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Atrocity - Hallucinations
09/02/2019
( 2190 letture )
Hallucinations. Ovverosia, viaggio di sola andata nei meandri della dipendenza da sostanze stupefacenti. Questo il sottotitolo dello storico esordio degli Atrocity, band camaleontica se ce n’è una, che in trent’anni di carriera ha spiazzato molte volte il proprio pubblico con repentini cambi stilistici, cosa che da una parte gli ha scongiurato qualsiasi tentativo di un percorso sorretto da basi comuni e dall’altra ha coperto il proprio profilo di un’aura particolarmente “misteriosa”. La storia del gruppo di Alexander Krull viene da lontano, precisamente dal 1990, anno in cui esplose definitivamente il fenomeno death metal con lo sdoganamento di alcuni nomi ritenuti ancora oggi fondamentali; ed è proprio all’interno di questo sottogenere che va collocato Hallucinations, assieme al seguente Todessehnsucht due gronchi rosa nella loro discografia poiché, da Blut in poi, il sentiero devierà in maniera netta verso lidi più soft. Dicevamo, si tratta di un concept album che vuole scuotere le coscienze, in alcuni tratti anche in maniera alquanto bigotta, e che si intreccia perfettamente con il sound uscente dai cinque strumenti, anche se è difficile pensare alla sincerità di un vero messaggio contro la tossicodipendenza. Se non altro va apprezzato il coraggio dimostrato nell’essere andati controcorrente alla più frequente abitudine consistente nell’esaltazione di tali droghe ma la tematica rimane controversa e fautrice delle più svariate considerazioni. Parlando di ciò che conta veramente, abbiamo a che fare con un collettivo praticamente alle prime armi e ancora in cerca di identità ma in grado comunque di dare sfoggio di una prova assolutamente buona, messa in ombra solamente dalla spietata, e di altissima qualità, concorrenza che imperversava in quella famosa annata.

Se volessimo paragonare il sound dei primi Atrocity a quello di un altro nome top non esiteremmo a citare i Carcass: il growl di Krull è pressoché identico a quello di Jeff Walker, le oscure rasoiate di Mathias Röderer e Richard Scharf ti ammorbano con fare malefico esattamente come era solita eseguire la coppia Amott-Steer, l’atmosfera asfissiante giunge alla stessa maniera dei classici lavori degli inglesi. Ma c’è dell’altro nella proposta qui analizzata, prendere per esempio alcuni riff della seconda traccia, Life is a Long and Silent River, e paragonarli con frequenti passaggi presi da quel Piece of Time di due anni più vecchio; e ancora, come non rilevare apertamente le influenze grind di un certo Scum nella seguente Fatal Step? Insomma, potremmo andare avanti per le restanti sei tracce ed elencarvi le più clamorose connections sonore ma sarebbe un’attività fine a se stessa. Ciò che va sottolineata è la capacità dei cinque tedeschi di assorbire come spugne inzuppate tutto il meglio che il death metal aveva da offrire all’inizio dei 90’s, confezionando un più che discreto prodotto che ancora oggi risente solo parzialmente della propria derivazione. Tornando all’importante tema trattato lungo la mezz’oretta abbondante di durata dell’LP, viene descritto il percorso completo del prototipo di drogato, una sorta di fac simile che tutt’oggi ci viene propinato da tutti quanti: si inizia con un “tiro” di marijuana sollecitati dagli amici e si finisce a bucarsi in qualche lurida latrina rischiando quotidianamente la vita, una storia tra l’altro non corrispondente del tutto alla realtà ma ormai perfettamente incastonata nell’humus sociale. Quello del nomadismo degli esclusi, come lo definì Jacques Attali, è un argomento intrigante e viene esplicato attraverso i testi ideati da Alex Krull, diretti, angoscianti, sostenuti dal parossismo musicale e da una produzione a cinque stelle curata dal guru Scott Burns; il processo di songwriting invece fu seguito principalmente da Röderer, uno dei membri più longevi del combo escludendo il vocalist, e vede una netta predominanza per ritmiche forsennate con inserimenti intelligenti di plumbei riff doom, l’ideale per spezzare l’andamento e idealizzare la corrosione interiore derivante dagli stupefacenti. La lunghezza del platter depone a favore della fruizione: otto canzoni, quattro per lato come si usava ai vecchi tempi, nessun filler e il godimento è garantito a cominciare da Deep in Your Subconscious e la sua conclamata dichiarazione d’intenti per finire con Last Temptation, rappresentazione lapidaria della fine preannunciata sin agli albori e impreziosita dall’ingresso dell’organo alla Cradle of Filth sul finale. Alle prese con i propri strumenti gli Atrocity non sono niente male, per usare un eufemismo, e una menzione a parte va fatta nei confronti del batterista Michael Schwarz e del suo dinamismo nel rapportarsi con blast beat e rallentamenti in disarmante semplicità; inoltre l’alternanza tra screaming e growling del cantante rende meno statica una proposta che non possiede tra i propri punti di forza la versatilità (al contrario della band in sé).

Hallucinations rimane quasi un unicum nella discografia degli Atrocity dato che la loro offerta è cambiata e da lì a quattro anni finiranno ad abbracciare addirittura una specie di metal sperimentale intessuto con trame medieval/folk, per poi tornare recentemente sugli stessi lidi degli esordi ma senza la freschezza di quest’ultimi. Non è sicuramente un lavoro passato alla storia per la sua qualità intrinseca ma possiede tutte le carte in regola per essere apprezzato e riascoltato in memoria dell’old school più marcio e impattante; in memoria di un periodo d’oro, musicalmente (metal) parlando, nel quale si chiudeva un decennio altrettanto speciale ed esplodevano gli ultimi sottogeneri, anch’essi pronti a dettar legge e riscrivere la storia.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
80.4 su 5 voti [ VOTA]
Kiodo 74
Lunedì 30 Marzo 2020, 15.08.04
8
Il mio primo ascolto della giornata sono stati proprio gli Atrocity.... Ma non questo disco bensì "Blut" che però non ho trovato recensito che è di 4 anni dopo e si distacca molto dal suono propriamente Death degli esordi. Album a mio giudizio bellissimo, ho la versione in digipack che è curatissima tra l'altro.....un lavoro davvero coinvolgentr dove il suono si trasforma verso una certa modernità e marzialità di esescuzione che mi richiama tanto i Fear Factory....qualche spruzzo di Death ma in versione darkeggiante e cadenzata.... Voce che si rifà molto al classico Hardcore e qualche momento più atmosferico e folk germanico.... In pratica un disco più ragionato ma per me ipnotizzante,bellissimo. Lo consiglio. Ossequi!
Hagen
Venerdì 15 Febbraio 2019, 21.46.36
7
Io lo avevo ascoltato tempo fa sul Tubo, mentre ero in piena fase di "ricerca di gemme del death metal dimenticate", e mi ricordo che non mi era piaciuto molto, però mi aveva comunque colpito ed esprimeva una sua personalità.
Pacino
Mercoledì 13 Febbraio 2019, 11.36.08
6
Semicapolavoro dell'età dell'oro del Death Metal. Voto 92
Galilee
Sabato 9 Febbraio 2019, 20.23.56
5
Ai tempi lo persi... Spero in una ristampa in vinile.
Sudparadiso
Sabato 9 Febbraio 2019, 19.47.29
4
Ricordo ancora quando presi questo disco appena uscito. Un periodo d’oro per il death Metal che stava per invadere le cellule celebrali...disco un po’ acerbo ma bello marcio per chi ama il genere old school. Voto 85.
duke
Sabato 9 Febbraio 2019, 17.52.12
3
...bel lavoro....il disco l'ho consumato....
Alessio
Sabato 9 Febbraio 2019, 13.59.08
2
Un classico del Death europeo e germanico. Tempi di gloria del Death Metal....qualche punto in più lo merita.
gianmarco
Sabato 9 Febbraio 2019, 12.02.28
1
band fantastica poliedrica , tra le mie preferite in ambito tedesco .
INFORMAZIONI
1990
Nuclear Blast Records
Death
Tracklist
1. Deep in Your Subconscious
2. Life is a Long and Silent River
3. Fatal Step
4. Hallucinations
5. Defeated Intellect
6. Abyss of Addiction
7. Hold Out (to the End)
8. Last Temptation
Line Up
Alexander Krull (Voce)
Mathias Röderer (Chitarra)
Richard Scharf (Chitarra)
Oliver Klasen (Basso)
Michael Schwarz (Batteria)
 
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