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Arkona - Ot serdsta k nebu
23/03/2019
( 1061 letture )
Il brano d’apertura s’insinua serpeggiando nelle orecchie del viandante ascoltatore che, rapito, si concede ai suoni misticheggianti e tribali che introducono Ot serdsta k nebu, album degli Arkona uscito nel 2007. Il disco è estremamente fedele alla linea di pensiero del gruppo: ogni brano è impregnato di paganesimo, si svolge nell’ossessione del rito, nella tensione del fedele verso gli dei- come suggerito dal titolo, letteralmente "dal cuore al cielo".
Il sound è molto marcato, in certi punti quasi aspro: si alternano vistosamente la chitarra ritmica distorta che strizza l’occhio al Black e gli strumenti più prettamente Folk, così come la voce pulita e il Growl, entrambi magistralmente interpretati da Masha. I cambi sono spesso repentini ma non sottraggono organicità al fluire del disco. Anche quelli che possono suonare come azzardi nelle strutture dei brani (si prenda ad esempio la title track) trovano in realtà quel filo conduttore che permette uno sbrogliarsi coerente della matassa. Considerando l’intero percorso musicale compiuto dagli Arkona dagli esordi ad oggi, Ot serdsta k nebu è da ritenersi un pilastro fondamentale della loro storia, nonché un manifesto del loro sound. Compaiono difatti svariati stili e tecniche esecutive che creano un congiungimento tra il loro lato più “estremo” e l’Atmospheric o Folk meno crudi. I musicisti che compongono il gruppo sono versatili e difficilmente il clima si fa monotono; pezzi apparentemente semplici e di ampio respiro come Oy, Pechal-Toska consentono alla voce di manifestare la propria abilità di muoversi tra intervalli di suono anche ristretti, nel pieno atteggiamento dell’orante che crea una sorta di trenodia, sprigionata in un lamento narrativo denso di archetipi scandito dalle percussioni che si destreggiano tra marce e momenti più riflessivi e dilatati- il tutto accompagnato da linee di fiato.

Pokrovy Nebesnogo Startsa, già citata prima canzone del disco, è costituita da sette minuti e mezzo che si dividono in una vera e propria ouverture dalle tinte quasi favolistiche grazie alle tastiere e alle percussioni inizialmente pacate, e dal terzo minuto in un pezzo graffiante che risveglia dallo stato di torpore sognante dal quale si era stati travolti. Il growl di Masha, in alcuni momenti quasi soffocato, irrompe prepotentemente insieme alla batteria, al basso e alla chitarra ovviamente distorta. Si tratta di un guerriero morente che implora di essere condotto nel mondo dei morti. Egli supplica Veles, divinità multiforme associata al contempo alla morte e ai musicisti, scelta che si può facilmente supporre essere di vera investitura poetica. L’invocazione non contempla toni pietistici: gli intrecci di voci tra Masha e Sergey "Lazar" sono risoluti, condensati in una disperazione fiera che non teme di sprofondare nella tracotanza. E il growl, ampiamente sostenuto dal basso, lo dimostra. La chiusura smorza leggermente la potenza di ciò che l’ha preceduta, mantenendo però il tono epico con gli accordi di tastiera. Il tutto confluisce nel secondo brano, che nasce dal suono del crepitio del fuoco. Le linee melodiche e il comparto armonico qui sono particolarmente acri. Si avverte un’ossessività che aliena, nella quale la dea Kupala viene onorata e il credente si smarrisce nella frenesia della festa. Il komuz esordisce e prosegue delicato anche in mezzo ai suoni più aggressivi. La polifonia canora sembra delirante e si spegne nel riprendersi dei riff precedenti, ma i pattern non sono comunque scontati. Il pezzo si immette in Ot Serdtsa k Nebu, title track che vede convivere in sé parti fondamentalmente black e di folk tradizionale. L’energia del brano è palpabile: si chiede di ristorare la fede ormai perduta, i blast beat incalzano e il flauto segue imperterrito la sua linea. Come scritto sopra, in questo pezzo la struttura è di forte interesse. Le variazioni sono continue e i toni si alternano fino alla fine che vede sfumare un ultimo accordo di chitarra. Ottimo intermezzo strumentale è Gutsulka, brano acustico leggero ma nostalgico, facilmente orecchiabile e preparatorio al resto dell’album. Si tratta di un breve momento che concede alla mente di viaggiare tra l’esperienza particolare e quella universale, prima del brano successivo che fa appello immediatamente ad una specie di inconscio collettivo, principalmente a causa della pluralità di voci. Prima di quel gioco di voci, però, risuona un riff pesante ed estremamente concreto ma meditativo. Il basso si mantiene per tutta la durata del pezzo su quell’impostazione. Gli strumenti folk supportano le voci in modo abbastanza libero, talvolta tallonandole, talvolta trovando una complementarietà che li scioglie da eventuali vincoli.
Si giunge poi a Nad Propastyu Let, canzone black metal quasi in tutto e per tutto. Circa a metà brano compare una tastiera che inevitabilmente sorprende in quanto si discosta dal comparto folk anche qui largamente impiegato, risultando abbastanza sui generis. La fine del pezzo richiama Pokrovy Nebesnogo Startsa, la prima traccia. Ci si aggancia quindi a Slavsya Rus!, d’impatto nella sua tranquillità maestosità. Celebrazione della natura misteriosa e non ancora sfiorata, ha un tessuto musicale abbastanza semplice e piacevole, adatto al lento stupore che si vuole far sorgere. Scorre dunque rapidamente Kupala i Kostroma, solitamente un must ai live, che col suo ritmo trascina intere folle. Avvicinandosi verso la chiusura ci si imbatte in Sva, che può essere interpretata come summa di tutti gli elementi proposti nell’album fino ad ora: l’equilibrio tra viking e black, i riff cantabili ma non stucchevoli, i cambiamenti di tono e la ritmica, il growl e il pulito, l’invocazione stremata nello struggimento, ecc. Il brano si snoda linearmente nonostante sia davvero denso; i respiri sono ben calcolati, gli strumenti ponderati nelle varie parti. Pur essendo una sorta di commistione, è estremamente ordinata e non ripetitiva e questa è una peculiarità dell’intero album degli Arkona. Ad ogni angolo c’è qualcosa di nuovo da scoprire, porgendo attenzione. L’ultimo pezzo, Katitsya Kolo, è una suite di dieci minuti che a tratti assume addirittura tinte cinematografiche. È estremamente evocativo ed immaginifico, a prescindere dalla comprensione o meno della lingua. Raccoglie attivamente tutti gli umori degli uditori nei primi minuti con la sua carica selvatica per poi disperderli in una catarsi nel lungo finale così disteso e primigenio, che conduce la mente alla fondazione dell’Universo, di quegli stessi Dèi cantati nell’album, riassumendo il movimento di tutta l’ora di durata.

Ot serdsta k nebu è una vera e propria esperienza che va al di là del singolo ascolto. Il preciso missaggio trasporta direttamente nei luoghi e nel tempo immobile in cui si svolge il culto, in cui il mito prende forma e la teofania si dà tra la distorsione e i flauti, tra la voce graffiante e quella pulita. Il tutto è calibrato in modo tale da garantire alta qualità nel contesto di un genere in cui il gruppo indubbiamente la fa da padrone.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
66 su 2 voti [ VOTA]
LUCIO 77
Martedì 23 Febbraio 2021, 19.33.04
6
Aggiudicato.. Grazie!
Transcendence
Martedì 23 Febbraio 2021, 19.23.29
5
@ LUCIO 77: Lepta, del 2004, dura 41 minuti e ha un solo intermezzo.
LUCIO 77
Martedì 23 Febbraio 2021, 18.56.31
4
Concordo con i commenti sottostanti.. Conoscevo il Gruppo solo di nome ma non avevo ascoltato nulla di loro fino a stasera.. Effettivamente la lunghezza ha pesato un po' sull'ascolto, però mi son piaciuti.. Volevo chiedere a Chi li conosce, un consiglio su un altro Album da ascoltare.. Più corto e senza troppi intermezzi strumentali sarebbe l'ideale.. Grazie.
Cerberus
Lunedì 25 Marzo 2019, 16.18.05
3
In generale concordo con il recensore. Io preferisco Vo slavu velikim a questo. Lo considero però meglio del successivo. Resta comunque è un'album al quale sono molto affezionato. Difetti: per me come disco dura troppo e certi intermezzi si potevano evitare, per quanto mi piaccia la musica popolare.
duke
Domenica 24 Marzo 2019, 21.11.48
2
...band decisamente interessante.....
Jan Hus
Sabato 23 Marzo 2019, 14.49.26
1
Complimenti, la recensione è davvero ben scritta e fa quasi “sentire” l’album.
INFORMAZIONI
2007
Sound Age Productions
Pagan
Tracklist
1. Pokrovy Nebesnogo Startsa
2. Goy, Kupala!!!
3. Ot Serdtsa k Nebu
4. Oy, Pechal-Toska
5. Gutsulka
6. Strela
7. Nad Propastyu Let
8. Slavsya Rus!
9. Kupala i Kostroma
10. Tsigular
11. Sva
12. Katitsya Kolo

Line Up
Masha "Scream" (Voce, Tastiere, Tamburo, Komuz, Chitarra acustica)
Sergey "Lazar" (Chitarra, Voce)
Ruslan "Kniaz" (Basso)
Vlad "Artist" (Batteria)
 
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