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TRAFFIC CLUB - ROMA

Grave Digger - The Living Dead
23/09/2018
( 2667 letture )
Espressione di un modo di intendere l’heavy metal che più classico non si può, i Grave Digger restano una band tra le più amate di quelle provenienti dalla Germania. Pur senza mai essere annoverabili in una ipotetica fascia di serie A, è certo che a fronte di una carriera che si avvia a tagliare il traguardo dei quaranta anni, i tedeschi abbiano saputo scavarsi una propria identità definita a suon di ottimi album che hanno realmente lasciato un segno per gli amanti delle sonorità heavy "pure", se così possono essere definite. E’ innegabile che il leader incontrastato della band, il singer Chris Boltendahl, abbia saputo guidare i Digger lungo un percorso fatto di soddisfazioni e che con cadenza ormai proverbiale torna a far parlare di sé. Altrettanto innegabile è la considerazione che Boltendahl abbia avuto buon fiuto e forse anche buona sorte nell’affiancarsi chitarristi capaci di fare la differenza in termini di songwriting come Uwe Lulis e Manni Schmidt, che hanno caratterizzato le migliori release della band col loro stile personale. Da ormai nove anni ormai quel posto è appannaggio di Axel "Ironfinger" Ritt, proveniente dai Domain. Un cambiamento che a dirla tutta non sembra aver particolarmente giovato, almeno a livello di qualità delle uscite, stabilizzando fin troppo la proposta: difficile infatti attendersi da un gruppo dalla così lunga carriera e che ha sempre fatto della coerenza stilistica una cifra del proprio essere chissà quali fuochi d’artificio di inventiva, ma è altrettanto evidente che negli ultimi anni stia diventando preponderante la sensazione che i Grave Digger abbiano innestato una specie di pilota automatico che li tiene lontani da un crollo vero e proprio, ma anche da livelli qualitativi ai quali potrebbero senz’altro ancora aspirare.

E’ comunque con una certa curiosità che viene atteso il diciottesimo album in studio, con un nuovo ritorno delle loro classiche copertine macabre e truci. La dimensione ideale per i Grave Digger, una band che non sarà certo rinomata per la finezza compositivo/esecutiva, quanto per la capacità semmai di evocare particolari atmosfere, le quali, nonostante un vocabolario espressivo non infinito, sono spesso risultate l’arma vincente capace di fare la differenza tra una uscita e l’altra. Il fascino evocato da tematiche di ampio respiro come quelle utilizzate in passato non sembra voler fare ritorno su The Living Dead, disco che come ci rivelano già i titoli dei brani sembra girare tutto attorno alla Triste Mietitrice, come d’altra parte tradizione costante nel gruppo. In effetti, non si può neanche dire che non sia un tema centrale dell’esperienza umana: anzi, si potrebbe dire che si tratti del Tema per eccellenza. Lasciando quindi da parte gli aspetti tematico/filosofici, diremo che The Living Dead è un classico album dei Grave Digger, sempre in bilico tra heavy classico e power metal, con ampio ricorso a cori enfatici e leggeri interventi di tastiera, anche stavolta lasciata molto sullo sfondo a favore della chitarra di Ritt, protagonista del disco assieme a Boltendahl e al sempre ottimo Stefan Arnold, qua alla sua ultima apparizione nella band. Il tentativo di costruire un disco vario, potente e con canzoni di spessore sembra andare in controtendenza rispetto al precedente Healed By Metal, che puntava invece molto sulla compattezza di composizioni immediate ed arrembanti. E’ pur vero che in una scaletta di dieci brani più bonus track, solo cinque superano i quattro minuti e nessuno raggiunge i sei, ma la costruzione dei brani sembra più curata, pur ricorrendo sostanzialmente quasi sempre agli stessi assunti di base. Si potrebbe dire che l’influenza dei Judas Priest sia estremamente presente in questo album, con una tendenza generale a non spingere troppo sul lato più prettamente power, con qualche midtempo a spezzare un ritmo altrimenti piuttosto sostenuto, con punti di vicinanza al thrash, come in When Death Passes By. L’ambizione di comporre un disco dinamico e vario comprende anche il ritorno di alcune soluzioni vicine al folk, come nell’introduzione di Shadow of the Warrior, nella quale le armonie vocali sono di chiara ispirazione “celtica” e sembra quasi di sentire un brano degli Skyclad e, soprattutto, in Zombie Dance nella quale registriamo la partecipazione dei compagni di etichetta Russkaja per quello che sarà senz’altro un nuovo classico dal vivo, pur senza brillare particolarmente per inventiva e risultato finale, comunque sufficientemente divertente e capace di distinguersi dal resto dei brani; a dire il vero, a brillare risulta alla fine proprio l’ottimo assolo di Axel Ritt, come in altri episodi. Il chitarrista è indubbiamente un musicista di livello ed è difficile non riconoscergli anche un bel gusto negli assoli, ma quello che forse oggi manca davvero sono le soluzioni adottate per rendere i brani qualcosa di più e di meglio che materiale da ascolto distratto. Non che manchino i riff e le intuizioni: brani come l’opener Fear of the Living Dead, le citate When Death Passes By, Shadow of the Warrior e, soprattutto, le belle Blade of the Immortal e Hymn of the Damned sembravano avere ambizioni un po’ superiori alla media, ma non riescono a risollevare un disco incapace di andare oltre i propri limiti intrinseci. Particolare attenzione, in negativo, aveva invece raccolto The Power of Metal, sia per la qualità del video che accompagna il singolo che per il brano in sé, ennesimo e quasi imbarazzante anthem di fedeltà al genere di cui veramente non si è mai sentito il bisogno. In realtà, messa in mezzo alle altre composizioni, la canzone non può neanche definirsi peggio del resto e tutto sommato si fa ascoltare, senza infamia e senza lode, con un refrain che per forza di cose non potrebbe essere più fastidiosamente enfatico. Rimangono comunque abbastanza indecifrabili canzoni come Insane Pain, veloce e serrata e con un ottimo assolo, ma assolutamente inutile nell’insieme o la thrashy What War Left Behind, le quali proprio non vanno oltre una mediocre ripetizione di schemi usurati e stantii e rivelano una preoccupante mancanza di ispirazione. Caso a se fa invece la rockeggiante Fist in Your Face che potrebbe persino sembrare un brano dei Motorhead, anche a causa della impostazione vocale e delle metriche prescelte da Boltendahl che ricalcano molto quelle classiche del compianto Lemmy (impressione che emerge anche nella strofa di Blade of the Immortal). Piacevole invece la bonus track Glory or Grave, priva di grandi fronzoli e nella sua iperclassicità comunque divertente, buona chiusura di un disco che fa fatica a convincere.

Arrivando a conclusione dell’ascolto, operazione peraltro neanche così scontata dato che il meglio del disco è quasi tutto concentrato nella prima parte, resta la sensazione che per i Grave Digger questo The Living Dead rischi pesantemente di passare alla storia come un’occasione persa. La volontà di costruire un album che riprendesse molte delle tematiche e delle soluzioni tipiche del gruppo, al fine di portarle ad una sorta di summa della carriera, con un respiro quindi ampio e vario, si scontra contro degli evidenti limiti di scrittura, che ormai paiono congeniti e non superabili. Che la band sappia come si costruiscono e suonano brani di heavy classico di impatto è quasi scontato e ribadirlo offensivo: i Grave Digger sono e rimangono molto superiori ad altri epigoni, anche più recenti, non fosse altro per la mai sopita aggressività. Non stiamo parlando di un album inascoltabile o di un crollo verticale. Anzi, per certi versi proprio la varietà e la centralità della chitarra di Ritt sono quello che solleva il risultato finale. Ma Boltendahl con la sua rigidità espressiva sempre più marcata anche a causa del tempo che passa, non può davvero ritenersi l’elemento che fa la differenza in meglio quando occorre e, alla fine, i cori sono più o meno sempre gli stessi, così come i refrain e se non è il contesto intorno a lui ad essere esplosivo, ben poco resta per fare il salto di qualità rispetto a quanto proposto negli ultimi anni. La sensazione che comunque fosse lecito attendersi qualcosa in più, proprio in forza di alcune qualità intrinseche alla band e ad alcuni brani qua proposti, resta forte. Ma evidentemente, anche il dover a tutti i costi mantenere un ritmo così serrato di uscite non favorisce una band che arrivata al diciottesimo album, forse dovrebbe invece prendersi il tempo di sviluppare meglio e con più calma le proprie idee residue.



VOTO RECENSORE
68
VOTO LETTORI
62.61 su 18 voti [ VOTA]
AL
Mercoledì 24 Luglio 2019, 16.28.11
21
per me siamo sul livello del precedente. album troppo prevedibile, la title track è noiosa mentre qualcosa di buono c'è in Shadow of the Warrior, Blade of the Immortal e Hymn of the Damned ma anche per me le loro uscite sono ormai trascurabili e non capisco perchè facciamo uscire cosi tanti album in poco tempo. forse sarebbe meglio raccogliere più idee e svilupparle meglio. voto 60
Aceshigh
Lunedì 5 Novembre 2018, 9.27.25
20
Alla fine l'ho ascoltato. Le anteprime mi avevano spaventato e devo constatare però che all'interno dell'album sono tra le cose peggiori. Certo, il resto non è tanto meglio... Siamo troppo lontani dai capolavori del passato, ma questo non si scopre oggi, a me già gli ultimi 2 album (mi tengo basso) non dicevano nulla. Con tutta la roba che esce questo album è quantomeno trascurabile (per usare un eufemismo).
Kappa
Mercoledì 3 Ottobre 2018, 17.30.02
19
Il disco vale il voto del recensore, la media voti utenti è una farsa...
Kappa
Mercoledì 3 Ottobre 2018, 17.29.12
18
iL DISCO VALE IL VO
Riccardo
Venerdì 28 Settembre 2018, 14.48.04
17
Va beh, io intanto l’ho comprato e me lo ascolterò con grande piacere...
Ball's Digger
Martedì 25 Settembre 2018, 17.59.09
16
Ma basta per favore, siamo arrivati ad un album l'anno, non se ne può più... tutto sentito milioni di volte, sempre le stesse note, gli stessi schemi , gli stessi riff... 68 è un voto fin troppo generoso ... Ball's Digger !
David D.
Lunedì 24 Settembre 2018, 19.11.22
15
Anche basta, per me i Grave Digger esistono fino a The Last Supper, il resto canzonette Power messe su due piedi con riff fintamente aggressivi e incazzatissimi, ma che poi si rivelano per essere solo pezzi scialbi. E questo The Living Dead non è da meno, anche se When Death Passed By e Shadow Of The Warrior sono molto belle. Meglio che torno a sentirmi Heart Of Darkness và... Voto 55
Joe91
Lunedì 24 Settembre 2018, 16.53.39
14
Dai ragazzi Tunes of War è un capolavoro senza se e senza ma, forse chi lo giudica solo buono li deve dare una ripassatina.. mentre The Last Supper è, secondo me e ad oggi, l'ultimo loro ottimo album. È comunque non è vero non è vero che sono sguazzati per l'assenza dei nomi grossi, il poker di dischi dal 93 al 99 cagherebbero ancora oggi in testa a intere discografie, per qualità di sia testi, che musica.
entropy
Lunedì 24 Settembre 2018, 15.50.47
13
io condivido il parere di @sadwings. Per i digger hanno fatto qualche buon album ma niente più. So che sono un band storica, ma secondo me sono davvero un gruppo minore (tra quelli cmq importanti tipo rage running etc)
Sadwings
Lunedì 24 Settembre 2018, 13.05.52
12
onestamente non riesco a valutarli come capolavori. Non li ho mai trovati all'altezza dei gruppi classici (judas iron ,accept., queensryche.) ma nemmeno al'altezza dei vari manowar, vecchi virgin steele, crimson glory, running wild,gamma ray, helloween etc. Tunes of war lo trovo un buon album ma non un capolavoro e sinceramente trovo la sua voce un grande limite. Per me già the lust supper è un lavoro molto mediocre. Solo che ora stanno scavando sempre di più la fossa giocando molto sulle tematiche da difensori della fede metallica, scordandosi la qualità della musica.
InvictuSteele
Lunedì 24 Settembre 2018, 12.56.09
11
Non è questione di heavy classico o power epico, è questione di canzoni, qui non ci sono. Qualcuno ha nominato Last Supper, per me quel disco è una bomba proprio perché possiede ottime canzoni, ispirate nelle melodie e con testi semplici, tradizionali, ma efficaci. Ormai i Grave Digger continuano a ripetersi, pezzi tutti uguali, testi osceni, melodie insipide. I loro album ormai li ascolto cinque volte e poi li dimentico, e non va bene. Fanno un disco ogni anno o due, e questo è il difetto di tutte la band troppo prolifiche che tendono a ripetersi senza ispirazione. A un certo punto o provi soluzioni nuove e fresche, magari rischiando di fallire ma va bene, oppure hai rotto le balls.
Sandro70
Lunedì 24 Settembre 2018, 11.09.03
10
Aggiungi knights of the cross e parliamo di quattro capolavori.
nonchalance
Lunedì 24 Settembre 2018, 10.51.05
9
Dare del "discreto o buono" ad album come The Reaper, Heart of Darkness, Tunes of War mi pare alquanto delittuoso.
Sadwings
Lunedì 24 Settembre 2018, 10.24.21
8
Per me sono sempre stati un gruppo mediocre con qualche album discreto o buono che è sguazzato negli anni 90 nell'assenza delle band storiche.
JC
Lunedì 24 Settembre 2018, 9.52.34
7
Nota storica: i Grave Digger sono (anche) questo. E chi ha i capelli (beato lui) grigi ne é consapevole ed ha deciso da un pezzo se gli garbano o no. Chi conosce questa band sa che ci sono due filoni musicali in cui si é orientata la produzione: uno più heavy caciarone con tinte dark, l'altro power epico. Qui siamo in ambito heavy classico e fatto anche bene.I testi, come é comune nel nostro genere preferito, hanno spesso oscillato tra la qualità ottima e...il beh lasciamo perdere. Qui non siamo di fronte a Operation Mindcrime ma comunque su livelli adeguati. Dai ragazzi, Heavy Metal Breakdown, avete presente? Il disco é più che buono e per chi ama i Grave Digger e l'HM classico é un ottimo disco...poi, per carità, capisco che chi li ha amati con Tunes of War possa essere deluso (ma sono passati vent'anni e tipo dieci dischi), e chi si accosta al metal oggi o da quindici giorni non li possa apprezzare. Per me, 75 pienissimo.
Masquerade
Lunedì 24 Settembre 2018, 9.25.57
6
A primo acchitto, ossia ai primi ascolti ho pensato fosse l' ennesima porcheria dei Digger da Last Supper a oggi, tuttavia col procedere degli ascolti il disco è cresciuto, ci sono buoni riff, buoni cori alcuni ritornelli interessanti. Tuttavia i tempi dei fasti sono finiti da un pezzo, ed è un peccato. Tuttavia non posso che non dare un 65, pertanto una sufficienza piena a questo disco, e se non fosse per qualche filler di toppo, sarebbe sul 70 pieno
Joe91
Lunedì 24 Settembre 2018, 8.20.51
5
Voto 40: insipido, privo di voglia, testi ridicoli, e solo una canzone veramente discreta (la prima). Si fa fatica a non skippare dopo i primi due minuti massimo gli altri pezzi.
Antonino
Lunedì 24 Settembre 2018, 1.33.09
4
Non voto perché 30 sarebbe già troppo
InvictuSteele
Domenica 23 Settembre 2018, 23.43.10
3
Ma basta, voto 58
Metal Shock
Domenica 23 Settembre 2018, 20.08.35
2
Se la miglior canzone del disco, ed invero la migliore degli ultimi 15 anni, è Zombie dance, pezzo non di certo classicamente Digger ma fatto veramente in modo ottimale, penso si sia detto tutto. L'unica altra canzone su cui non sorvolare è Blade of the immortal, pezzo buono ed epico, per il resto le solite canzoni composte dai tedeschi begli ultimi anni, le ascolti e non ti rimane niente. Mi dispiace dirlo ma è un disco insufficiente ed una band che se di ritira è meglio.
andrea
Domenica 23 Settembre 2018, 20.02.21
1
francamente l'ho trovato superiore al precedente Healed by Metal, un po' meno quadrato e più fantasioso, e anche maggiormente dinamico, quindi gli darei un 70 / 72 senza problemi
INFORMAZIONI
2018
Napalm Records
Heavy/Power
Tracklist
1. Fear of the Living Dead
2. Blade of the Immortal
3. When Death Passes By
4. Shadow of the Warrior
5. The Power of Metal
6. Hymn of the Damned
7. What War Left Behind
8. Fist in Your Face
9. Insane Pain
10. Zombie Dance
11. Glory or Grave (Bonus track)
Line Up
Chris Boltendahl (Voce)
Axel Ritt (Chitarra)
Marcus Kniep (Tastiera)
Jens Becker (Basso)
Stefan Arnold (Batteria)

Musicisti Ospiti
Russkaja (Strumenti folk e cori su traccia 10)
 
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