Domenica 15 Luglio 2018, 13.40.32
4
7 o 9 è la differenza che passa tra un album buono e un capolavoro. Difficile sbagliarsi in un range del genere. Sui singoli punticini invece è molto più facile dare spazio alle singole interpretazioni. Grazie mille della risposta 😊
SuperDoc - 60
Domenica 15 Luglio 2018, 13.09.47
3
Absolution e Hunted mi erano piaciuti parecchio , anche quest'ultimo lavoro niente male , è veramente un'impresa attribuire un voto e , mi ripeto forse , ottima recensione più che esaudiente , ma rimane il dubbio ... 7 o 9 ? Forse un punticino in più i nostri amici di Denver lo meritavano . Ciao !
Lizard
Domenica 15 Luglio 2018, 12.10.07
2
SuperDoc-60: tu cosa ne pensi? Perché sai, le opinioni sono libere e giustamente un numero alla fine rappresenta solo l'espressione grafica di un giudizio. Qual è il tuo?
SuperDoc - 60
Domenica 15 Luglio 2018, 11.52.58
1
Non vuole essere una critica al recensore ... anzi . Solo non capisco come mai altri siti di Metal hanno giudicato questo lavoro Fra gli 85 e i 90 !
INFORMAZIONI
2018
Nuclear Blast Records
Doom
Tracklist
1. Bloodletting
2. Isolation
3. Flesh to Nothing
4. The Seer
5. Maw of Time
6. From Ruin
Line Up
Ben Hutcherson (Voce, Chitarra)
Phil Pendergast (Voce, Chitarra)
Dan Beiers (Basso)
Zach Coleman (Batteria)
 
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