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Skalmold - Sorgir
01/11/2018
( 993 letture )
Nessuna verità può curare il dolore che proviamo per la perdita di qualcuno che amiamo. Nessuna verità, nessuna sincerità, nessuna forza e nessuna gentilezza sono in grado di curare quel dolore. Tutto ciò che possiamo fare e guardare attraverso la fine e imparare qualcosa da essa, ma ciò che impareremo non ci sarà di nessun aiuto nel fronteggiare il prossimo dolore che verrà a trovarci senza avvertimento.
Haruki MurakamiNorwegian Wood

“Sorgir”, islandese per “dolori” (intesi in senso emotivo).
A due anni di distanza da Vögguvísur Yggdrasils, gli Skálmöld cambiano rotta. Da un disco con tematiche "più calde" (per citare l'autore dei testi, Snæbjörn Ragnarsson) ad uno freddo e senza pietà, come la sua copertina (ispirata alla storia raccontata in Ljósið).
L'opera quinta della band di Reykjavík ci vuole raccontare quattro vicende, e il suo tramite sono gli otto brani che la compongono.
Da una parte abbiamo le “sagnir” o “storie”, le prime quattro canzoni che ci raccontano di altrettanti episodi tragici visti dalla prospettiva degli esseri umani che li vivono e subiscono.
Dall'altro abbiamo gli “svipir” o “i fantasmi”, ovvero le quattro tracce che compongono la seconda parte della tracklist, che ci svelano la causa sovrannaturale dei tragici episodi descritti in precedenza.
Quattro coppie insomma, la prima parte descrive i fatti, la seconda ci spiega le cause. In nessun caso comunque emerge uno spiraglio di luce, e a vincere è sempre il male.

Si parte con Ljósið (la luce). È una tranquilla sera di primavera in una remota valle islandese e una famiglia va a dormire dopo una giornata di lavoro. All'improvviso la temperatura scende, si scatena dal nulla una tormenta e il vento sfonda le finestre, spegnendo l'unico fuoco presente in casa. L'uomo decide di sfidare gli elementi e correre alla fattoria più vicina (a ore di cammino) a riprendere una fiamma per riaccendere il braciere e salvare i suoi cari dal congelamento, ma quando torna dal viaggio scopre che la sua famiglia non ce l'ha fatta. Riaccenderà comunque il fuoco o deciderà che non ne vale la pena?
Ljósið inizia violenta, con un riffing rasoiante delle tre chitarre che “mima” il vento che sfonda le finestre. Attacca poi la voce abrasiva e quasi sguaiata di Björgvin, supportata da progressioni in levare delle chitarre ritmiche e alternata da quei cori armonizzati che sono ormai un trademark della band islandese. In questo caso rappresentano gli unici spunti veramente melodici (al di là di qualche melodia più “solista” partorita dalla chitarra di Þráinn), fanno capolino anche il pulito di Gunnar Ben e lo screaming di Baldur. Il tutto mentre Jón Geir non molla il colpo al doppio pedale e Snæbjörn gli va dietro, supportando riffing ripetitivi ma trascinanti.

Nella suddetta remota valle islandese, schiere di fantasmi dall'apparenza femminile (Skotta) osservano silenti una famiglia lavorare nella propria fattoria.
Calata la notte decidono di aver visto abbastanza, scatenano una tormenta fuori stagione e osservano la reazione degli umani. Dopo che il marito è uscito per cercare il fuoco si introducono in casa e sterminano la famiglia indifesa, attendendo poi il ritorno dell'uomo per gustarsi la sua reazione.
Skotta è la seconda parte di Ljósið, si apre con un riff più lento e oppressivo, vagamente doomy, scandito da un basso sinistro. Il coro a più voci non ha nulla della solita epicità, ma trasmette un profondo senso di inquietudine. Quando la canzone decolla è sempre la voce di Björgvin a guidare le danze (supportata, da quella di un Baldur scatenato), mentre le chitarre lavorano su arpeggi armonizzati e la ritmica rallenta in bpm appesantendo però la mano.
A metà brano l'accelerazione con doppia cassa ad elicottero e chitarre armonizzate in tapping che si tramutano pochi secondi dopo nel riffing quasi doomy citato all'inizio.
C'è un largo uso del palm muting per le parti violente, con alcuni giri di chitarra tra i più freddi e malvagi dell'intero album. Compare ogni tanto un organo solitario che rende l'atmosfera ancora più creepy, anche se c'è da dire che gli arrangiamenti di Sorgir hanno nettamente ridotto le parti di Gunnar Ben, decisamente più concentrato sul cantato (la sua è la voce pulita più bella del sestetto) che è invece ben valorizzato proprio verso la conclusione del pezzo.

Sverðið (la spada) ci narra di un eroe in grado di sconfiggere da solo in battaglia interi eserciti. È il protettore del suo clan, che grazie a lui non ha nulla da temere. Durante una di queste battaglie però la sua spada si spezza improvvisamente, condannandolo ad una sconfitta che farà perdere la vita anche alla sua famiglia (ultimo pensiero che lo coglie prima di morire).
La seconda traccia di Sorgir si apre in modo molto più classico per gli Skálmöld, con una melodia epica portata avanti dalla chitarra di Þráinn, su una base ritmica più rilassata e con cori altrettanto enfatici. Siamo tornati alle grandi gesta dei guerrieri vichinghi e ai brani che live hanno la potenzialità per trascinare il pubblico senza pestare troppo l'acceleratore. Basso e batteria più in secondo piano permettono alle chitarre e ai cori di intrecciare linee melodiche su linee melodiche creando un'atmosfera idilliaca rotta ogni tanto dalle harsh vocals di Björgvin e Baldur. La rottura della spada porta ad un cambio di atmosfera, che diventa poi più mesta ma senza perdere quell'epicità che permea tutto il brano.

Un fantasma viaggiatore (Gangári) si ritrova per caso ad osservare una battaglia, tra gli umani scorge un eroe valoroso che sta facilmente avendo ragione dei suoi nemici. Decide dunque di cambiare le carte in tavola, morde la spada spezzandola e si gode le conseguenze del suo scherzo.
Gangári completa la storia di Sverðið, ma con un approccio completamente diverso. Da subito butta in faccia all'ascoltatore una ritmica tiratissima e quadrata con poche variazioni della solita chitarra solista, alternando riff continui e “scariche” più aggressive valorizzate da passaggi in tremolo picking, il solito organo in lontananza e la voce solitaria di Björgvin. A metà canzone sono però i cori a prendere il sopravvento con uno dei passaggi più riusciti dell'intero album, a spezzare un pezzo altrimenti monolitico ed articolato soltanto su chitarre e drumming serrato (che impiega addirittura passaggi in blast beat). Arriva anche uno dei soli più articolati di Þráinn, che inizia a svisare rapidamente note dalla sua Stratocaster senza mai perdere il buon gusto che lo caratterizza.

Brúnin (il bordo), è la storia di un amore che finisce molto male. Ai margini di un dirupo a strapiombo sul mare giace svenuta una coppia. L'uomo si sveglia, ritrovandosi in mano una pietra sporca di sangue, accanto a lui la sua amata, esanime e con il capo insanguinato. Il loro è sempre stato un amore osteggiato dalle rispettive famiglie e -caso strano- queste stanno raggiungendo il luogo del misfatto. Se visti potrebbero essere uccisi entrambi. Colto dal panico butta il corpo di lei dal dirupo pur di salvarsi la vita.
Il terzo brano di Sorgir si apre in modo diretto, con un riffing “semplice” ma che lascia emergere il senso di ansia, a supporto ci sono sporadici passaggi di organo di Gunnar. Fino a metà risulta essere uno dei brani più “monotematici” dell'intero album, con il solito Björgvin a catalizzare l'attenzione e riffing abbastanza dilatato. A metà un assolo di Þráinn dà poi il via ad un momento più corale, ma che non spicca in particolare rispetto agli altri. Forse l'episodio più debole del lotto.

Un fantasma dalle sembianze maschili (Móri) ha osservato per mesi una coppia appartarsi vicino ad una scogliera. Sa del loro amore osteggiato dalle famiglie e decide di “intervenire” a modo suo. Fa impazzire l'uomo e gli mette una pietra in mano, poi fa in modo che le famiglie si rechino sul posto, obbligando il primo ad una terribile scelta.
Móri, come già capitato con Skotta, parte lenta, lasciando che le chitarre costruiscano delle melodie sinistre e a Jón Geir il compito di accompagnare con delle percussioni minimali.
Sono poi dei cori, tanto mesti quanto riusciti, a sconvolgere il pezzo, alternandosi al cantato di Björgvin ma con una base che rimane un mid-tempo dove c'è spazio per emergere anche per il basso di Snæbjörn. C'è tempo anche per un momento in cui l'oboe suonato da Gunnar fa da accompagnamento a riusciti vocalizzi femminili, ma si tratta della quiete prima della tempesta, visto che la conclusione è una sfuriata ai limiti del black, con blast beat furioso e rasoianti chitarre in tremolo picking, interrotta solo da una reprise dei cori precedenti.

Barnið (il bambino) è una storia -possibilmente- ancora più tremenda delle precedenti. Una madre mette a nanna la sua bambina in una sera qualsiasi. Ad un certo punto però questa sembra soffocare, la famiglia interviene subito, ma l'infante muore tra le loro braccia mentre cerca -inutilmente- di prendere aria.
L'apertura del quarto brano (e ultima “sagnir” del disco) è piuttosto nella media dell'album, con un riffing costruitto su scariche e power chord piuttosto brevi, che si tramuta poi in un altro mid-tempo, dove si alternano dietro il microfono Björgvin e la voce più enfatica di Gunnar, a cui i cori vanno dietro senza mai coprirla. Dopo un bridge -invero non riuscitissimo- arriviamo all'esplosione finale, che si concretizza nell'ennesimo -e lunghissimo- solo heavy di Þráinn.

In diversi racconti nordici compare un fantasma la cui brama più grande è soffocare nel sonno gli esseri umani. Ha nomi diversi ma per gli islandesi è Mara. La sua diffusione è però molto più ampia, basti pensare alla parola inglese per “incubo” che proprio da questa figura deriva (“nightMARE”). Nell'ultimo e conclusivo “svipir” un Mara vede la bambina mentre viene messa a letto dalla madre e non riesce a resistere: la soffoca, godendo poi nel vedere il terrore dipinto sul volto dei genitori e della bambina.
Mara si apre con una sola chitarra a riprodurre il riff portante, dal giro successivo entrano tutti gli altri strumenti, che concretizzano un brano tirato ma non troppo, con di nuovo l'organo a fare capolino e Björgvin e Baldur che si alternano nell'impostare delle linee vocali particolarmente aggressive. Fa quasi strano quando tutto si calma per lasciare posto ad una melodia soave portata avanti da sole chitarre in clean che sembrano costruire una ninna nanna, che sappiamo però essere di un tipo “poco piacevole”. La melodia che esce da questo intermezzo viene poi ripresa dagli strumenti elettrici e portata avanti per buona parte della canzone, con in mezzo un ultimo e struggente assolo di Þráinn. Il tutto si evolve in una cavalcata dagli echi quasi power che però termina con un riff che riprende quello iniziale e conclude brano e album.

La produzione di Sorgir è perfettamente in linea con il concept: cruda e diretta. Ovviamente nei limiti di un lavoro pubblicato nel 2018 da un gruppo che non ha mai avuto intenzione di suonare raw. La componente heavy viene esaltata da suoni di chitarra aggressivi ma caldi (palesemente valvolari) e da un mix che ha valorizzato una componente ritmica asciutta ma ben presente (bella la mediosità del basso di Snæbjörn). Il tutto ha però messo in secondo piano il lavoro di Gunnar Ben alle tastiere, che non è solo ridotto negli arrangiamenti ma piuttosto nascosto in termini di volume. Non che non ci sia, ma va cercato e scovato con calma e un buon impianto.
Una compressione non eccessiva sia in fase di mix che di mastering ha poi preservato dinamiche a sufficienza per non far suonare il tutto come un ibrido mal riuscito.

Gli Skálmöld sono un gruppo che ha sempre ricevuto considerazioni altalenanti, se è piuttosto riconosciuta la loro efficacia in sede live (dove risultano sempre spettacolari e coinvolgenti), su disco tendono a dividere più la critica.
Sorgir in questo senso rappresenta però una prova assolutamente valida. Non sconvolge i parametri del genere, anzi, se possibile tende a ridimensionare la parte “viking” ai soli -tipici- cori e alle atmosfere, in favore di un approccio più heavy, ma si dimostra qualitativamente da urlo e in grado di coinvolgere anche dopo molteplici ascolti, anche grazie a piccole -ma non irrilevanti- incursioni in territori sia power che più estremi.
C'è ovviamente da aggirare la barriera linguistica per calarsi al meglio nelle atmosfere e nel senso di certe canzoni, ma una volta fatto l'affresco che ne risulta è qualcosa che tende a rimanere impresso.
Sorgir è dunque consigliato a chiunque apprezzi un disco musicalmente diretto ma complesso da approfondire sotto altre sfaccettature.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
77.5 su 2 voti [ VOTA]
Todbringer83
Giovedì 22 Novembre 2018, 22.14.31
2
Sulla stessa lunghezza d'onda dei lavori precedenti. Gli islandesi continuano ad irrobustire la loro discografia, ma lo fanno senza lasciare il segno. Anche in questo capitolo, come in quelli passati a parte qualche guizzo (Gangari,Mori e Mara) il resto risulta abbastanza soporifero. Riprendendo un tema trattato dal recensore, io sono uno di quelli che li preferisce in sede live. Senza infamia e senza lode. Voto: 65
duke
Giovedì 1 Novembre 2018, 9.53.29
1
curioso di ascoltare quest' ultimo lavoro...quelli precedenti non era male...anzi...
INFORMAZIONI
2018
Napalm Records
Viking
Tracklist
1. Ljósið
2. Sverðið
3. Brúnin
4. Barnið
5. Skotta
6. Gangári
7. Móri
8. Mara
Line Up
Björgvin Sigurðsson (Chitarra e voce)
Baldur Ragnarsson (Chitarra e voce)
Þráinn Árni Baldvinsson (Chitarra e voce)
Gunnar Ben (Tastiere, oboe e voce)
Snæbjörn Ragnarsson (Basso e voce)
Jón Geir Jóhannsson (Batteria e voce)
 
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