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GOATBURNER + ACROSS THE SWARM
BAHNHOF LIVE, VIA SANT\'ANTONIO ABATE 34 - MONTAGNANA (PD)

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DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
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ENEMIC INTERIOR + LOIA + LESLIE NIELSEN
CIRCOLO DEV , VIA CAPO DI LUCCA 29/3G - BOLOGNA

Desert Storm - Sentinels
23/08/2018
( 757 letture )
Distinguersi nella musica contemporanea sta diventando -a prescindere dal genere- anno dopo anno, impresa sempre più ardua, soprattutto per quei monicker, come questi Desert Storm, che non hanno ancora avuto modo di affermarsi, vuoi per un motivo, o vuoi per un altro, tra le figure e nelle vesti di figure di spicco di un’intera scena, o, abbassando le pretese, di un sottogenere. Non tanto per una carenza di qualità tangibile o effettiva tra le proposte pentagrammatiche attuali, anzi, di quella ve n’è sempre e comunque. Certo, è una qualità ventilata fra soggetti diversi dalle glorie del passato (mi pare ovvio, no?), ma è comunque riscontrabile, e non solo nei generi di competenza del recensore; basti guardare le solite classifiche di fine anno da una decina d’anni a questa parte, e magari offrendo loro una chance, dandoci pure un ascolto approfondito. Sondare il terreno giusto, e scovare in qualche buco sperduto chissà dove una nuova promessa, oggigiorno, non è mai stato così facile, grazie alle potenzialità (e i pericoli, certo) del web. E quindi, dove risiedono le cause di queste difficoltà, per un nome meno noto, nel farsi largo fra i numerosi (per non dire infiniti…) concorrenti? Una su tutte, è cambiata, ed è in continuo mutamento, la fruizione globale della musica, buona, brutta o cattiva essa sia. Da qui, a mo’ di radici, si diramano le conseguenze.

Al che, dopo questa premessa marcata -ne sono consapevole- da un certo pessimismo, giungiamo ai nostri Desert Storm, che portano con sé questo caso di omonimia col nome affibbiato dalle autorità militari statunitensi e britanniche per designare la seconda parte del conflitto della prima guerra del Golfo in Iraq e Kuwait (1990-1991). Ragazzi tutto sommato prolifici, questi Desert Storm, che nascono nel 2007 in una delle culle culturali inglesi, Oxford, infilandosi nella corrente “rock revivalista” di inizio millennio con i primi due EP, Desert Storm 5-Track White Label e Desert Storm (rispettivamente 2007 e 2008). La prima fatica sulla lunga distanza, marchiata stoner/southern, Forked Tongues risale al 2010 e viene pubblicata per la semisconosciuta Buried in Smoke solo in formato digitale. A questo esordio discografico succedono altri due full-length: l’autoprodotto Horizontal Life, uscito nel 2013, e Omniscient, pubblicato due anni dopo per Blindsight Records). Nel 2016 si affidano all’etichetta tedesca H42 Records, specializzata in “corti discografici” (si vedano lo split fra Karma to Burn/Sons of Alpha Centauri e il singolo degli Spiritual Beggars) per la pubblicazione in 350 copie dello split con Suns of Thunder. E infine i Nostri giungono a questo Sentinels, pubblicato per la neonata label mancuniana, APF Records (Trevor’s Head, Nomad, The Hyena Kill, BongCauldron). Quarto full-length: lavoro della maturazione definitiva, peraltro già abbozzata nel precedente Omniscient, o passo indietro, fatale e fatidico, verso quell’anonimato che oggi come non mai comprometterebbe una carriera intera? Il recensore non possiede sicuramente le facoltà per pronunciare un verdetto di tale portata, ma garantisce una cosa, che forse è quel tratto che più importa all’ascoltatore: questi sono bravi, per davvero, e negli anni passati avrebbero meritato più visibilità rispetto a quella ottenuta fino ad oggi. Speriamo che l’entrata sotto l’ala protettrice della nuova etichetta giovi loro, almeno sotto questo punto di vista.

Non parliamo di “Next Big Thing” e non è nostra intenzione fare accostamenti con nomi di un certo rilievo, o altri paragoni pesanti, forzati o privi di alcuna logica. La lingua parlata da Sentinels è uno sludge/stoner modernissimo, che da buon “purista” del genere quale sono, in tutta onestà, fatico quasi ad etichettarlo come tale (e forse non lo è nemmeno, ma tant’è...), e piaccia o meno, il futuro del genere passa (passerà) anche per queste sonorità colme di influenze esterne, contaminazioni che nulla hanno in comune con i sacri crismi del genere. Trame chitarristiche volutamente con un sound vintage (de)cadono a favore di un muro sonoro compatto, solo vagamente heavy psych/blues/sludge, che ingloba da una parte quell’originalissima proposta offertaci Mastodon (loro l’influenza più marcata) oltre un decennio fa, nelle linee vocali, nell’andamento, nelle atmosfere e inserendo accelerazioni thrashy qua e là che non possono non ricordare i Machine Head (pre-Catharsis, certo) e la potenza valvolare dei soliti Down, i quali fanno capolino, quindi, per la seconda volta nel giro di pochi giorni (Himalayan Demons). E per ironia della sorte, è proprio nei momenti meno canonici che la band riesce ad esulare dalla banalità, spiccando con una non indifferente personalità. Per una volta descriviamo l’album per sottrazione, al contrario: Drifter, The Extrovert e Convulsion ci dimostrano come lo stoner non sia più materia dei Nostri e sono tracce trascurabili, poggianti su di una manciata di giri di chitarra arcinoti e con il growl sludgy di Matt Ryan che non incide come sul resto dell’opera, risultando persino poco coerente. “Play” premiamolo ora, quindi. La parentesi graffa che si apre con Journey’s End e si chiude con Kingdom of Horns è maestosa, non solo artisticamente, ma anche nell’atmosfera ricreata: l’opener è epic/heavy dotata di un finale che faticheremo a dimenticare, grazie a quel fraseggio improvviso negli ultimi istanti dai sentori celtici (ascoltare per credere!), Too Far Gone è sludge-pop dall’appeal mainstream, The Brawl trasuda “Scuola New Orleans” da tutti i pori come i padrini del genere non riescono da molto a fare e, infine, la traccia che chiude il poker iniziale, Kingdom of Horns, è il manifesto di questo lavoro insieme alla penultima Capsized, nonché gioielli preferiti di chi scrive. Epopee dal minutaggio medio-lungo, riescono nell’impresa di risultare memorizzabili fin da subito grazie a pochi, semplici giri di accordi, sempre barcamenanti fra calma/esplosione, mai criptici, ma che lasciano il segno, anche se l’apice viene raggiunto proprio in Capsized, brano encomiabile di soft sludge con un ritornello da classifica -questo sì, lo è per davvero- da brividi.

I Desert Storm l’hanno compiuta eccome, la loro evoluzione, passando dall’essere una band clone all’essere una formazione che comincia ad essere riconoscibile all’interno di una galassia sterminata, e sicuramente in territorio nazionale con questo Sentinels può farlo, il famoso salto di qualità. Lavoro per spiccare il volo sicuramente ce n’è ancora da fare, cominciando, per esempio, a rimuovere gli ultimi intacchi stoner (propriamente detto) e focalizzandosi in questa proposta dalle forti tinte epiche, coltivando e migliorando con un songwriting più variegato l’offerta già udibile in brani quali Journey’s End, Kingdom of Horns e Capsized. Gli ascolti richiesti per apprezzarlo a pieno sono molti, ma è risaputo: le cose piacevoli, e sotto un certo punto di vista, innovative, necessitano di maggiori sforzi, proprio perché oltrepassano i soliti stereotipi di un genere perennemente prossimo all’implosione. Se poi l’etichetta (APF Records) continuerà a svolgere un buon lavoro di promozione, ed è quello che sta facendo in questi mesi, le soddisfazioni, prima o poi, arriveranno. Status attuale: riconoscibili. Senza dubbio.



VOTO RECENSORE
76
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2018
APF Records
Stoner/Sludge
Tracklist
1. Journey’s End
2. Too Far Gone
3. The Brawl
4. Kingdom of Horns
5. Gearhead
6. Drifter
7. The Extrovert
8. Convulsion
9. Capsized
10. Outro
Line Up
Matt Ryan (Voce)
Ryan Cole (Chitarra)
Chris White (Chitarra)
Christ Benoist (Basso)
Elliot Cole (Batteria)
 
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