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29/03/24
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BORN TO BE WILD MC PADOVA, VIA GUIDO NATTA 14 - RUBANO (PD)
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Napalm Death - Words from the Exit Wound
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02/03/2019
( 2044 letture )
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Noi, gente devota al verbo del metallo, dovremmo andare a Birmingham almeno una volta l’anno, in pellegrinaggio. Il motivo è palese: tutto è nato lì, un venerdì 13 di tanti lustri fa, quando venne data alla luce la prima incisione dei Black Sabbath. Ozzy e i suoi provengono da Birmingham, così come i Judas Priest, come i Sacrilege ed i Napalm Death, tra gli altri. Eh sì, i Napalm Death. E allora una domanda primaria potrebbe essere: cosa è rimasto, nel 1998 -anno di pubblicazione di Worlds from the Exit Wound- di quell’esordio pazzesco, datato 1987, che è stato Scum? Nulla, assolutamente niente. Zero. Scum è risultato essere un ineguagliato esordio votato al nichilismo puro; trattato, all’epoca della sua uscita, dalla stampa specializzata (almeno quella nostrana) come una incomprensibile accozzaglia di suoni, successivamente beatificato prima di arrivare alla santificazione, in un percorso, tutto nostro, fatto di granchi presi a mani basse. Scum era nichilista perché i suoni lo erano e lo stile pure, non meno della filosofia a cui i Napalm Death erano votati, tanto da non aver mai fatto mistero di essere vicini all’ideologia anarco-nichilista. La loro musica era spadellata senza freno, come una secchiata di acqua gelata in faccia. A qualcuno Scum ha cambiato la vita.
Come accennato, Words from the Exit Wound non è neppure un lontano parente di Scum, né del successivo -e certamente più noto perché stiamo parlando della consacrazione- From Enslavement to Obliteration (1988), ma è un’affermazione senza tono polemico e senza malinconia. I Napalm Death del 1998 hanno cambiato line up (tanto che della formazione originale non è rimasto praticamente più nessuno), si sono evoluti e suonano qualcosa che con il grindcore non ha più molto a che vedere. Le atmosfere più vicine al death metal li hanno catturati tempo fa e da allora non se ne sono più liberati. Forse non ha neppure più troppo senso parlare di Napalm Death band, quanto, piuttosto, di Napalm Death project. Nel tempo si sono avvicendati diciannove musicisti, hanno cambiato genere, forse qualcuno di loro si è anche dato al terrapiattismo. Cos’altro serve per affermare che questo è definitivamente un progetto, incredibilmente interessante, ma pur sempre un progetto? Words from the Exit Wound è un lavoro moderatamente piacevole, che li rimette in parziale carreggiata dopo quel passo falso pieno che era stato Diatribes e dopo quell’ulteriore (mezzo) passo falso dal titolo Inside the Torn Apart, comunque più gradevole del predecessore. La pecca è però grande quanto la bocca spalancata che fa bella mostra di sé nella copertina: è un pò ripetitivo, a volte piatto, talvolta tendente alla monotonia. Se ascoltato di filato, risulta un tantino noioso. Magari preso a piccole dosi, brano per brano, potrebbe risultare già diverso, più gradevole magari. Il brano di esordio, The Infiltraitor, racconta già molto di questo album. Ritmi serrati e assalto frontale, temi che saranno ricorrenti durante l’ascolto delle dodici tracce che compongono questo lavoro. Altrettanto d’impatto è Repression out of Uniform che però, a dispetto dell’opener -traccia più ragionata-, rimanda, seppur per qualche breve inciso, al passato noise/hardcore dei “vecchi” Napalm Death. Finalmente, nella terza traccia, Next of Kin to Chaos, ritroviamo i rallentamenti che adoro (in particolare per la corposità che regalano alla dinamica musicale). Lavoro impeccabile da parte di Danny Herrera alla batteria; è lui il vero motore della struttura metallica di questo pezzo. Dà il tempo con la doppia cassa con una leggerezza che fa venire voglia di dire “eh vabbè ma che ci vuole…”. Provateci, provateci, amici batteristi. Una lunga intro in stile Blade Runner ci conduce a Trio-Degradable/Affixed by Disconcern, il pezzo più hardcore dell’intero lavoro, ma piuttosto piattino: non scende, non sale. Non è possibile dire diversamente del successivo Cleanse Impure con il quale i Napalm Death provano a ritrovare smalto e velocità, ma con un risultato non completamente riuscito. Ritentano quindi con Devouring Depraved, ma purtroppo siamo sempre lì. Ottima esecuzione, ma quanto a freschezza compositiva, no, quella no. La sensazione è che suonato dal vivo qualche brano di Words from the Exit Wound risulterà diverso, con molta più presa rispetto al poco che riesce a dare nell’esecuzione domestica. Ulterior Exterior è un brevissimo brano (un minuto e 50 secondi) suonato a velocità elevatissima in cui giganteggia la linea del basso di Shane Embury, un signore che ha suonato anche nei Brujeria. È apprezzabile None the Wiser ? perché dentro ci si ritrova la potenza incendiaria che i Napalm Death posseggono, abbinata con la tecnica infinita dei suoi strumentisti.
Questa è gente che suona duro da una vita, non sbagliano nulla. La produzione è perfetta, ci mancherebbe. Ma quello che proprio non si trova –neppure cercandolo con attenzione- è il picco qualitativo. È come se, partito il cd, schiacciato il pulsante play, tra il primo brano ed il dodicesimo ci sia un unico suono, compatto, senz’altro, ma tutto dannatamente troppo compatto, senza soluzione di continuità. Per fortuna, dopo la inutile Clutching at Barbs, arriva la ben più strutturata Incendiary Incoming. Riff notevole e variazioni sul tema, senza mai perdere di vista la potenza. Altro pezzo una spanna sopra agli altri è Thrown Down a Rope. Picchia duro e ci regala una grande performance di Jesse Pintado, uno dei chitarristi dei Napalm Death, scomparso nel 2006, dopo aver inciso altri due lavori con il gruppo. A chiudere troviamo Sceptic in Perspective, un finale che si sarebbe gradito diverso. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un brano eseguito in maniera impeccabile, ma un tantino statico. Proprio come (quasi) tutto quello che Words from the Exit Wound contiene. Senza lode, senza infamia, ma sono pur sempre i Napalm Death.
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5
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Quoto il mio messaggio qua sotto. Manca la recensione di inside the torn apart. Nemmeno quello è un disco perfetto, ma lo preferisco a questo. |
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4
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Ascoltato parecchie volte non annoia mai, direi che il voto potete darlo voi recensori ma io non dò voti a band che fanno lavori di qualità elevata come questo e come tutti gli altri 30 dischi che han fatto ahahah
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3
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A me questo disco piace molto, anche perchè lo comprai insieme a Diatribes ai tempi e mi piacque da subito. Inoltre adoro il periodo "sperimentale" dei Napalm. The Infiltrator, Incendiary incoming, Thrown Down A Rope i miei brani preferiti in quest'album. Belle anche Ulterion Exterion ed Next of kin to Chaos. |
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2
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Questo è uno dei lavori più controversi dei Napalm death. È il disco dove non sapevano che cazzo volevano fare. C'è un pò di tutto infatti. Un pò di sound moderno preso dagli ultimi dischi, un pò di death metal dei tempi che furono, filtrato e rimodellato, e un recupero delle sonorità più punk che si erano perse strada facendo. Insomma una bella insalatona, che però i nostri riescono a confezionare in maniera appetibile. Rispetto ai dischi precedenti, qualitativamente parlando siamo anni luce indietro. La varietà voluta, lo sperimentare di Diatribes e la compattezza di Inside qui sono solo un ricordo. Inoltre il songwriting è meno convincente. Qualche pezzo buono c è ma non c'è storia. Quindi direi che mi trovo in totale disaccordo con il recensore. Ma anche sul voto finale si poteva osare di più. Nonostante sia uno dei loro dischi meno convincenti un 70 se lo merita. |
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1
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Col senno del poi mi sento di considerare quest'album una sorta di ponte verso lo stile con cui i Napalm Death li ascoltiamo da ormai quasi vent'anni (il che a qualcuno può far piacere - a me sostanzialmente sì - ad altri magari no): qui si comincia ad avvertire in diverse tracce la voglia di recuperare - mantenendo qualcosa del passato recente - un po' di rabbia e di dinamicità, laddove gli album precedenti erano fin troppo "statici" (terminologia presa in prestito dalla fisica per dire che li ho sempre trovati un po' pallosetti). Il passaggio definitivo si ha con l'inizio del millennio e con Enemy of the Music Business, grande album a mio avviso. Traccia dei Napalm Death che hanno fatto la storia, quelli di Scum e di FETO, non ce n'è... così come non ce n'è in tutti gli album da Harmony Corruption in poi: credo pertanto che non abbia molto senso fare questo tipo di raffronto, pena il rischio di svalutare "a priori" tutto ciò che la band ha fatto negli ultimi 30 anni e sarebbe un peccato, visto che comunque a mio avviso hanno continuato e continuano ancora oggi a spaccare il c*lo ai passeri. Così come non sono molto d'accordo nel considerare questa band un "progetto": eccezion fatta per il povero Pintado, mantengono la stessa line up da 27 anni, non è una caratteristica che generalmente riscontro in quelli che io considero "progetti". Detto senza polemica eh, è così ... pour parler. Per il resto mi trovo abbastanza d'accordo con la disamina di cui sopra, solo che il mio voto è un po' più alto. Hanno fatto di meglio, ma anche di peggio. Trovo più giusto un 77. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Infiltrator 2. Repression out of Uniform 3. Next of Kin to Chaos 4. Trio-Degradable/Affixed by Disconcern 5. Cleanse Impure 6. Devouring Depraved 7. Ulterior Exterior 8. None the Wiser? 9. Clutching at Barbs 10. Incendiary Incoming 11. Thrown Down a Rope 12. Sceptic in Perspective
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Line Up
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Mark "Barney" Greenway (Voce) Mitch Harris (Chitarra) Jesse Pintado (Chitarra) Shane Embury (Basso) Danny Herrera (Batteria)
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