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Eye Of Solitude - Slaves To Solitude
11/12/2018
( 1264 letture )
Loro mi hanno chiamato pazzo, io li ho chiamati pazzi e, che siano maledetti, mi hanno battuto ai voti.
Nathaniel Lee

Sfilze di recensioni con voti impossibili vs. conti che ancora una volta non quadrano manco se per arrotondare il peso del giudizio si addizionasse un corpulento protagonista del noto programma My 600-lb Life; nuovamente in quest'ultima tornata di recensioni si ripresenta la medesima circostanza a scatenare mille interrogativi ed altrettanti rinvii a causa dei criteri con il quale in generale si giudica un lavoro purtroppo evidentemente sovrastimato da parecchi a scatenare conseguentemente i legittimi dubbi sul proprio operato in qualità di recensore. Trattasi nella fattispecie di Slaves to Solitude, ossia l'ultima fatica degli Eye Of Solitude, band soprintesa fin dalla sua genesi dall'implacabile estro di Daniel Neagoe ed inquadrabile nella recente generazione di formazioni dedite a sonorità che ruotano attorno al range del doom/death. Configuratasi inizialmente come one man band, la creatura del musicista romeno ha intrapreso immediatamente dopo il debutto The Ghost una fase successiva contrassegnata dall'implementazione della line-up con la quale conseguentemente Neagoe & co. hanno solcato buona parte del proprio cammino discografico, raggiungendo tra l'altro il meritato, unanime favore con il bellissimo Canto III. Successivamente alla pubblicazione del penultimo Cenotaph la formazione trapiantata a Londra ha affrontato un ennesimo riassestamento tra le fila dei propri componenti divenendo attualmente un duo nel quale si individua il nuovo innesto Xander C., vecchia conoscenza di Neagoe. Posando lo sguardo sul tratto di cammino fin qui percorso, non si può certo negare che Daniel possa legittimamente vantare come titolo di merito non indifferente una gavetta durissima, distinta tra numerosi progetti paralleli agli Eye Of Solitude e collaborazioni, culminata nella conquista del ruolo di batterista in realtà prestigiose come Shape of Despair e Pantheist. A questa prolificità con soddisfazioni annesse (peraltro meritate, senza ombra di dubbio) sembra però che ultimamente si sia affiancato una sorta di default nella forma mentis di chi giudica ogni uscita partorita dalla mente di questo poliedrico musicista ed a tal proposito in un passato piuttosto recente anche Metallized, attraverso le parole del collega Gabriele Zolfo, aveva in tutta franchezza preso le distanze da tali posizioni, esprimendo alcune perplessità riguardo la presunta infallibilità del songwriting dello stesso in uno dei suoi tasselli firmati Clouds, ovvero uno dei suoi progetti principali caratterizzato dalla collaborazione fra autentiche “all-star” della scena doom/death e funeral.

Sviscerando Slaves to Solitude si può d'altra parte cercare di analizzare in maniera obiettiva l'attuale livello compositivo del singolo escludendo da tale circostanza ulteriori orpelli di facciata. Accumulando gli ascolti si consolida la convinzione di un lavoro formalmente inappuntabile costituito da brani molto solidi dal punto di vista strutturale, contraddistinti per lo più da uno-due temi portanti e da un uso di un timing pesantemente e perennemente dilatato; tali caratteristiche rappresentano una sorta di anello di congiunzione tra i vari episodi, nei quali persiste un mood angosciante e avvilente. Della policromia di Canto III non vi è più traccia, piuttosto risiedono diversi punti di collegamento con il precedente Cenotaph ma anche con il progetto fratello Clouds. Soprattutto alcuni cambi suggestivi (5:45 di The Blind Earth, 5:25 di Still Descending), sezioni acustiche alle quali si congiungono le clean vocals, che tra l'altro mettono in risalto la bellezza del timbro vocale di Neagoe (circa 4:10 di Still Descending) e le (purtroppo poche e brevi) parentesi in cui i nostri si lanciano in sfuriate death (circa 5:25 di Confinement e 5:35 di Boundless Silence... avete notato che i cambi ricadono più o meno nello stesso minutaggio?), dimostrano che si è consolidata una sorta di particolare “sistema” che direziona il pezzo verso delle fasi precise. Ed è proprio per tale ragione che si palesa un problema di fondo non indifferente, ovvero l'impressione che ogni tassello scorra in maniera verosimilmente speculare al successivo a causa di diversi fattori che determinano una certa similarità, vedasi l'utilizzo delle stesse pulsazioni temporali, la modalità di far “cadere” gli accordi, l'impiego del piano o ancora la procedura stessa di scrivere il pezzo, come se, nelle fasi che precedono il consumo di alcune portate, ci si prefigurasse già l’estasi all'atto del consumo stesso ma poi, arrivato il momento fatale dell’assaggio, pur essendo indubbiamente gustose, non vi rimanesse alcuna memoria. Altri particolari, come ad esempio le urla di disperazione che chiudono la traccia conclusiva Boundless Silence, non determinano il risultato sperato a livello emozionale, a maggior ragione se esse ricalcano un signor passato recente intitolato This Goodbye. The Goodbye.

Rispetto al precedente operato, Slaves to Solitude si può dunque inquadrare senza remore come il passo più debole degli Eye Of Solitude, sebbene da un'altra prospettiva tale lavoro sia pienamente in grado di accontentare quella fascia di ascoltatori che esige il semplice rispetto di determinati canoni all'interno di un album di funereo doom/death. Nonostante l'indubbia perizia nei suoni, nel songwriting e negli ulteriori dettagli (copertina a parte!) delinei un carapace apparentemente impenetrabile, ulteriori ed attenti ascolti rivelano più di una crepa, figlia di tanto mestiere, astuzia e soprattutto una freddezza che fatica a scalfire lo spettro emozionale di un qualsiasi estimatore che da queste sonorità adori prima di tutto l'essere sorpreso da un songwriting dinamico, capace di viaggiare imprevedibilmente attraverso spazi umorali differenti. In questo ambito, il corrente anno domini ha rivelato sia sorprese che realtà consolidate di ben altra caratura, ma per chi volesse comunque accontentarsi Slaves to Solitude è chiaramente un disco ben costruito ad opera di un musicista a cui, a furia di moltiplicare i cimenti in simili/diversi ambiti col rischio di dilatare eccessivamente la propria dimensione artistica, non si può chiedere proprio di più. E adesso... sedia di moderazione?



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
75 su 4 voti [ VOTA]
Stagger Lee
Venerdì 8 Febbraio 2019, 21.15.20
1
moooooolto bello..ci starebbe anche una decina di punti in più. Recensite Canto III, da bravi!!!!
INFORMAZIONI
2018
Autoprodotto
Death / Doom
Tracklist
1. The Blind Earth
2. Still Descending
3. Confinement
4. The Cold grip Of time
5. Boundless Silence
Line Up
Daniel Neagoe (Voce e tutti gli strumenti)
Xander C. (Voce e chitarra)
 
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