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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
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Sadus - Elements of Anger
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08/06/2019
( 2975 letture )
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I Sadus sono Steve Di Giorgio e Steve Di Giorgio è i Sadus. Letto mille volte, sentito dire altrettante volte, ma io dissento. Dissento perché, al di là delle indubbie e notevolissime doti di Di Giorgio, i Sadus sono stati e sono ancora -in ex aequo con i Voivod- il meglio che il technical thrash potesse generare e questo grazie alle qualità pregiatissime dei suoi componenti, tutti e nessuno escluso. Più cattivi e meno “alienati” dei Voivod, i Sadus hanno avuto una carriera che ha sfiorato la perfezione e di tutto questo, ne va dato atto, non è il solo Di Giorgio ad essere stato il fautore. Il suo merito principale è stato quello di aver generato “il mostro” (nel senso latino del termine, qualcosa di eccezionale) ma poi “la creatura” è stata nutrita da tutti i componenti della band; musicisti eccellenti con doti fuori dal comune e con quella determinazione che solo i vincenti hanno. Quando nel settembre 1997 si aspettava l’uscita di Elements of Anger eravamo tutti in fermento perché ci attendevamo il capolavoro. Erano passati anni da A Vision of Misery (1992) e circolava la voce che da essere un quartetto, i Sadus si erano ridotti a soli tre membri, stante la dipartita del chitarrista Rob Moore.“Speriamo che non si siano ammosciati”, sentivo dire. “Ma no, vedrai che non cadranno nel tranello che è toccato in sorte ai Metallica; con quel nome che hanno, poi, dove vuoi che vadano, a TV Sorrisi e Canzoni?”, qualcuno si rincuorava, blaterando tra sé e sé. Filò tutto liscio, le aspettative non vennero tradite. Erano sì diventati un trio ma Elements of Anger era il gioiello che aspettavamo. I cinque anni di silenzio erano stati riempiti da un album straordinario.
Il primo assaggio di Elements of Anger fu subito illuminante, era quello che anelavamo: duro, crudo, pieno di variazioni e tecnicamente perfetto. L’ascolto del nuovo lavoro non venne interrotto neppure dalle polpette della nonna. Le si mangiava con i Sadus in cuffia. Un cd magnetico in cui quello che gli Exodus avevano inventato veniva esaltato dalla perfezione della tecnica usata dai loro figli meglio riusciti, i Sadus. Elements of Anger si apre con il respiro affannato di chi schiuma rabbia, a voler fare da intro alla prima traccia, Aggression. La opener è subito feroce, è immediata dimostrazione delle doti di Di Giorgio, che arpeggia sul basso pieno di effetto. Il repertorio è completo: c’è il suono Bay Area, c’è il ritornello da urlare, ci sono i cambi di tempo clamorosi e fulminati. Gli Exodus possono dirsi davvero orgogliosi per esserne stati i padrini. Crutch ha una intro sonnacchiosa, nella quale la voce di Darren Travis assume toni onirici. Poi la song si impenna lentamente quasi senza che l’ascoltatore se ne accorga. La grandezza dei Sadus è sempre stata la possibilità di generare, in contesti temporali ravvicinatissimi, sensazioni diverse tra loro; sintomo di maestria senza pari. Crutch la puoi ascoltare sine die: è sempre nuova, sempre emozionante. Si prosegue con Words of War, tirata nel perfetto stile thrash classico. Potrebbe essere la sigla di un programma radiofonico dedicato al thrash americano. Voce rabbiosa o in falsetto, Trevis non sbanda mai. A volte mi domando perché i Sadus non abbiano avuto la fortuna di altri gruppi, magari di valore anche meno pregiato. Non trovo una risposta se non, forse, in qualche errore che il management potrebbe aver potuto commettere. Saranno state quelle “s” sul moniker troppo “ingombranti” nel ricordare la Germania del periodo hitleriano (ah no, già, gli Slayer hanno fatto di più e peggio, con sorti fortunatissime). Avrebbero meritato maggior gloria, questo è noto a tutti, ma magari a loro sarà andato bene così. Safety in Numbers è un nuovo cambio di registro. La velocità si riduce e viene compensata dalla potenza del suono. La traccia è di cemento armato, è un monumento alla compattezza. L’ascolto prosegue con Mask il cui incipit è un accordo sgraziato che lascia poi spazio ad un nuovo e portentoso attacco, fiancheggiato dal flanger di Di Giorgio. Mask è un pezzo strano: a sprazzi pienamente thrashy e fottutamente spaziale, sembra partire, ma non parte mai. Sono sicuro che, al tempo dell’incisione, è stato quello in cui i Sadus si sono divertiti maggiormente. Ognuno dei musicisti ci mette del suo, un pezzo di virtuosismo per ciascuno di loro. La seguente Fuel riprende i canoni della purezza californiana con tanto di assolo tagliente e drumming inarrestabile. È il pezzo, insieme alla opener, più classico. Power of One è la ode all’headbanging (te ne viene voglia anche se stai mettendo in piatti in lavastoviglie). Quando affermo che i Sadus non sono solo Steve Di Giorgio, lo dico confortato anche dall’ascolto di pezzi come questo in cui l’omogeneità della dinamica sonora fa chiaramente intendere che i Sadus sono una macchina da guerra perfetta e complessa; non sono solo un singolo fucile di precisione in mano ad un cecchino. Stronger than Evil è il pezzo più veloce dell’intero album. Tiratissima come altro non c’è, il basso di Di Giorgio si atteggia ad essere il fulcro attorno al quale ruota tutto. Fino ad ora Steve si era limitato: il “maestro” qui dà sfogo a tutta la sua creatività, con la complicità dei suoi compari che gli lasciano il palco per una performance senza pari. Il penultimo brano, Unreality, inizia con una sorta di horror-funky; poi entra il basso e ricompatta tutto verso l’horror thrash. Dico “horror” perché tutto resta sempre sospeso, non completo, quasi ad attendere che l’assassino si faccia vivo, seppur con il volto travisato. Dopo Stronger than Evil, anche in Unreality, Di Giorgio si ritaglia un posto di onore. Dimostra il suo valore assoluto, cavallo di razza che, oltre a restare invischiato nel sound degli altri, sa quale è il momento per piazzare il colpo ad effetto. La canzone è ritagliata su misura per lui. È un abito sartoriale in cui l’impuntura della giacca scende perfetta sulla sua schiena. In the End non poteva che essere la chiusura del cd. La voce di Darren Travis -laddove sussurrata, laddove imperante- è accompagnata dai colpi di martello inferti da Jon Allen. Sembra finita e invece no, pochi secondi di silenzio e poi di nuovo le mani di Travis corrono, per l’ultima volta, sul manico della chitarra a chiudere un portento di sensazioni difficili da dimenticare.
Ci sono album -pur piacevoli- che ascoltiamo, ma che restano lì, in una parte di memoria/cuore/anima solo per qualche attimo, magari più lungo di un battito di mani. Elements of Anger, lui, no. Il silenzio che ritorna dopo l’ascolto assomiglia ad un vuoto che solo un nuovo ascolto può riempire. Ecco perché, nella vostra discoteca sarebbe criminale l’assenza di Elements of Anger. È il classico album che, di tanto in tanto -secondo me con frequenza inaspettatamente ravvicinata- si va a recuperare per goderlo quasi come se fosse il primo ascolto. E ancora e ancora.
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5
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Preferisco i primi, comunque sempre grandi Sadus, anche live, velocissimi ,tecnica da paura, grande band |
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4
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Capolavoro!!!! Voto 100. |
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3
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per me Elements of Anger è un capolavoro assoluto il mio voto 95/100. |
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2
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Band di classe superiore, 91 per questo che non è il loro migliore album, o il mio preferito diciamo, è un pò tanto, ma 85 ci sta tutto. |
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1
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Album che a distanza di qualche anno prosegue il discorso aperto col precedente A Vision of Misery, ovvero meno spazio all’impeto e piu al raziocinio, il che dà modo di mettere oltremodo in luce le capacità tecnico-compositive della band (fuori dal comune, lo si sa). Io che - a gusto personale - amo soprattutto i loro primi due rabbiosi album, sarei stato magari contento di qualche sfuriata in più (e forse qualche minuto in meno), ma davanti a pezzi come Mask, Unreality e la geniale In The End comunque mi inchino. Nel complesso forse mi piace di più il successivo Out for Blood. Voto 83 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Aggression 2. Crutch 3. Words of War 4. Safety in Numbers 5. Mask 6. Fuel 7. Power of One 8. Stronger than Evil 9. Unreality 10. In the End
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Line Up
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Darren Travis (Voce, Chitarra) Steve Di Giorgio (Basso) Jon Allen (Batteria)
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