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24/04/24
KARMA
CENTRALE ROCK PUB, VIA CASCINA CALIFORNIA - ERBA (CO)
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01/06/2019
( 2603 letture )
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A dieci anni dall’uscita di Polaris non servono più tante premesse per parlarne: la storia degli Stratovarius la conosciamo tutti, in particolar modo per quanto riguarda il loro momento di declino, in cui era partita una sorta di telenovela (fatta di divergenze, scioglimenti e infiniti comunicati), iniziata nei primi anni del 2000, per poi proseguire fino alla pubblicazione dell’omonimo Stratovarius nel 2005, da molti considerato il loro peggior album. Con l’uscita di un provato Timo Tolkki giungono nel gruppo i nuovi innesti Lauri Porra al basso nel 2005 e Matias Kupiainen alla chitarra nel 2008, proprio in vista della pubblicazione di Polaris.
Ad oggi parlando di questo album non c’è più il problema dell’effetto sorpresa, delle aspettative per un’opera a cui ha lavorato una formazione stravolta, in fase di rinascita: gli Stratovarius, come possiamo tranquillamente constatare, sono sopravvissuti ai cambiamenti di formazione e stilistici a cui Polaris ha dato il via, permettendo di trovare una linea da seguire in tutti gli album successivi (dimostrandosi quindi un lavoro di buona qualità). Il merito è anche di Matias Kupiainen, scommessa vinta dagli Stratovarius, che ha rimpiazzato silenziosamente una grossa personalità come Tolkki, compositore del gruppo dal quale era difficile staccarsi. Così facendo Kotipelto e Johansson hanno trovato nuova energia e nuove opportunità nel comporre e nel gestire il gruppo. Kupiainen, attivo in precedenza con i The Sinkage e con i Fist in Fetus, non era un grande nome, ma con la sua immensa tecnica (sotto molti aspetti superiore a quella di Tolkki) e professionalità è riuscito a inserirsi nel migliore dei modi, prendendosi i suoi spazi senza mai esagerare: sembra cosa da poco, una casualità, ma con questo il sound degli Stratovarius si è allontanato abbastanza dalle sonorità neoclassiche e barocche dei vecchi album con Tolkki, favorendo un power moderno, fresco, melodico e accattivante, forse meno iconico ma ugualmente valido. Alla fine dei conti questo cambiamento era proprio ciò di cui avevano bisogno, anche se in realtà tutti gli ascoltatori ovviamente speravano nell’uscita di un disco ai livelli di Episode o Visions, di un ritorno ai fasti del passato. Tutto ciò era impossibile sia per i motivi personali del gruppo che per una perdita di ispirazione che li ha portati progressivamente al declino. Con Polaris gli Stratovarius percorrono quindi l’unica via possibile per rilanciarsi, staccandosi almeno in parte del loro passato, cercando di aggiornarsi e di non diventare la caricatura di loro stessi. Lo stile è il solito, non ci sono cambiamenti sconvolgenti, a sprazzi aleggia ancora il fantasma di Tolkki e dei vecchi Stratovarius, ma nel complesso Polaris si è rivelato il giusto compromesso, il giusto punto di partenza per una nuova fase della band. Già nell’anno di pubblicazione Polaris è stato accolto discretamente, non come un capolavoro, non apprezzato da tutti, ma ampiamente sufficiente, non al di sotto delle aspettative (considerando che comunque dopo aver toccato il fondo con Stratovarius era veramente difficile fare di peggio). Ad oggi non si può che rinnovare questo parere: il disco non è eccezionale, ma alla fine scorre senza problemi, ci sono brani molto buoni, altri meno, ma non emergono difetti pesanti, passaggi particolarmente brutti e fuori luogo (nel precedente Stratovarius già dopo una canzone, Maniac Dance, si rimaneva perplessi e spiazzati, non sapendo dove si andasse a parare). Forse con il tempo Polaris può aver addirittura guadagnato qualche punto: il disco è veramente concreto, non sente il peso degli anni, sembra appena uscito, merito anche di una produzione eccellente (non così fredda come in passato), di una cura dei dettagli, di un songwriting efficace; basti pensare a Deep Unknown, canzone che anticipò l’uscita dell’album, una delle migliori, veloce al punto giusto e con un ritornello di grande presa, a Forever Is Today o a Higher We Go, brani in pieno stile Stratovarius. C’è spazio anche per midtempo come nel caso di Somehow Precious, Winter Sky, When Mountains Fall e di Emancipation Suite. In realtà i brani più lenti e rilassati, più o meno riusciti, sono la vera cifra di Polaris che proprio nella sua essenza tende ad essere “sinfonico” e allo stesso tempo estremamente accessibile. È in questa sua vena che fa tornare alla mente i vecchi grandi Stratovarius. Tutte le canzoni funzionano, non ci sono capolavori assoluti, ma brano dopo brano non viene mai a mancare la classe, l’estro e la capacità di gestire ogni situazione ottimamente da parte di tutti. Kotipelto fa il suo come sempre, muovendosi su tonalità altissime, non mostrando mai cedimenti, così come il resto del gruppo, che suona con grande perizia e intensità. Il magistrale Jens Johansson guadagna parecchio spazio rispetto alle parti di chitarra, non troppo ingombranti, a volte messe quasi in secondo piano. È proprio in questo che Kupiainen è riuscito a sorprendere, dosandosi e non esagerando: se in così poco è riuscito a farsi notare evidentemente il talento c’è tutto.
Per concludere non c’è molto altro da dire: Polaris non è un album pieno di concetti, di innovazioni o che richiede grosse analisi. Si tratta di un album alla fine prevedibile ma estremamente adeguato al contesto in cui è uscito. Tutto sommato si può considerare un disco riuscito: ha dato una nuova spinta al gruppo (i dischi successivi gli sono stilisticamente affini, dimostrando quindi che non è stato solo un semplice disco di passaggio, ma un vero e proprio punto di partenza per una rinascita) e musicalmente è comunque valido, sia nei momenti più tradizionali che in quelli più “sperimentali” (non mancano passaggi validi, cambi di tempo intelligenti, soluzioni e assoli interessanti), indipendentemente da tutte le considerazioni fatte sul background della band. Non si riescono a individuare canzoni sopra la media, in grado di trovare spazio tra i classici della band, ma di base c’è tutto quello che si può pretendere da un disco simile e tutto va bene, superando agilmente la sufficienza. Polaris è indubbiamente consigliato a tutti coloro che amano gli Stratovarius e il genere. L’ascolto è piacevole (magari non a un primissimo impatto in cui potrebbe risultare stucchevole, buono ma noioso), la classe e lo stile restano, ma ovviamente non ci si deve aspettare la grandezza raggiunta negli anni ’90, picchi forse mai più raggiungibili dal gruppo finlandese.
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9
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A questo non sono riuscito ad arrivare. I miei preferiti Twilight zone, dreamscape, episode e vision. Gli altri non mi prendono. E da Destiny trovo molta più plastica e cromature (queste non le disprezzo sempre e a prescindere). Insomma sono arrivato sempre più spaesato fino alla fine di element parte 1 e non oltre |
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8
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Sono d’accordo con Aceshigh, gran bell’album, con leggero calo nella seconda metà. Deep unknown mi ricorda un sacco (in positivo) le sigle dei cartoni giapponesi anni 70/80. L’uscita di Tolkki non ha fatto che bene, laddove Mathias si è dimostrato compositore ed esecutore eccellente. Elysium è molto simile, ha un calo nella seconda parte, ma per me sono così anche visions, destiny, infinite... Nemesis secondo me è il loro album migliore ed eternal non ci va lontano. |
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7
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@ENRICO86...Prima di Nemesis, Elysium
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6
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fu l'album della rinascita. Non perfetto, ma fu il trampolino per il successivo nemesis che secondo me è un capolavoro |
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5
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Pensare che siano già passati 10 anni dalla pubblicazione mi fa sentire vecchio... devo dire che pezzi validi qui dentro ce ne sono, tu tutti Somehow Precious e Winter Skies, senza snobbare Deep Unkown e Forever is today. Darei un 78, godibile e ben prodotto pur senza essere un'eccellenza |
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4
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Nessun componente presente nei primi 3 album. Album valido. Ma sono gli strato? |
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3
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Secondo me gli Strato non hanno mai toppato, io adoro i criticati Elements, che trovo ottimi, e mi piace abbastanza anche l'omonimo, che per quanto possa essere minore contiene tutte buone canzoni, quindi per me è sicuramente più che sufficiente. Polaris comunque sia è l'album della rinascita, non per il livello di ispirazione, mai calato, ma perché si rinnova la formazione dopo la dipartita di Tolkki ovvero l'anima stessa del gruppo. Album bello, tradizionale e ancora oggi fresco. 75 |
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2
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L'album della rinascita dopo i deludenti tre album precedenti (sopratutto l'omonimo, comprato appena uscito e sentito due volte sole) e i dissidi con Tolkki. Certo non è un capolavoro, come dice anche il recensore, ma è un piccolo passo avanti verso una seconda rinascita, diciamo. Voto 75 |
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1
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Album con cui gli Stratovarius rialzano la testa dopo una fase qualitativamente non esaltante (l’omonimo è il punto più basso della discografia, ma i due Elements non sono chissà quanto migliori). Un pezzo come l’opener Deep Unknown erano anni che non lo tiravano fuori, ma anche la successiva Falling Star o la strato-ballad Winter Skies fanno la loro gran bella figura. Nella seconda parte il livello cala un po’, ma nel complesso rimane un album di buona qualità, confermata in ognuna delle successive pubblicazioni. Bravissimi Kotipelto e Johannson. Voto 78 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Deep Unknown 2. Falling Star 3. King of Nothing 4. Blind 5. Winter Skies 6. Forever Is Today 7. Higher We Go 8. Somehow Precious 9. Emancipation suite Part I: Dusk 10. Emancipation suite Part II: Dawn 11. When Mountains Fall
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Line Up
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Timo Kotipelto (Voce) Matias Kupiainen (Chitarra) Jens Johansson (Tastiere) Lauri Porra (Basso) Jörg Michael (Batteria)
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