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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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Faustcoven - In the Shadow of Doom
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01/02/2019
( 1376 letture )
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L’inquietudine dell’ignoto, la solitudine di un uomo diretto per una via già misteriosamente solcata, la desolazione di un pittorico scenario in tinte fredde. E un titolo che più esplicativo non potrebbe essere nell’anticipare, almeno per i neofiti, i contenuti musicali dell’album in oggetto. Con tali premesse visive e testuali si ripresentano al pubblico, dopo sei anni di attesa, i norvegesi Faustcoven, con il quarto disco in studio In the Shadow of Doom. Nelle otto tracce incluse in questa nuova release, i Nostri non stravolgono le proprie coordinate espressive, che consistono nella commistione di doom con elementi estrapolati direttamente dal black metal di casa propria, insieme a venature melodiche che concedono ampio respiro ad un sound dall’asfissiante natura intrinseca.
Il cadenzato incipit di The The Wicked Dead introduce un pezzo profondo e pregno di armonie, che va immediatamente a far riaffiorare memorie darkthroniane risalenti al periodo di Soulside Journey, al netto dei tecnicismi propri del combo di Fenriz e Nocturno Culto di quel periodo. Il funereo dilatarsi del riffing accompagna il cantato catacombale del mastermind e polistrumentista Gunnar Hansen, il cui stile vocale, per dare un’idea, può essere associato all’interpretazione del primo Wildness Perversion, singer dei nostrani Mortuary Drape. Nella seconda parte, la drammatica tensione ormai all’apice conduce a un finale alla Cathedral, stilisticamente distante ma, allo stesso tempo, coerente con il contesto artistico in questione. Se il brano di apertura mostra sin da subito una conferma della relazione diretta dei Faustcoven con il metallo nero, The Devil’s Share sorprende per il suo intro squisitamente bluesy, che accoglie a seguire un riffing work a metà strada tra doom e stoner, senza tralasciare i consueti giri armonici che ritagliano il proprio spazio discretamente nella trama strutturale. In questa particolare traccia, l’influenza seventies si fa particolarmente evidente, e non solo per una questione prettamente stilistica, ma anche di produzione per ciò che concerne scelte di studio dal sapore analogico. Tra di esse spicca, soprattutto, il suono dei piatti a decadimento lento tipici dell’hard rock di quattro decenni orsono (es. Led Zeppelin). La successiva Yet He Walks si apre con delle figure ritmiche sui tom ad accompagnare un disegno solistico, prima di procedere speditamente verso i lidi del funeral doom, accentuati da un beat sul ride lento come una campana a morto ed un cantato che assume qui una particolare accezione teatrale. La scuola hard rock mostra ancora i suoi preziosi insegnamenti in Marching in the Shadow, agendo da collante tra i soliti black e doom metal. Le costanti sequenze melodiche su cui i nostri imbastiscono il pezzo, trovano massima espressione nel solo di chitarra a metà brano, spartiacque con un finale arrangiato su una sequenza di arpeggi. In un ambito compositivo piuttosto cangiante, Sign of Satanic Victory è dal canto suo una composizione dinamica e irruenta, stavolta old school oriented, in cui fa capolino anche l’uso di una possente doppia cassa nei frangenti più energici. Tali prerogative si ritrovano immediatamente in Lair of Rats, che sin dal principio miscela ottimamente varietà e violenza, dove i nordici sono mossi da un’ispirazione che include Darkthrone e Celtic Frost, nomi storici rivisitati tramite un roccioso lavoro alle sei corde e un drumming che predilige le percussioni sui timpani piuttosto che sullo snare, incupendo l’atmosfera generale. Il sound proposto, seppur piuttosto eterogeneo, presenta delle ben precise caratteristiche, cui si allinea, proseguendo con l’ascolto, As White as She Was Pale, che mantiene le ormai solide radici affondanti nell’hard rock e riporta come elemento di novità un evocativo intervento di fisarmonica a bocca posto in un epilogo ancora dal sapore blues. L’ultimo brano, dall’inconsueto titolo latino Quis Est Iste Qui Venit, nel suo lungo divenire svela, in lenta progressione, le intenzioni melodiche. Esse assumono forma compiuta solamente verso la conclusione, suggellata da un’imprevedibile ghost track, incisione di un sommesso inserto corale dall’aurea viking su un delicato tappeto pianistico.
In ultima analisi, i Faustcoven confermano sostanzialmente quanto di buono già fatto in precedenza, senza per questo attestarsi sul comodo immobilismo sonoro. Al contrario, rispetto al precedente e già apprezzatissimo Hellfire and Funeral Bells, il nuovo platter mostra una certa progressione nella fase evolutiva dello stile che qui compie un deciso step in termini di efficacia e maturazione. Sì riscontrano tuttavia, seppur sporadicamente, anche gli effetti collaterali spesso tipici di questo tipo di musica, ovvero frangenti della riproduzione in cui la reiterazione sembra prendere il sopravvento sull’eterogeneità, come detto sopra, una delle più apprezzabili peculiarità di questo lavoro. Ciò non compromette in ogni caso il giudizio finale positivo. Se è vero che per l’ermeticità di un genere così poco masticabile il prodotto si rivolga ad un pubblico di nicchia, quest’ultimo, amante di sonorità claustrofobiche, fra le note di In the Shadow of Doom troverà materiale di cui cibarsi con grande soddisfazione.
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3
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disco di un anno fa. Tuttavia trovato gia al tempo noioso, pesante, prolisso e inutile. chiaramente il genere è questo, ma nessun lampo per rendere un pezzo piu memorizzabile di un altro.
50 |
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2
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disco di un anno fa. Tuttavia trovato gia al tempo noioso, pesante, prolisso e inutile. chiaramente il genere è questo, ma nessun lampo per rendere un pezzo piu memorizzabile di un altro.
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1
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Il precedente era un buon album, ma qui mi aspetto di piu stavolta. |
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INFORMAZIONI |
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Nuclear War Now! Productions
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Tracklist
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1. The Wicked Dead 2. The Devil’s Share 3. Yet He Walks 4. Marching in the Shadow 5. Sign of Satanic Victory 6. Lair of Rats 7. As White as She Was Pale 8. Quis Est Iste Qui Venit
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Line Up
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Gunnar Hansen (Voce, Chitarre, Basso) Einar Berg (Chitarre) Johnny Tombthrasher (Batteria)
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RECENSIONI |
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