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Mountaineer - Passages
26/09/2018
( 659 letture )
La stragrande maggioranza di noi li avrà probabilmente dimenticati, qualcuno forse li sta ancora aspettando con una nuova release, pochi (immaginiamo) li ricorderanno come una grande promessa capace di regalare un debutto di tale spessore da convincere finanche una major come la Metal Blade a metterli sotto contratto… e Metallized a metterli sotto la lente di ingrandimento con un’intervista al co-fondatore Clayton Bartholomew. Stiamo parlando dei californiani Secrets of the Sky e davvero ancora oggi, riascoltando la loro opera prima To Sail Black Waters, è forte la sensazione di un grandissimo potenziale disperso purtroppo con velocità pari alla rapidità dell’accumulo in quel lavoro. Nel breve volgere di un biennio, infatti, sarebbero arrivati prima un anonimo split con i Godhunter (GH/0ST:S, nel 2014) e successivamente il secondo full length Pathway, dove la presenza di alcuni ottimi momenti (Three Swords e Angel in Vines su tutti) non è riuscita a compensare del tutto un evidente calo sul fronte dell’ispirazione, . La luce dei ragazzi di Oakland si è spenta definitivamente nei primi mesi del 2016, quando, complice l’abbandono del singer Garett Gazay, il resto del gruppo ha scelto mettere la parola fine a un’avventura che comunque, pur senza riscrivere o ridisegnare canoni e confini, ha saputo aggirarsi con intelligenza nelle terre di confine tra doom, death e post.

A pochi mesi di distanza da quell’epilogo, però, Bartholomew si è rimesso in gioco con nuovi compagni (consideriamo qui come “nuovo” anche il drummer Sean McCullough, semplicemente transitato nella line up dei Secrets of the Sky dopo il rilascio di Pathway) ripartendo con il moniker Mountaineer verso rotte solo in minima parte coincidenti con quelle tracciate nella precedente esperienza. Accantonati muscoli e spigoli, il quintetto si è subito indirizzato verso un post rock ad alto tasso atmosferico intriso di consistenti venature ambient e shoegaze, per un risultato che aveva convinto solo parzialmente, per usare un eufemismo. Il problema di Sirens and Slumber, album di esordio della nuova formazione, in realtà, non era la ricerca dell’eleganza a scapito della potenza e nemmeno la prova vocale quasi pop di un singer su cui potrebbero sollevare molte obiezioni persino i devoti dell’alternative metal più orientato all’easy listening, quanto piuttosto un coinvolgimento emotivo sempre discretamente precario, con la freddezza a dominare per larghi tratti un paesaggio in cui succede poco e ci si perde ancor meno. Va detto peraltro che nella seconda metà del platter (con Adrift e Goodnight sugli scudi) l’approdo alla dimensione degli ultimi Anathema risultava un po’ meno forzato rispetto all’avvio e almeno il registro malinconico riusciva ad evidenziare qualche tenue bagliore di personalità (e comunque, anche nei passaggi migliori che differenza, con gli Antimatter… tanto per citare qualcuno che in materia ha sempre avuto molto da insegnare), giusto in tempo per evitare il naufragio del lavoro e affidarci qualche speranza per il prosieguo della carriera.

Ed eccoli allora, i Mountaineer, alle prese con la cruciale prova-sophomore con un roster ridotto a tre elementi e rinnovato rispetto al predecessore (in realtà è di mentre scriviamo la notizia che la line up è tornata a cinque con l’ingresso alle sei e quattro corde, rispettivamente, di Isaac Rigler e Steven Lloyd). Composto da Bartholomew in tre settimane di furore creativo e non più toccato dopo la prima stesura, Passages si presenta con la classica struttura del concept, con due tracce articolate ciascuna in quattro momenti per indagare sotto diversi punti di vista il concetto di mortalità e l’umana difficoltà di elaborarlo e affrontarlo. La riduzione del numero dei componenti è peraltro inversamente proporzionale al numero di strumenti chiamati sulla scena e anche se xilofono, pianoforte, campane, chitarre acustiche e finanche una bottiglia di birra in modalità percussione non vanno mai oltre una funzione di semplice accompagnamento, è innegabile lo sforzo profuso dai Nostri per arricchire la tavolozza dei colori troppo uniforme di Sirens and Slumber, per un risultato che effettivamente ne trae immediato giovamento.
Non che ci si trovi di fronte ai tratti della memorabilità o dell’imperdibilità assoluta, ma è indubbio che, pur al cospetto di un lavoro tutt’altro che uniforme in termini qualitativi, questo Passages riesce ad alzare complessivamente l’asticella del coinvolgimento oltre la banale linea di un onesto galleggiamento. Il merito principale della band, stavolta, è quello di aver valorizzato la propria natura (che rimane rigorosamente rivolta a universi eterei, quando non asettici e comunque con la malinconia come massimo approdo possibile) senza paura di metterla in contatto con apporti diversi, dal doom allo sludge passando per il post metal, il tutto beninteso assunto in dosi omeopatiche e nella forme a minor rischio allucinazione, delirio o straniamento. È la stessa strada, per molti versi, su cui si sono incamminate nei loro ultimi lavori due band come i Lodz e gli Impure Wilhelmina, che hanno imparato (soprattutto i secondi) a gestire una spinta verso l’alternative metal che non è necessariamente sinonimo di deriva commerciale o di ammiccamento alle pulsioni tardo-adolescenziali.
Certo, qui siamo a diversi gradi di complessità e articolazione in meno rispetto a un quasi capolavoro del calibro di Radiation, ma la sagoma dei Lodz di Time Doesn’t Heal Anything non è poi così distante, in un’ipotetica cronoscalata sui tornanti di un metal ad alta potabilità. E un sottile trait d’union che colleghi Lione alla California si può riscontrare anche nella resa dei cantanti di entrambi i gruppi, in indubbia crescita rispetto agli esordi ma ancora obiettivamente lontani da prestazioni che facciano crollare i loggioni per carico di entusiasmo. Miguel Meza ha senz’altro il merito di aver incrementato la varietà di soluzioni proposte (qualche sporcatura in scream o anche solo in rauco/gracchiato in più avrebbe giovato non poco, a parere di chi scrive), ma rimane il limite di un cantilenato troppo monocorde che minaccia di saturare in fretta un ascoltatore che conosca le ben altrimenti ipnotiche spire vocali disegnate da Neige, in casa Alcest.

Con un metro di valutazione del pari orientato a premiare i passaggi a più alto tasso di “contaminazione”, premesso che la struttura a concept sconsiglia una fruizione frazionata del platter, possiamo anche provare a individuare i momenti migliori e quelli più zoppicanti delle due tracce che compongono la tracklist. Così, per quanto riguarda Hymnal, i Passage I, II e IV (con nota di merito particolare per quest’ultima, impreziosita da un involucro da semi ballad darkeggiante sulla scia dell’immortale scuola Katatonia), meritano una promozione a pieni voti, mentre grosse nubi cariche di perplessità si addensano sul terzo episodio, che si trascina in una stanca (e stancante) litania da cui le emozioni si tengono inesorabilmente lontane. Analogamente, anche nella quadripartizione di Catacombs ci si imbatte in un paio di “stanze” che scivolano via abbastanza anonime (i Passage II e III, con soprattutto quest’ultima che lascia perplessi per una virata melodica troppo accentuata e prolungata), bilanciate però da altre due decisamente meglio confezionate, tra cui brilla particolarmente l’ultima, Passage IV. Niente di trascendentale o clamorosamente innovativo, si dirà, eppure l’ossatura doom dell’avvio, un corpo centrale dove progressivamente si afferma una sorta di nenia rasserenante e il finale tutto giocato sulla delicatezza di una dissolvenza regalano un piccolo gioiellino in cui eleganza e cura dei dettagli non intaccano ma anzi esaltano la resa atmosferica complessiva del brano, a questo punto perfetto come saluto ai naviganti.

Qualche cono d’ombra di troppo in un contesto dove pure non mancano momenti appaganti, un tentativo di ampliare il raggio d’azione dell’esordio moltiplicando gli innesti in arrivo da generi diversi, un opportuno incremento di attenzione per il comparto vocale, Passages è un album che, senza far gridare al miracolo, ha qualche carta da spendere per solleticare le papille degli amanti del metal meno muscolare. Non ci hanno ancora convinto del tutto, i Mountaineer, ma se non altro la falsa partenza del debut è abbondantemente alle spalle.



VOTO RECENSORE
69
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2018
Lifeforce Records
Post Metal
Tracklist
1. Hymnal: Passage I
2. Hymnal: Passage II
3. Hymnal: Passage III
4. Hymnal: Passage IV
5. Catacombs: Passage I
6. Catacombs: Passage II
7. Catacombs: Passage III
8. Catacombs: Passage IV
Line Up
Miguel Meza (Voce)
Clayton Bartholomew (Chitarre, Basso)
Patrick Spain (Batteria)
 
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