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Novarupta - Disillusioned Fire
25/05/2019
( 1323 letture )
When the fire fades, the world is a canvas to paint with something new, using the ashes of what used to be

Un po’ di legge di conservazione della massa di lavoisieriana memoria, un tocco di dialettica dal vago sapore hegeliano e tanta autobiografia… potremmo sommariamente riassumerlo così, l’aforisma con cui si aprono le note di presentazione che i Novarupta hanno scelto per accompagnare nel press kit il loro debutto. Scienza e filosofia a parte, tra le pieghe di una simile premessa non può che trasparire l’invito a occuparsi della storia personale di un musicista evidentemente alle prese con una cesura importante in una traiettoria artistica a lungo consolidata e che abbia all’improvviso imboccato una strada almeno parzialmente diversa. Dietro il moniker Novarupta, infatti, si cela in veste di mastermind quasi assoluto Alex Stjernfeldt, per un decennio vocalist e polistrumentista di una delle grandi promesse forse non del tutto mantenute della scena post metal svedese, vale a dire quei The Moth Gatherer che, pur senza mai dilapidare il credito maturato con l’eccellente debutto del 2013, A Bright Celestial Light, nelle successive release hanno solo parzialmente mantenuto gli standard degli esordi, a partire dal secondo atto The Earth Is the Sky per finire col più recente (e pur tutt’altro che disprezzabile) Esoteric Oppression. Reciso il cordone ombelicale con la casa madre, Stjernfeldt dichiara ora di voler solcare rotte nuove che, senza rinnegare del tutto la “materia prima” della precedente esperienza, la ricombini in nuove fogge e forme privilegiandone i riflessi più densi e oscuri.

La nuova avventura prende il largo con questo Disillusioned Fire e i motivi di interesse cominciano ad accumularsi già scorrendo la lista degli artisti convenuti a cenacolo per alternarsi al microfono, dato che stavolta il buon Alex ha scelto di riservare per sé l’intera componente strumentale e di ricorrere ad illustri ed augusti ospiti per le parti vocali. Che sul fronte del cantato qualcosa di originale stesse bollendo in pentola, peraltro, era risultato chiaro fin dal rilascio del singolo che ha fatto da apripista al platter, Pyroclastic Flows, che vede la partecipazione di Jörgen Sandström, storico singer di una delle band a più alto tasso di produttività in ambito industrial death, cioè quei The Project Hate MCMXCIX capaci di tagliare il traguardo della doppia cifra alla voce full length in nemmeno vent’anni di attività. Già da quella traccia si poteva intuire che, se qualcuno si fosse aspettato una riproposizione degli stilemi The Moth Gatherer, probabilmente sarebbe rimasto deluso e il resto dell’album conferma in pieno la sensazione iniziale; ci troviamo di fronte, infatti, a un lavoro dalle innumerevoli sfaccettature e dagli altrettanto robusti contributi in arrivo da diversi metal arsenali, che per essere pienamente apprezzati richiedono un gusto poco arroccato sulle torrette di guardia ai confini presuntamente rigidi tra i generi.
Come definizione di insieme abbiamo optato per lo sludge, ma è bene mettere subito in guardia eventuali puristi a caccia delle classiche incursioni punk/core innestate sull’impasto tra doom e stoner che per entrare in sintonia con i Novarupta serve uno sforzo consistente in termini di apprezzamento delle contaminazioni. Innanzitutto, la soglia che segna l’ingresso nell’universo post metal non è mai troppo distante e, anzi, in diversi passaggi è ampiamente varcata (e dunque attendiamoci un rapporto non conflittuale con gli inserti atmosferico/melodici, oltre che con quella magniloquenza tra l’epico e lo spettrale che ha fatto la fortuna dei conterranei Cult of Luna, appena qualche grado di latitudine più a nord), mentre, sul lato opposto dello spettro, anche il black e (in misura minore) il death si affacciano ripetutamente tra i solchi, con il loro carico di distorsioni abrasive potenziate dal ricorso a uno scream che, al di là delle peculiarità delle singole ugole in rotazione, brilla quasi sempre per spigolosità e ricerca costante della dissonanza anche quando piomba in un ambiente armonicamente apparecchiato.

E’ vero, forse qualcuno potrà obiettare che, nonostante una cotale batteria di invitati, la resa complessiva risente vocalmente di una discreta uniformità (e dunque le soluzioni sarebbero potute essere maggiormente diversificate e magari calibrate almeno in parte in base al nome impegnato nella traccia di competenza…), noi al contrario preferiamo sottolineare come Stjernfeldt sia riuscito perfettamente nell’impresa di evitare l’effetto-cammeo che è sempre in agguato quando si ricorre agli “special guests”, dimostrando invece mano ferma nel songwriting e idee chiare sulle scelte stilistiche. Ecco allora che, sia pur non rinunciando del tutto a qualche tratto Dark Tranquillity oriented, il Mikael Stanne impegnato in Mare Tranquillitatis non regala sette minuti di melodic death magari “acchiappaturisti” ma avulso dal resto della tracklist, bensì una prova organicamente incastonata in un flusso narrativo uniforme e coerente.
E quale sia la natura del viaggio che ci attende è chiarito subito dall’opener Stones (qui l’ospite è Tomas Hallbom, transitato anni fa nella scuderia The Ocean), che sfodera a lungo cadenzate venature doom ad accompagnare i momenti più intensamente post metal dell’intero lotto (ma attenzione a un finale muscolarmente frenetico), assecondando sul campo la dichiarata intenzione dell’autore di tracciare le linee di un percorso che attraversi gli angoli più oscuri dell’anima per approdare, se non alla luce, almeno alla consapevolezza della possibilità della sopravvivenza eroica in un universo ostile. Dopo questa fiera rivendicazione, le spire lente e avvolgenti della già citata Pyroclastic Flows sembrano suggerire possibili approdi lirici, ma Jörgen Sandström carica presto la traccia di riflessi allucinati complice un quasi-growl sabbioso e contemporaneamente urticante, che ammorba l’aria e progressivamente chiude a doppia mandata la finestra rasserenante socchiusa in avvio. Si torna in territorio post con la successiva Tumskruvar, percorsa da fremiti psichedelici e da una linea melodica ipnoticamente accattivante che finisce non lontano da approdi space/ambient, probabilmente non un vertice assoluto in termini di originalità, ma sfidiamo chiunque a non farsi trascinare dalle onde della marea sinuosa che si alza nella seconda metà del brano.
Completano la compagnia gli ultimi due episodi, a parere di chi scrive rispettivamente, in ordine di apparizione, l’omega e l'alfa qualitativo di questo Disillusioned Fire. A convincere solo parzialmente, pur senza configurare un vero e proprio passo falso, è la spigolosissima Only the Dirt Will Know Our Graves, caoticamente sbilanciata su una sorta di versante core/black che risulta un po' fuori fuoco rispetto al resto del lotto esagerando con le iniezioni di abrasività, ma rimette subito le cose a posto la conclusiva, magnifica Ourang Medang. Dedicata a una nave fantasma olandese protagonista nel 1952 di una torbida vicenda di contrabbando di prodotti tossici e circondata presto da un alone di mistero con la conseguente, immancabile incursione dei teorici degli attacchi alieni, la traccia è un saggio di bravura di quella declinazione “potabile” dello sludge di cui sono stati maestri i Kylesa e proprio al combo di Savannah rimanda immediatamente la prova dell'ospite di turno, Martin Wegeland (per il quale consigliamo senz'altro un approfondimento, alla guida dei suoi psichedelici Domkraft), che deroga con gran profitto dallo scream per puntare su un interessantissimo clean urlato dall'elevata resa straniante. Se a questo aggiungiamo un'impeccabile gestione del ritmo e un finale travolgente, gli ingredienti per una potenziale hit ci sono tutti, a cominciare da un tema di fondo che rimane subito impresso nella sua (relativa) orecchiabilità... e non si cancella anche ad ore di distanza dall'ascolto.

Un parterre de rois riunito intorno a un musicista con idee molto chiare sulle traiettorie artistiche da disegnare per cimentarsi in una nuova avventura, un'opera “prima” solo ai fini della registrazione di un nuovo moniker nei metal annali e non certo per il bagaglio degli attori in campo, Disillusioned Fire è un album che porta una ventata d'aria ereticamente fresca nello stagnante panorama sludge degli ultimi anni. Non si grida ancora al capolavoro, ma in meno di quaranta minuti Alex Stjernfeldt ha già dimostrato con dovizia di particolari di essere molto di più di un ex componente in uscita da un'ottima band. Il disegno sulla tela dei Novarupta ha cominciato a prendere forma... e i contorni sono molto promettenti.



VOTO RECENSORE
77
VOTO LETTORI
93 su 3 voti [ VOTA]
Pacino
Domenica 26 Maggio 2019, 4.11.54
2
Ascoltato, ottimo lavoro, voto 85.
Pacino
Sabato 25 Maggio 2019, 9.43.45
1
Interessanti, ascolteró. Lo Sludge e il Blackened Sludge sono 2 generi/sottogenere che seguo molto ultimamente e mi hanno dato diverse soddisfazioni uditive.
INFORMAZIONI
2019
Suicide Records
Sludge
Tracklist
1. Stones
2. Pyroclastic Flows
3. Tumskruvar
4. Mare Tranquillitatis
5. Only the Dirt Will Know Our Graves
6. Ourang Medan
Line Up
Alex Stjernfeldt (Tutti gli strumenti)

Musicisti Ospiti

Tomas Liljedahl (Voce in traccia 1)
Jörgen Sandström (Voce in traccia 2)
Claudio Marino (Voce in traccia 3)
Joel Segerstedt (Voce in traccia 3)
Ossian Reynolds (Voce in traccia 3)
Mikael Stanne (Voce in traccia 4)
Jonas A. Holmberg (Voce in traccia 5)
Marrtin Wegeland (Voce in traccia 6)
 
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